Abbiamo parlato tante volte di Nigeria. Un Paese martoriato dalla violenza, dalla corruzione, dall’inquinamento, un vero inferno petrolifero in terra.
I nigeriani hanno tanto petrolio, e ne hanno visti da sempre solo gli aspetti più deteriori.
Unico misero vantaggio in tanta desolazione: la benzina sussidiata, che
come in tanti altri Paesi petroliferi (Iran, Libia e Paesi del Golfo)
costa niente ed è un piccolo aiuto per la popolazione.
Ma come accade anche altrove, la benzina a poco prezzo alla fine scassa l’economia. Non si costruiscono raffinerie, perché poco convenienti, e la Nigeria ha finito conl’importare il 70% del fabbisogno in carburanti raffinati. Una spesa notevole. Così, il Presidente Jonathan ha detto basta e la benzina è raddoppiata di prezzo da
un giorno all’altro. Insieme alla benzina, i trasporti e i generi
alimentari, in un Paese dove molti sopravvivono con 2 dollari al giorno.
Il risultato è una rivolta generale, la popolazione in piazza e uno sciopero che ha paralizzato anche l’industria petrolifera. I cittadini rifiutano di accettare provvedimenti così pesanti da un governo corrotto che
li opprime da decenni. La Polizia mostra i kalashnikov, la gente chiede
l’energia elettrica e l’acqua che non ha mai avuto, pur sguazzando nel
petrolio (sguazzando anche fisicamente, vista la pessima manutenzione
delle tubature).
Blocchi stradali, sparatorie, ma i rivoltosi sembrano intenzionati a non cedere. Probabilmente è un’altra delle primavere di rivoluzione,
ma non essendo una “primavera araba”, e colpendo gli interessi
petroliferi, desta poco entusiasmo tra i twittatori occidentali.
Fonte.
Più che di primavera (non mi stancherò mai di dire che anche quella araba è stata in massima parte una persa per il culo) io parlerei di rivolte di disperati, purtroppo per loro con una capacità organizzativa e propositiva troppo ridotta per essere incisiva a lungo termine.
Nessun commento:
Posta un commento