Lo scorso 5 gennaio, il ministro della Difesa americano Leon Panetta ha pubbicato la Defense Strategic Guidance 2012,
il documento che contiene le linee guida per l'impiego delle forze
armate americane per l'anno appena iniziato, alla luce del quadro
strategico attuale.
Un primo punto davvero significativo è che con
questo documento sembra chiudersi un decennio, quello 2001-2011,
caratterizzato dalle operazioni in Iraq e Afghanistan, che hanno
comportato per gli Usa un bilancio di 6.200 caduti e di 46.000 feriti:
pur affermando che "gli Stati Uniti ed i loro alleati e partner hanno
appreso importanti insegnamenti ed hanno applicato nuovi approcci
operativi sul piano del contro-terrorismo, della contro-insurrezione e
del supporto alle forze di sicurezza", il ministro della Difesa
americano dichiara senza mezzi termini che in futuro "le forze armate
Usa non saranno più disegnate per condurre operazioni di stabilizzazione
prolungate su larga scala", riconoscendo quindi per la prima volta in
modo assai esplicito che la gestione post-bellica dei due grandi
conflitti mediorientali ha dimostrato che le forze armate Usa non sono
adatte a questo tipo di operazioni.
Una svolta tanto radicale è del
resto chiaramente motivata dall'emergere di una nuova priorità
strategica su cui gli Usa spostano in modo deciso la propria attenzione
globale: "gli interessi economici e di sicurezza Usa sono
inestricabilmente collegati agli sviluppi che si verificano nell'arco
che si estende dal Pacifico occidentale e dall'Asia orientale all'Oceano
Indiano ed all'Asia meridionale, che determinano un insieme di sfide e
di opportunità". È la Cina quindi il nuovo competitore strategico e
dunque la nuova sfida alla leadership mondiale americana: "A lungo
termine, l'emergere della Cina come potenza regionale ha la capacità di
influire sull'economia e sulla sicurezza statunitensi in diversi modi. I
nostri due Paesi hanno un grande interesse alla pace ed alla stabilità
dell'Asia orientale così come nel costruire relazioni di collaborazione
bilaterale. Tuttavia, la crescita della potenza militare cinese deve
essere accompagnata da una maggiore chiarezza sulle sue intenzioni
strategiche, per evitare il sorgere di tensioni in questa regione".
Per
rispondere a questa nuova priorità, all'enfasi posta sul ruolo delle
alleanze multilaterali nel Pacifico si accompagna un'esplicita
dichiarazione relativa al rapporto privilegiato degli Usa con l'India,
la cui funzione di bilanciamento di forze in senso anti-cinese è ovvia:
"gli Stati Uniti investono in un partenariato strategico a lungo termine
con l'India, per sostenere le sue capacità di operare come punto di
riferimento economico nella regione e come fornitore di sicurezza per la
più ampia area dell'Oceano Indiano". Appare quindi chiaramente definita
la visione americana del ruolo dell'India, ora doppiamente importante:
sul piano terrestre, per la sua presenza al fianco meridionale della
Cina; sul piano navale, dinanzi all'estendersi nell'Oceano Indiano del
"filo di perle" delle basi navali cinesi che, nel corso del 2011, si è
arricchito di due nuovi elementi, in Pakistan e nelle Isole Seychelles.
Ancora
la Cina è alla ribalta quando il documento affronta un fattore classico
del pensiero strategico anglosassone, vale a dire la capacità di
"proiezione di potenza" degli Usa, ora riproposto con la nuova sigla
A2/AD, anti-access and area denial: si tratta in sostanza di "implementare il concetto di accesso operativo congiunto (Joint Operational Access Concept),
sostenendo le nostre capacità sottomarine, sviluppando un nuovo
bombardiere invisibile, potenziando la difesa antimissile e proseguendo
gli sforzi per rafforzare l'elasticità e l'efficacia di capacità
operative basate nello spazio". L'obiettivo è quello di assicurare agli
Usa il libero accesso a tutte le aree di interesse strategico,
nonostante la volontà di forze ostili, che vengono chiamate con nome e
cognome: "Taluni Stati, come la Cina e l'Iran, continueranno ad
utilizzare strumenti asimmetrici per contrastare la nostra capacità di
proiezione di potenza, mentre la proliferazione di armamenti e
tecnologie sofisticate si estenderà anche ad attori non statali".
