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22/01/2012

Downshifting, ovvero lascio il lavoro e vado a fare l'orto

Eravate giovani e pieni di speranze, avevate delle passioni, avevate giurato che mai e poi mai avreste rinunciato a inseguire i vostri sogni... Avete finito la scuola, siete andati all'università e avete cominciato a lavorare per mantenervi. Così, sono passati gli anni. E adesso, dove siete? In un ufficio qualunque, seduti davanti a una anonima scrivania dalla mattina alla sera,sempre pronti a eseguire gli ordini del vostro capo. Avete chiuso i vostri sogni nel cassetto e nascosto la chiave dove non vi ricordate più, trasformando le vostre passioni in hobby e le speranze in ricordi. Così, passerete i vostri anni futuri. Fino alla (sempre più magra) pensione che vi aspetta.

Possibile che non ci sia un'ancora di salvezza? C'è ancora tempo per cambiare tutto? C'è, c'è, basta solo volerlo. Ma state attenti, perché il cambiamento fa molta più paura di quanto si possa immaginare. E non tutti sono davvero disposti a realizzarlo, nonostante lo sostengano.

Simone Perotti, per esempio, è uno di quelli che un bel giorno ha smesso di parlare e s'è messo all'opera. Vent'anni di lavoro in un'azienda a Milano (con carriera ben remunerata) non sono riusciti a fermarlo. Oggi abita al mare, segue il suo orto, vive con non più di 800 euro al mese e passa il suo tempo scrivendo e navigando, coltivando, cioè, le sue passioni a tempo pieno. Simone si definisce un downshifter.

Secondo Wikipedia, il downshifter è "colui che attua la scelta di preferire una maggiore disponibilità di tempo libero al miraggio di possibili brillanti carriere professionali, ricercando uno stile di vita meno faticoso e meno retribuito ma più gratificante".

È un ribelle che non ha bisogno di mascherarsi dietro i capelli lunghi e le collanine, che non ha mai rifiutato il Sistema nella sua totalità ma che preferisce starne tranquillamente alla larga, mantenendo se stesso senza cedere alla logica del consumismo e dell'iper-produttività.

Non sappiamo quanti siano i downshifter in tutto il mondo, sappiamo solo che sono sempre di più le persone, le famiglie e le coppie che decidono di abbandonare le città per andare a ripopolare le campagne. Quelle stesse aree che, in Italia come nel resto d'Europa, si svuotarono rapidamente durante gli anni della vertiginosa crescita economica.

Da allora tante cose sono cambiate, il boom ha lasciato il posto allo "sboom" della crisi e le città sono diventati luoghi inquinati e carissimi. E così, anche le persone hanno deciso di cambiare.

"Ne abbiamo abbastanza", scrive Simone in Adesso basta (Chiarelettere, 2009), vera e propria bibbia del downshfiting italiano. "Lavorare per consumare non rende felici. Lo sappiamo tutti. Ma come uscirne?". Per rispondere a questa domanda, oltre ai suoi libri, vi consigliamo di leggere l'illuminante intervista che ci ha rilasciato.

Prima di Adesso basta il termine downshifting era praticamente sconosciuto in Italia. Il tuo libro ha fatto esplodere la questione sui giornali e sui mezzi di comunicazione. È una responsabilità che ti inorgoglisce o che comincia un po' a pesarti?

Sono uno scrittore, so bene che si scrive per comunicare. Se si parla dei miei libri, se quello che pubblico interessa e fa discutere... beh, sono molto felice. Il peso conseguente della notorietà, seppur piccola, non è insignificante. Ma ogni cosa ha un prezzo: basta esserne coscienti e anche liberi di sottrarsi a tutto, quando si vuole. Da qualche mese ho interrotto tutte le presentazioni dei miei libri, ho declinato gli inviti. Volevo stare per conto mio, il peso di girare l'Italia, parlare, incontrare migliaia di persone era diventato troppo gravoso.

Downshifting significa letteralmente "scalare di marcia". Non pensi, però, che sia contraddittorio? Per molti, la vita d'ufficio è piatta, monotona, pigra. Mentre al contrario, per avere la forza di lasciare tutto e ripartire da zero, serve "una marcia in più": bisogna mettersi in movimento, risvegliarsi, agire. Qual è per te il vero significato di downshifting?


 Interessante paradosso. Sposti i termini della metafora e ottieni un significato corretto, anche se antitetico. Sei un ottimo scrittore. In effetti rallentare serve molto per scendere dal cavallo imbizzarrito su cui tutti siamo saliti. Però è vero che, una volta rallentato, il tempo e lo spazio si dilatano, le opportunità si moltiplicano, la voglia e l'energia esplodono. Un uomo normale, sano, che abbia a cuore la vita, l'amicizia, l'amore, se rallenta diventa tutt'altro che lento, una persona tutt'altro che cloroformizzata, al contrario. Somiglia a un drogato, di vita.

Faccio per un attimo l'avvocato del diavolo e ti chiedo: se il downshifting è così vantaggioso da ogni punto di vista, perché solo in pochi lo mettono in pratica? Siamo solo legati al consumismo e allo stipendio o credi che ci sia qualcos'altro sotto?

