E’ la richiesta avanzata dal presidente della Regione Toscana Enrico Rossi. «Serve
un’autorità di carattere nazionale - ha sottolineato - una commissione
tecnico-politica, che possa usare tutti i mezzi necessari. Non vorremo
che rimpalli di responsabilità o lentezze nel finanziamento
bloccassero l’operazione». Siamo alla punta dell’iceberg. Col
beneplacito dello Stato al largo della Toscana sono stati inabissati
rifiuti pericolosi d’ogni genere per decenni. Lo studio scientifico - Rifiuti a galla - consegnato mesi fa da Greenpeace ai governatori della Liguria e Toscana è inequivocabile.
Burlando e Rossi da allora, però, non hanno mosso un dito.
Burlando e Rossi da allora, però, non hanno mosso un dito.
Mosaico ingarbugliato
Il
comandante del cargo Venezia Pietro Colotto (l’unico indagato per ora)
aveva fissato alle 5,20 l’impatto con un’onda di 10 metri che aveva
causato una rollata di 37 gradi. E aveva aggiunto di essersi accorto di
aver perso i camion solo all’arrivo a Genova, dove aveva formalizzato
la denuncia. La nostra fonte anticipa l’orario («poco dopo le 3») e assicura che «nella
notte si parlava già di due camion in mare. C’era l’allerta meteo, in
molti dovevano essere in ascolto: capitaneria, finanza, porticcioli...».
Possibile aver saputo dei camion e solo dopo del contenuto? Assai improbabile: perché, spiega la nostra fonte, «la
procedura per le merci pericolose (Hazmat, hazardous material) prevede
che la capitaneria di partenza dirami un messaggio al comando di Roma
con descrizione di carico, rotta, eccetera. Quel carico viene
monitorato durante il viaggio. Tutti sanno.».
Tra
le domande che si pone anche il magistrato Luca Masini c’è quella
dell’opportunità di salpare con determinate condizioni meteo. I
bollettini del 16 e del 17 dicembre indicavano tempeste, venti forti di
libeccio, mari molto mossi, possibilità di onde superiori ai cinque
metri davanti alle coste toscane e liguri. Il comandante Colotto dice
che è stato un evento straordinario, «un mare mai visto in Mediterraneo». La Grimaldi, gruppo di cui fa parte la società armatrice Atlantica, scrive che quest’ultima «dopo
l’incidente si è subito attivata per ottemperare alle richieste della
capitaneria di Livorno, senza che ciò costituisca un riconoscimento di
responsabilità, essendo stata la perdita dei due semirimorchi un evento
determinato unicamente da un atto di forza maggiore.» Aggiunge la Grimaldi che «i fusti si sono persi in una manovra decisa dal comandante per salvare vite, oltre che la nave, e che «il nostro iniziale silenzio era necessario per rispetto verso le autorità che indagano».
Ci
sono altri aspetti da appurare, come l’ancoraggio. E’ normale che quei
semirimorchi fossero sul ponte di coperta? Ma erano rizzati bene, cioè
assicurati coi cavi? E i ganci erano collaudati? Spetta alle compagnie
portuali, ma Grimaldi di solito provvede in proprio. E poi ci sono
quelle sostanze di cui conosciamo sigle, utilizzo ma sulla cui
pericolosità sappiamo poco: catalizzatori cobalto-molibdeno, usati per
raffinare il petrolio, infiammabili al contatto con l’aria. E in acqua?
Alla raffineria Isab di Priolo, di proprietà Erg (i famigerati
inquinatori Garrone che hanno già assassinato un pezzo della Sicilia
orientale) e Lukoil, che li aveva rispediti in Lussemburgo per farli
ricaricare, manco sapevano di averli persi. O almeno così dicono.
Dubbi ecologici
Che
ci faceva una nave carica di materiale inquinante nel bel mezzo del
Santuario dei Cetacei con un mare forza 9/10 e onde di 10 metri? La
storia delle 40 tonnellate di catalizzatore Co.Mo (cobalto-molibdeno)
disperse dall’“Eurocargo Venezia” della Grimaldi Lines al largo di
Livorno, all’alba del 17 dicembre 2011, ha parecchi punti oscuri.
«La
logica vorrebbe che con quelle condizioni il comandante cerchi un
riparo ma fermare una nave costa. O ci pensa un’Autorità a bloccare il
traffico marittimo in caso di maltempo. Succede per le autostrade,
perché non in un’area marina che dovrebbe essere protetta? Oppure decide
l’armatore e qualcuno che ha voglia di “correre il rischio” si trova
sempre», osserva Alessandro Giannì di Greenpeace. Ma in un’area di
mare protetta - il Santuario - non dovrebbero esserci regole che
permettono di fermare i trasporti di sostanze pericolose in caso di
burrasca? «Purtroppo dentro o fuori il Santuario non cambia
praticamente nulla. Anche se la legge di ratifica dell’Accordo sul
Santuario ha più di dieci anni, non è stato fatto niente di serio per
tutelare questo mare che, oltre a balene e pesci, ospita milioni di
persone che popolano le sue coste», spiega l’esperto Giannì.