Ecco
quindi che il Medio Oriente conferma il suo valore strategico per gli
Usa, in relazione a due elementi essenziali, l'ostilità all'Iran ed il
sostegno a Israele: "La politica degli Stati Uniti, darà particolare
enfasi alla sicurezza nel Golfo Persico, quando necessario in
collaborazione con il Consiglio di Cooperazione del Golfo, per prevenire
lo sviluppo di una capacità militare nucleare dell'Iran e per
contrastare le sue strategie destabilizzanti. Gli Stati Uniti faranno
questo allo stesso tempo difendendo la sicurezza di Israele e la pace
globale nel Medio Oriente".
La questione mediorientale tutta
focalizzata sull'Iran, è quindi soprattutto proposta in relazione con la
sicurezza del Golfo Persico, l'area da cui prese inizio nel 1991
l'impegno militare diretto statunitense, in continuità con
la "dottrina Carter" del gennaio 1980. Ora, la sicurezza del Golfo si
collega all'altro concetto
chiave delle classiche politiche di potenza anglosassoni: alla "libertà
di accesso ai beni comuni globali (global commons), quelle aree
al di là della giurisdizione nazionale che rappresentano il tessuto
connettivo vitale del sistema internazionale", fornendo le fondamenta a un
concetto che sembra perfettamente idoneo a rappresentare la futura base
giuridica dei nuovi interventi internazionali americani, soprattutto se
collegato opportunamente con le già viste esigenze A2/AD.
In questa
complessa prospettiva, viene definito il nuovo standard minimo di
capacità operativa americana, sintetizzabile nel concetto di "una guerra
e mezzo". "La nostra pianificazione - si legge nel Defense Strategic Guidance 2012
- prevede forze sufficienti a contrastare pienamente gli obiettivi
aggressivi di uno Stato in una regione conducendo una campagna militare
combinata in tutte le dimensioni, terra, aria, navale, spaziale e del
cyber spazio. (...) Anche se le forze statunitensi saranno impegnate in
operazioni su larga scala in una regione, esse dovranno essere in grado
di contrastare, o di imporre un costo inaccettabile, agli obiettivi di
un aggressore che sfrutti questa situazione in una seconda regione". Una
simile capacità, nonostante gli espressi riferimenti al
ridimensionamento del bilancio Usa, si collega al fatto,
significativamente evidenziato nel documento, che, forse per la prima
volta da decenni, si osserva che "la maggior parte dei Paesi europei
sono ora produttori di sicurezza invece che consumatori di essa", come
avveniva nel periodo della Guerra Fredda: il coinvolgimento degli
europei nelle campagne mediorientali americani ha consentito questa
inversione di tendenza, che ora permette agli Usa di "lavorare con la
Nato per sviluppare una "difesa intelligente" per coordinare,
condividere e specializzare le capacità richieste per affrontare le
sfide del XXI secolo".
Gli Usa riorientano quindi tutto il proprio
dispositivo strategico verso il Pacifico e di conseguenza rileggono
anche la stessa visione strategica mediorientale: in un simile quadro
strategico, il ruolo degli alleati in Europa si riduce sempre più a
quello di sub-fornitori di sicurezza, in relazione alle priorità
individuate dagli Stati Uniti, ad esempio per supportarli, via Nato, in
qualche possibile futura "mezza guerra" per difendere global commons come le fonti energetiche mediorientali che passano per lo Stretto di Hormuz.
Fonte.
Nessun commento:
Posta un commento