La gente ha paura di cambiare. Prendi i conti online: convengono, si risparmia. Perché la gente non cambia banca o conto anche se conviene? Per la media delle persone una cosa nota è meglio di un'incognita, anche se quest'ultima conviene. E poi le persone non vogliono fare fatica, mettersi in discussione. Meglio vivere male, potendosi lamentare. Il cambiamento, invece, implica fatica, rigore, metodo, impegno. Tutte cose che la gente mal sopporta. La cosa che tutti odiano di più è il tentativo d'essere felici. Se, per caso, funziona, poi devono esserlo davvero: godere e smettere di lamentarsi! Due attività che nessuno sa e vuole fare. Se c'è una cosa difficile, che tutti rifuggono veramente, è la felicità. La gente adora stare male. Non sai quante me ne dicono quando sostengo che una via forse c'è, che si può tentare. Saperlo li fa inorridire.

Negli anni '70, i reduci del movimento hippy andarono nelle comuni, ma nella maggior parte dei casi fu un fallimento. Come reazione arrivarono l'eroina, gli anni '80 e l'epoca del riflusso. Credi che il downshifting, nel 2011, sia da praticare a livello individuale o al massimo familiare, per evitare la replica delle comuni?


 Oggi più che mai, anche grazie all'esperienza di quei tentativi, possono e devono nascere nuove comunità, totalmente laiche, aconfessionali, apolitiche, basate sulle nuove esigenze di mutuo soccorso, compagnia, solidarietà per le generazioni senza figli e senza pensione, economie di scala. Ma nelle comunità devono andarci a vivere degli individui, cioè gente che si sia presa la responsabilità della propria vita, l'abbia affrontata, almeno in parte svolta, vissuta. Una comunità che funziona non è un organismo a se stante, bene organizzato, ma un insieme di individui, di persone che funzionano come singoli. La nostra società non tiene in considerazione l'individuo, tutta persa nel concetto di comunità, collettivo, casta, clan, associazione, chiesa. Ma questi soggetti plurali sono l'insieme di tanti soggetti singolari. Non si può delegare alla comunità una responsabilità personale verso la propria vita. Semmai è il contrario: la comunità delega ognuno a farla funzionare.

In TAZ, Hakim Bey prova a riformulare politicamente la questione dell'autonomia rispetto alla società dei consumi. Tu invece hai cercato di parlarne in termini il più possibile apolitici. Non credi però che sia giusto agire a livello collettivo contro questo tipo di società, tanto più in tempi di crisi come questi?

Noi siamo in crisi proprio per colpa della nostra delega totale alla politica, alla società dei consumi, al Sistema. Io cerco di fuggire dal Sistema per occuparmi responsabilmente della mia vita, scappo dalla politica perché non mi rappresenta e io non voglio rappresentare lei, mi occupo con tutte le forze di essere un cittadino modello, cioè uno che non rompe l'anima a nessuno, che cerca di capire la propria vita e farla funzionare meglio interiormente, che vuole consumare e inquinare il meno possibile... In questo, faccio politica, cioè produco una testimonianza diversa. Prima che si verifichi un'azione collettiva servono azioni individuali. Un partito o un gruppo non devono essere la convergenza tra gente debole che cerca forza nell'unione, ma di gente forte che porta forza nel gruppo. Tante persone senza forza, unite, fanno soltanto un movimento debole. Un uomo solo che cerchi di diventare un essere stabile, armonico, in equilibrio, vale molto di più. Immagina se una moltitudine così si unisse! Ma non avviene. Qualunque ipotesi politica finisce con l'essere minoritaria e perdente proprio per questo. Cosa che abbiamo sempre osservato. I partiti invece sperano di avere tanti elettori incapaci di reazione, di risolvere i propri problemi, dipendenti, senza alcuna speranza alternativa. Speculano sulle debolezze e l'ignoranza. Guarda cosa fa la Lega. Ma non solo lei...

Tre consigli pratici per aspiranti downshifter...

Capire i propri punti deboli, lavorare per rafforzarsi, avere più capacità pratiche ma soprattutto forza interiore. Un uomo che voglia cambiare deve prima trovare l'equilibrio, l'armonia, la forza che il cambiamento richiede.

Imparare a essere felici di...niente, fare a meno di simboli, non credere al messaggio commerciale, a imporsi sulle mode, a godere dei tanti "no" che si possono dire agli incantatori di serpenti che ci vogliono scemi, proni, rassegnati.

Fare un progetto. C'è un modo per cambiare, per tentare d'essere più simile all'idea che ho di me, a cui oggi non somiglio affatto? Qual è? Quanto tempo, quanti soldi, quante energie servono per tentare? In che direzione? Come faccio a cominciare?

Fonte.

Un discorso molto bello, certamente interessante e, personalmente, anche auspicabile, ma come in ogni cosa c'è (almeno) un problema oggettivo.
Io, persona comune in possesso di un contratto (a termine) che non mi consente nemmeno di sostenere le spese di una vita autonoma perché tra affitto/mutuo (che non mi danno nemmeno sotto minaccia), bollette e vitto la fine del mese la vedo col binocolo, con quali basi finanziarie mi posso permettere di scalare la marcia acquistando un podere nell'entroterra spezzino da tirar su con tanta abnegazione e un po' di pollice verde?
Checché ne dica il Sig. Perrotti la svolta non è bloccata solo dalla paura del cambiamento ma prima di tutto da ragioni economiche e politiche. Senza uno straccio di politica indirizzata alla qualità della vita, i cambi di marcia resteranno appannaggio di quei personaggi a cui spesso e volentieri la macchina è stata regalata dal papi col grano.

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