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14/01/2012

Dove ci infilano le banane

La sora Pina va al mercato. Vuole comprare quattro banane per cena, una per ognuno dei componenti della sua famiglia: lei, suo marito e i suoi due figli. Arrivata alla cassa, scopre che il prezzo di quelle quattro banane è “otto banane”. Strabuzza gli occhi, scuote la testa. Deve aver capito male. Invece è tutto vero: quattro banane, alla sora Pina, costano otto banane. Ma non deve per forza pagare subito: può metterle tranquillamente sul suo conto, ovvero contrarre un debito. Per l'intanto, lei e la sua famiglia possono iniziare a mangiarsi le banane. L'importante è che si ricordino di restituirne otto al mercato.



  “Il fatto è – le spiega il cassiere, con aria zelante – che il nostro mercato ha comprato quelle quattro banane da un grossista europeo, il quale a sua volta gliele ha concesse a debito, con l’interesse del 50%. Dunque noi, in quanto mercato nazionale al dettaglio, per prendere quattro banane dal grossista europeo dobbiamo garantirgliene sei. Quindi ci indebitiamo di due banane. E' per questo che dobbiamo alzare i prezzi. Di quelle otto banane che lei ci darà per estinguere il suo debito, sei dovremo restituirle al grossista. Due ce le teniamo noi. Così anche il nostro mercato ci guadagna qualcosa.”

  La sora Pina, con le banane ancora in mano, ci riflette un po' e poi protesta: “Quindi il debito che voi contraete col grossista europeo ricade interamente sulle spalle del cittadino. In fondo, voi non fate altro che alzare i prezzi delle banane: i rincari sono esclusivamente a carico nostro!”.
“Esatto, ha capito alla perfezione”, osserva il cassiere, compiaciuto.
“Così non vale, però!” – mormora la sora Pina, in un rigurgito di dignità. Ma poi, ripensando a suo marito che ogni sera torna a casa distrutto dal lavoro e ai suoi figli che sono sempre affamati, sebbene riluttante si arrende e compra le quattro banane. Al loro prezzo di mercato. Il grossista europeo si mette in tasca due banane. Il mercato al dettaglio si mette in tasca due banane. La sua famiglia, invece, sarà in deficit di quattro banane. Avrà sempre meno banane in bocca e sempre più banane altrove.

  Ora al posto del grossista europeo mettiamo la BCE, cioè Banca Centrale Europea. Poi, al posto del mercato al dettaglio, mettiamo le banche nazionali. Infine, al posto della sora Pina mettiamo noi stessi, i cittadini italiani. Adesso proviamo a rileggere la storia, tenendo presente che la BCE non vende banane, ma crea denaro.

  A fine dicembre la BCE ha messo in circolo 489 miliardi di euro. O meglio, li ha consegnati a 523 istituti bancari, con un prestito a tre anni ad un tasso di interesse estremamente vantaggioso: l’1%. Di questa quantità di denaro immensa, le banche italiane hanno ricevuto 116 miliardi (23% del totale), offrendo come garanzia 40 miliardi di titoli di stato. E dove andranno a prendere questi soldi? Ovviamente dalla sora Pina, cioè da noi che dovremo pagare quel denaro ad un tasso di interesse molto più alto dell’1%. Su di noi, cittadini dello Stato italiano, si rifaranno le banche nazionali per saldare i loro debiti nei confronti della BCE e per ottenere dei profitti. Profitti che magari serviranno per garantire una liquidazione d’oro ai super-manager o per gettarsi a capofitto in affari di portata faraonica, come il finanziamento delle Grandi Opere, dalla TAV all’EXPO.

  Ma c'è dell'altro. Fra i 14 istituti italiani che hanno usufruito di questo gigantesco prestito agevolato, figura per esempio Unicredit, la più grande banca italiana. Che però, in effetti, non ha alcun interesse nel garantire ricchezza e benessere ai cittadini italiani, ma ha come unico scopo quello di fare utili e soddisfare gli azionisti. Questo perché anche se Unicredit è una banca italiana (in quanto ha sede legale a Roma) essa resta a tutti gli effetti una banca privata, gestita e partecipata da privati: tra i suoi principali azionisti annovera banche e istituti privati italiani (Mediobanca, Cariverona, Carimonte Holding e Cassa di risparmio di Torino) ma anche stranieri (Aabar Luxembourg sarl, con sede ad Abu Dhabi, Banca Centrale di Libia - sic!-, Lia, un fondo sovrano di Tripoli fondato nel 2006 per gestire i proventi del fatturato legato al petrolio, e Allianz, azienda di servizi finanziari con sede a Monaco). Situazioni più o meno analoghe si possono ritrovare presso le altre principali banche italiane che hanno usufruito del prestito agevolato della BCE, come Intesa San Paolo e Monte dei Paschi di Siena.

  Per dare l’idea di quale sia l’attenzione che queste banche, definite “italiane”, riservano al benessere della loro popolazione di riferimento, è utile ricordare come l’ex amministratore delegato di Unicredit, Profumo, due anni fa avesse pianificato di licenziare circa 4700 dipendenti per riequilibrare i conti, salvo poi concedersi una buonuscita di 40 milioni di euro il giorno delle sue dimissioni, il 21 settembre del 2010, dopo esser stato messo con le spalle al muro dal Cda per una presunta operazione segreta con la quale avrebbe voluto mettere la banca nelle mani di finanziatori libici.

  Ecco allora che in questo momento, dove tutti vedono nelle privatizzazioni la panacea della crisi economica, si potrebbe andare controcorrente e pensare ad una statalizzazione delle banche. Almeno di quelle centrali, come la Banca d’Italia. Che si chiama “d’Italia”, ma che in realtà è partecipata per il 94,33% da banche e assicurazioni private. Perché non stabilire che Bankitalia debba essere detenuta interamente da istituzioni pubbliche, come il Ministero del Tesoro, e che a lei (e solo a lei) debbano essere concessi i prestiti agevolati della BCE? In un sistema che abbia una sua logica sono le banche centrali, dei singoli Stati o delle federazioni di Stati come è l’Unione Europea, ad emettere moneta. E sono gli istituti privati a pagarci sopra gli interessi più alti. In Europa, invece, funziona al contrario: si regalano i soldi ai privati, dai quali poi i cittadini vanno a chiedere l’elemosina, finendo per caricarsi di tassi d’interesse spropositati. Il risultato è che la sora Pina e la sua famiglia, fagocitati dai debiti, perdono la casa e muoiono di fame.

  Massacrare la povera gente, tagliando su pensioni e stato sociale, non servirà a voltare pagina. Regalerà soltanto qualche boccata d'ossigeno alle banche e ai grandi gruppi finanziari. Le banane devono tornare al popolo.

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