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20/01/2012

L'ultimo taxi

La crisi tocca la carne viva, investe anche i settori che ne erano stati tenuti fuori. Il "capitalismo tossico" che si è scatenato contro i debiti pubblici, gonfiandoli a dismisura prima di esigerne il rientro, costringe i governi a toccare quel mondo di mezzo finora particolarmente tutelato. Tassisti, autotrasportatori, piccoli commercianti, gli stessi professionisti, si vedono minacciare in interessi largamente privilegiati ma solo per cercare di tamponare la crisi e redistribuire risorse verso l'alto. Questa sembra essere la constatazione obbligata. Non c'è alle viste una redistribuzione delle risorse, e dei redditi, che toglie ai "ceti medi" per allargare la domanda globale, checché ne dica il governo, il Centro studi Confindustria o la Banca d'Italia. Non sono gli operai, i precari, i lavoratori in generale a guadagnare qualcosa dall'attacco ai tassisti come vuole far credere la propaganda ufficiale. Non è mai successo fino ad oggi. Semmai, questo temono i conducenti, sono alcune grandi compagnie che stanno in agguato per accaparrarsi le nuove licenze e ripristinare il sistema dei vecchi "Industriali". Il sistema che vigeva fino agli anni 60, quando i possessori di 30-40 vetture, e altrettante licenze, tenevano a libro paga una serie di dipendenti a nero e a cottimo costringendoli a orari assurdi e lucrando sul loro lavoro. Poi, la conquista di maggiori diritti per il mondo del lavoro e le lotte sindacali di quel periodo, convinsero gli "industriali" che l'affare non era redditizio e le licenze vennero vendute agli stessi conducenti per investire il ricavato nell'edilizia.
Oggi, l'obiettivo dimostra la natura della crisi. Settori del capitale che sono a corto di profitti e di affari sicuri si vogliono gettare su terreni nuovi - la distribuzione, il trasporto pubblico, soprattutto i servizi pubblici locali - per ripristinare livelli accettabili di profitto. Non è un caso se la vicenda che più fa presa sull'opinione pubblica si interseca con la volontà di non rispettare il referendum dello scorso giugno e quindi di riavviare la privatizzazione dell'acqua pubblica.
Ma non si potrà arrivare a un passaggio di fase - appunto, la conquista di nuovi settori al profitto di poche compagnie - senza una vittoria di immagine, senza l'emblema di questo mutamento storico. I tassisti sono la vittima sacrificale e, siccome lo hanno capito, la loro lotta sarà particolarmente disperata. Lo stesso vale per i "forconi" siciliani. Settori rilevanti del terziario, della distribuzione, dei servizi, si vedono scaraventati in una voragine di povertà che spaventa e da cui vogliono fuggire a ogni modo. Non è un caso che tutto questo si colori di populismo, se la sintesi politica rischi di essere un nuovo estremismo di destra. L'origine della crisi e della reazione è la stessa che provoca l'impoverimento degli operai, la fine della pensione così come l'abbiamo conosciuta dopo il '69, gli attacchi concentrici al welfare state, la riduzione del reddito. Ovviamente, la natura sociale della crisi, e la sociologia, non sostituiscono la politica e quindi non è facile prevedere un'alleanza tra tassisti e operai. Anzi, è più agevole immaginare una contrapposizione, una classica "guerra tra poveri". Ma in un momento così drammatico e di sconvolgimenti in atto, dare un nome alle cose e capire la dinamica che sta prendendo la crisi, è già un passo avanti.

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