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31/01/2012

Le linee guida della difesa Usa 2012

Lo scorso 5 gennaio, il ministro della Difesa americano Leon Panetta ha pubbicato la Defense Strategic Guidance 2012, il documento che contiene le linee guida per l'impiego delle forze armate americane per l'anno appena iniziato, alla luce del quadro strategico attuale.
Un primo punto davvero significativo è che con questo documento sembra chiudersi un decennio, quello 2001-2011, caratterizzato dalle operazioni in Iraq e Afghanistan, che hanno comportato per gli Usa un bilancio di 6.200 caduti e di 46.000 feriti: pur affermando che "gli Stati Uniti ed i loro alleati e partner hanno appreso importanti insegnamenti ed hanno applicato nuovi approcci operativi sul piano del contro-terrorismo, della contro-insurrezione e del supporto alle forze di sicurezza", il ministro della Difesa americano dichiara senza mezzi termini che in futuro "le forze armate Usa non saranno più disegnate per condurre operazioni di stabilizzazione prolungate su larga scala", riconoscendo quindi per la prima volta in modo assai esplicito che la gestione post-bellica dei due grandi conflitti mediorientali ha dimostrato che le forze armate Usa non sono adatte a questo tipo di operazioni.
Una svolta tanto radicale è del resto chiaramente motivata dall'emergere di una nuova priorità strategica su cui gli Usa spostano in modo deciso la propria attenzione globale: "gli interessi economici e di sicurezza Usa sono inestricabilmente collegati agli sviluppi che si verificano nell'arco che si estende dal Pacifico occidentale e dall'Asia orientale all'Oceano Indiano ed all'Asia meridionale, che determinano un insieme di sfide e di opportunità". È la Cina quindi il nuovo competitore strategico e dunque la nuova sfida alla leadership mondiale americana: "A lungo termine, l'emergere della Cina come potenza regionale ha la capacità di influire sull'economia e sulla sicurezza statunitensi in diversi modi. I nostri due Paesi hanno un grande interesse alla pace ed alla stabilità dell'Asia orientale così come nel costruire relazioni di collaborazione bilaterale. Tuttavia, la crescita della potenza militare cinese deve essere accompagnata da una maggiore chiarezza sulle sue intenzioni strategiche, per evitare il sorgere di tensioni in questa regione".
Per rispondere a questa nuova priorità, all'enfasi posta sul ruolo delle alleanze multilaterali nel Pacifico si accompagna un'esplicita dichiarazione relativa al rapporto privilegiato degli Usa con l'India, la cui funzione di bilanciamento di forze in senso anti-cinese è ovvia: "gli Stati Uniti investono in un partenariato strategico a lungo termine con l'India, per sostenere le sue capacità di operare come punto di riferimento economico nella regione e come fornitore di sicurezza per la più ampia area dell'Oceano Indiano". Appare quindi chiaramente definita la visione americana del ruolo dell'India, ora doppiamente importante: sul piano terrestre, per la sua presenza al fianco meridionale della Cina; sul piano navale, dinanzi all'estendersi nell'Oceano Indiano del "filo di perle" delle basi navali cinesi che, nel corso del 2011, si è arricchito di due nuovi elementi, in Pakistan e nelle Isole Seychelles.
Ancora la Cina è alla ribalta quando il documento affronta un fattore classico del pensiero strategico anglosassone, vale a dire la capacità di "proiezione di potenza" degli Usa, ora riproposto con la nuova sigla A2/AD, anti-access and area denial: si tratta in sostanza di "implementare il concetto di accesso operativo congiunto (Joint Operational Access Concept), sostenendo le nostre capacità sottomarine, sviluppando un nuovo bombardiere invisibile, potenziando la difesa antimissile e proseguendo gli sforzi per rafforzare l'elasticità e l'efficacia di capacità operative basate nello spazio". L'obiettivo è quello di assicurare agli Usa il libero accesso a tutte le aree di interesse strategico, nonostante la volontà di forze ostili, che vengono chiamate con nome e cognome: "Taluni Stati, come la Cina e l'Iran, continueranno ad utilizzare strumenti asimmetrici per contrastare la nostra capacità di proiezione di potenza, mentre la proliferazione di armamenti e tecnologie sofisticate si estenderà anche ad attori non statali".
Ecco quindi che il Medio Oriente conferma il suo valore strategico per gli Usa, in relazione a due elementi essenziali, l'ostilità all'Iran ed il sostegno a Israele: "La politica degli Stati Uniti, darà particolare enfasi alla sicurezza nel Golfo Persico, quando necessario in collaborazione con il Consiglio di Cooperazione del Golfo, per prevenire lo sviluppo di una capacità militare nucleare dell'Iran e per contrastare le sue strategie destabilizzanti. Gli Stati Uniti faranno questo allo stesso tempo difendendo la sicurezza di Israele e la pace globale nel Medio Oriente".
La questione mediorientale tutta focalizzata sull'Iran, è quindi soprattutto proposta in relazione con la sicurezza del Golfo Persico, l'area da cui prese inizio nel 1991 l'impegno militare diretto statunitense, in continuità con la "dottrina Carter" del gennaio 1980. Ora, la sicurezza del Golfo si collega all'altro concetto chiave delle classiche politiche di potenza anglosassoni: alla "libertà di accesso ai beni comuni globali (global commons), quelle aree al di là della giurisdizione nazionale che rappresentano il tessuto connettivo vitale del sistema internazionale", fornendo le fondamenta a un concetto che sembra perfettamente idoneo a rappresentare la futura base giuridica dei nuovi interventi internazionali americani, soprattutto se collegato opportunamente con le già viste esigenze A2/AD.
In questa complessa prospettiva, viene definito il nuovo standard minimo di capacità operativa americana, sintetizzabile nel concetto di "una guerra e mezzo". "La nostra pianificazione - si legge nel Defense Strategic Guidance 2012 - prevede forze sufficienti a contrastare pienamente gli obiettivi aggressivi di uno Stato in una regione conducendo una campagna militare combinata in tutte le dimensioni, terra, aria, navale, spaziale e del cyber spazio. (...) Anche se le forze statunitensi saranno impegnate in operazioni su larga scala in una regione, esse dovranno essere in grado di contrastare, o di imporre un costo inaccettabile, agli obiettivi di un aggressore che sfrutti questa situazione in una seconda regione". Una simile capacità, nonostante gli espressi riferimenti al ridimensionamento del bilancio Usa, si collega al fatto, significativamente evidenziato nel documento, che, forse per la prima volta da decenni, si osserva che "la maggior parte dei Paesi europei sono ora produttori di sicurezza invece che consumatori di essa", come avveniva nel periodo della Guerra Fredda: il coinvolgimento degli europei nelle campagne mediorientali americani ha consentito questa inversione di tendenza, che ora permette agli Usa di "lavorare con la Nato per sviluppare una "difesa intelligente" per coordinare, condividere e specializzare le capacità richieste per affrontare le sfide del XXI secolo".
Gli Usa riorientano quindi tutto il proprio dispositivo strategico verso il Pacifico e di conseguenza rileggono anche la stessa visione strategica mediorientale: in un simile quadro strategico, il ruolo degli alleati in Europa si riduce sempre più a quello di sub-fornitori di sicurezza, in relazione alle priorità individuate dagli Stati Uniti, ad esempio per supportarli, via Nato, in qualche possibile futura "mezza guerra" per difendere global commons come le fonti energetiche mediorientali che passano per lo Stretto di Hormuz.


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