Se
la riduzione del debito pubblico scaricata sui soliti noti resta
conditio sine qua non di ogni possibile exit strategy dalla crisi o
anche solo di un suo tamponamento - per il rilancio del sistema è
necessario reinvestire sul lavoro. Un peculiare reinvestimento che nel
cuore dei “paesi avanzati” ripropone modalità dirette di espropriazione e
proletarizzazione, una sorta di “accumulazione originaria” rinnovata da
spalmare su uno spettro il più ampio possibile di attività umane già
inserite nel circuito della merce ma non ancora del tutto o direttamente
sussunte dal capitale finanziario. La finanza è economia “reale”,
appunto.
La liberalizzazione della
licenza dei taxisti - ma più in generale le misure contro edicolanti,
benzinai, piccoli esercenti, ambulanti, le stesse “libere professioni”
ecc. - cosa deve produrre infatti nelle intenzioni del governo? Due
cose. Primo, un’espropriazione secca di reddito da liberare verso grande
distribuzione, grandi studi professionali e finanziarie. Parte del
salario “autoprodotto” dai padroncini che diventa profitto per nuove e
vecchie corporations che possiedono il capitale utile a rastrellare
licenze, concessioni e quant’altro. Secondo, deve produrre manodopera a
costi nettamente inferiori di oggi eliminando garanzie e diritti anche
ad ampie fasce di lavoro autonomo, conservandone magari l’”indipendenza”
ma solo come paravento per lo scarico dei rischi sugli individui.
Costringere
il 99% a vendersi a meno, a vendersi tutto: l’1% non conosce altro modo
per rendere di nuovo interessante l’investimento produttivo ovvero la
“crescita”. È un caso che tra le misure del governo ci sia di nuovo uno
strisciante attacco all’articolo 18 della “casta” degli operai? Dopo
pensionati e fruitori di prime case, le attenzioni sono davvero per
tutti in attesa che si escogiti il modo di attingere direttamente ai
risparmi da sacrificare sull’altare dello spread… E non è finita, il
cuore del governo batte anche e soprattutto per il pacchetto di
privatizzazioni dei servizi pubblici locali da trasformare in terreni di
caccia per il profitto. Santa finanza!
Il
brutto è che il governo lavorando su un terreno già ampiamente
dissodato dal Berluska (vedi la campagna sui “fannulloni” del pubblico
impiego) può ora raccogliere rivolgendo sobriamente l’indice contro i
nuovi “privilegiati” tirandosi dietro, era scontato, non solo il
centro-sinistra dell’integerrimo lider maximo Scalfari ma purtroppo
anche parte del sentire comune del lavoro dipendente ridotto nelle vesti
del “cliente” (ma se si spera in un calo di prezzi e tariffe dei
servizi basta guardare a quanto di analogo già avvenuto all’estero) e
comprensibilmente acido sul punto evasione fiscale. Le differenze tra
settori e condizioni sono reali, corporativismi e professionalismi non
scompaiono certo di colpo, ma il risultato è la classica guerra tra
poveri resa ancor più aspra dalla percezione che siamo in caduta libera.
Del resto, non insospettisce che alla campagna anti-evasione si siano
convertiti in un battibaleno la Confindustria dalle mille elusioni, le
banche delle grandi evasioni, il centro cattolico dei palazzinari, le
facce da culo berlusconiane ecc. ecc.?! A pensar male…
La
“lotta anti-evasione” di questo governo è per un verso uno specchietto
per le allodole che punta a minare alla radice la possibilità di ogni
politica di “alleanze” tra lavoro dipendente, precari e la massa
crescente di lavoro autonomo di prima e di seconda generazione
(ovviamente non si sta parlando di professionisti ricchi, faccendieri,
consulenti ammanicati con la politica, palazzinari ecc.) che si muove
spesso al limite della sopravvivenza, tra fidi bancari e assenza di
ammortizzatori sociali, tra rancore individuale e però anche qualche
segnale di disillusione verso il berlusconismo (sul leghismo il discorso
è più complesso). Per altro verso, è nelle attuali disperate condizioni
del capitalismo italico reale l’esigenza di tagliare un po’ le unghie
ad una lumpenborghesia che per i poteri forti nazionali e internazionali
è oramai una pesantissima palla al piede.
Ma
il punto è che in ogni caso continuerà a pagare, e sempre più salato,
chi sta in basso mentre qualunque recupero dovesse esserci andrà
esclusivamente a salvare banche e grandi imprese. E allora se invece di
cascare nella trappola iniziassimo finalmente una discussione seria e
comune su welfare e beni comuni sottratti effettivamente al mercato e su
come non pagare il conto alla finanza? Se invece di fissarci sulle
differenze -minime oggi alla scala della finanza globale e soprattutto
della messa a rischio del futuro per la stragrande maggioranza-
cercassimo di creare ponti tra lavoratori tutti in un modo o nell’altro
precarizzati?
All’immediato può
sembrare ed è probabilmente irrealistico vedere… i comitati dell’acqua
tra i lavoratori licenziati dei vagoni letto o Landini tra i taxisti e i
precari a fare “tesseramento sociale” per la Fiom. Ma fino a qualche
mese fa nessuno si aspettava che i Notav si occupassero di debito. Il
governo a tutt’oggi ha consenso, inutile negarlo, ma un consenso basato
sulla paura che paralizza, la paura della bancarotta, trasversale a
tutti i ceti. Un consenso passivo, che oggi pare quasi obbligato, ma in
una situazione che corre sul filo del rasoio e riserverà molte sorprese…
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