Il
carico sarebbe contenuto in fusti chiusi, ma l’elicottero della
Capitaneria, che ha sorvolato l’area, di fusti galleggianti non ne ha
trovati: è sicuro che i fusti fossero chiusi? Dentro i fusti, il
prodotto sarebbe poi “protetto” da un solido involucro di plastica (i
bustoni d’immondizia formato condominiale?) “chiuso con un nodo fatto a mano”, come informa la comunicazione della Capitaneria ai pescatori.
Anche
questa comunicazione arriva in ritardo, solo il 2 gennaio: chi ha
deciso che questo doveva essere il primo disastro del 2012 e non
l’ultimo del 2011? La medesima comunicazione della Capitaneria chiarisce
che il materiale in questione non è acqua di colonia poiché raccomanda
di non tenere a bordo eventuali fusti “pescati” ancora chiusi,
trainandoli fino a sito da concordare con l’Autorità, cercando di stare
sottovento “rendendo l’equipaggio meno esposto”. A cosa?
Il
catalizzatore Co.Mo. può rilasciare anidride solforosa e/o idrogeno
solforato: sono entrambi irritanti, ma l’ultimo può essere, oltre certe
dosi, letale. Del resto anche cobalto e molibdeno sono contaminanti
pericolosi. Se il cobalto è noto per causare anche danni al fegato, il
molibdeno si distingue per diarrea e anemia.
Fare
oggi previsioni sugli effetti verosimili di questa ennesima
contaminazione del Santuario dei Cetacei è impossibile. Inoltre, la
Capitaneria informa che “nel caso in cui dal sacco della rete [da
pesca] si sprigioni calore, si dovrà provvedere a irrorare lo stesso con
getto d’acqua continuo e a bassa pressione.”
Insomma, è roba che va in “autocombustione a causa del contatto del prodotto con l’aria”. «C’è
di che scaldare gli animi al “tavolo tecnico” che , le Regioni Liguria
e Toscana hanno promesso di convocare entro febbraio, per discutere
finalmente dopo dieci anni di una gestione seria del Santuario dei
Cetacei. Sperando che non ci siano altri disastri nel frattempo», denuncia l’ecologista Giannì.
Morti due pescatori
Sei
vittime tra i lavoratori del mare in circostanze nebulose negli ultimi
tredici anni. Al largo di Livorno la cronaca di questi giorni è
spietata. Rete impigliata: il peschereccio Santa Lucia II affonda. Morto
il padre, disperso il figlio. Un terzo membro dell’equipaggio è stato
recuperato in fin di vita. Il comandante si chiamava Silverio ed aveva
64 anni. Il figlio Davide, appena 37 primavere. Strano incidente: mare
piatto, cielo sereno, nemmeno un filo di vento, attestano i bollettini
meteorologici. La rete si impiglia in un ostacolo sul fondale: la barca
si inabissa e i tre uomini spariscono nei flutti. I pescatori del
Santa Lucia non sarebbero riusciti a inviare nemmeno un primo SOS.
L’incidente è avvenuto a circa 16 miglia circa a sud del porto cittadino. «Sembra
che a provocare l’incidente sia stato un problema con la rete - dice
Cosma Scaramella, capo del reparto operativo della guardia costiera
livornese - E’ possibile si sia impigliata in qualcosa sul fondo e abbia
fatto capovolgere lo scafo.»
I
Curcio, originari di Ponza: una famiglia segnata dal destino. Correva
il 13 settembre 2003 quando a 12 miglia da Piombino il San Mauro Primo
fu sventrato dalla nave Jolly Blu, della compagnia Messina, già
coinvolta nel nebuloso naufragio della Jolly Rosso in Calabria (anno
1990). A lasciarci la pelle fu Pasquale Curcio. Il suo corpo fu
recuperato solo in seguito alle suppliche della famiglia al presidente
della Repubblica Ciampi: il 5 febbraio 2004, a 120 metri di profondità.
Altro che sfortuna. Al contrammiraglio Ilarione Dell’Anna ho chiesto se
esiste un qualsivoglia nesso con la presenza sui fondali
dell’arcipelago toscano di ostacoli particolari. Risposte? Al momento,
zero.
Ultima pessima notizia. Una tartaruga Caretta Caretta
di circa 70 centimetri è stata recuperata dai sommozzatori dei vigili
del fuoco all’interno del porto di Livorno. La testuggine marina, al
momento dell’operazione, era già morta. La tartaruga, pesante circa
20-25 chili era stata segnalata intorno alle 10 dalla Guardia Costiera
che ha inviato sul posto il personale dei vigili del fuoco del
distaccamento porto. Segnali inquietanti? Non si muore per caso.
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