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10/01/2012

Mar Tirreno in mezzo a ecomafie e inquinamento

Rifiuti chimici, scorie radioattive, scarti petroliferi, bombe inesplose, siluri attivi, ordigni Nato: nell’Alto Tirreno - compreso l’omologo Basso, come nell’Adriatico e nello Jonio - abbonda sui fondali l’armamentario proibito, vietato da leggi e normative nazionali e comunitarie. I pescatori da tempo denunciano inascoltati rischi e pericoli concreti, ma le autorità non muovono un dito. Esiste infatti, una tacita connivenza internazionale a danno della Penisola italiana, ben insabbiata dai governi tricolore: una situazione acclarata e definita “segreti di Stati e multinazionali del crimine”. Le rotte delle navi dei veleni levano le ancore sempre in loco: Genova, La Spezia, Livorno, Massa Carrara. Qui transitano frequentemente container imbottiti di radioattività, come ha attestato il recente caso proprio di Genova e poi di Cagliari. Prim’ancora di Ravenna: dove sono stati in più occasioni sbarcati container di residui nucleari provenienti dalla Turchia e da Israele, registrando addirittura la discesa in campo - a difesa degli eco mafiosi - dello studio legale Pecorella di Milano. Gaetano Pecorella è l’attuale presidente della Commissione Bicamerale sul ciclo dei rifiuti. Ennesimo conflitto di interessi?
 
Gola profonda - Un lavoratore del mare - che invoca l’anonimato - rivela un’esperienza patita sulla propria pelle: «Non è la prima volta che vengono persi o gettati in mare davanti alla costa livornese e in prossimità dell’Arcipelago Toscano bidoni contenenti sostanze tossiche. Non bisogna andare molto a largo delle nostre coste per imbattersi in questi fusti. Già a 70 o 80 metri di profondità, a 2 miglia dalla costa, tra il fanale di Vada e l’isola di Gorgona, il fondale è disseminato di fusti contenenti sostanze irritanti. Capita molto spesso. Più di quanto non si possa immaginare. Tra il faro di Vada e Gorgona ho tirato a bordo dei fusti con dentro una sostanza rossa particolarmente irritante. Sembrava scarto di vernice, era molliccia. Mi bruciavano le mani, le braccia e persino gli occhi. Mi sono dovuto lavare tante, tante volte e continuavo ad avvertire dolore e prurito. Anche in quell’occasione ho denunciato tutto alle autorità competenti. Lo comunichiamo alla Capitaneria o alla Asl ma non succede mai niente. Il silenzio. Ci ringraziano ma tutto rimane come prima. E i contenitori in fondo al mare. Come per questo incidente se non fosse stato per la stampa, nessuno di noi avrebbe mai saputo niente. Noi gente di mare siamo a conoscenza da anni che le navi scaricano il materiale scomodo in questo tratto di mare. Sono scarti industriali ma anche militari. Sul banco di Santa Lucia e la Gorgona, dove la nave Venezia della Grimaldi ha perso il carico di cobalto, il mare arriva ad una profondità di 600 metri ed ha un fondale fangoso. Tutta sabbia, per capirsi. Quindi quando i fusti toccano il fondo, sprofondano e vengono immediatamente ricoperti dalle correnti e dalle mareggiate successive, da strati e strati di sabbia. Quando mi trovo a calare le reti ad una profondità di 200 metri per pescare scampi o paranza, in prossimità delle acque dell’isola di Gorgona, avverto un fastidioso pizzicore alle mani. Questo avviene in particolar modo d’estate. Non so perchè, ma io credo che dipenda dal fatto che l’acqua è più calda, ribolle. E forse si avverte di più la presenza di sostanze irritanti. Davanti a Gorgona ad una profondità di 250 metri c’è un’enorme scatola, o meglio un grosso blocco di cemento armato ancorato al fondale. E’ impossibile da tirare su perché chi lo ha abbandonato, lo ha anche bloccato al fondo del mare. E rimarrà per sempre lì».
 
La denuncia dimenticata - Che nel mare toscano qualcosa non andasse i pescatori lo avevano capito, eccome. E non da ora, ma da almeno un quindicennio. Tempo fa erano usciti, come di consueto, con il peschereccio al largo del porto, ma diversamente dal solito quella volta tirare su le reti era stata un’impresa. È quanto denunciato dal consigliere regionale Marco Montemagni in Consiglio dopo un incontro con alcuni pescatori viareggini. «Mi hanno detto che fu molto faticoso - dice Montemagni - perché le reti erano piene di fango». Non era tutto. Una volta lavate videro che le maglie erano «spappolate», corrose da una sostanza acida che aveva rovinato gran parte del tessuto provocando un danno economico tutt’altro che trascurabile. «Il fatto fu segnalato subito alle autorità marittime - continua - ora sono necessari controlli immediati». Montemagni annuncia che presto potrebbe essere localizzato il punto esatto in cui le reti furono danneggiate: «Ho chiesto all’equipaggio di verificare le coordinate e credo che sia in grado di farlo». Intanto, Legambiente Toscana sollecita l’intervento immediato della magistratura e del Governo. «La Procura di Livorno si è già mossa - dice il presidente di Legambiente Toscana Piero Baronti - chiediamo di fare altrettanto a quelle di La Spezia e Carrara. E naturalmente il Governo deve fare la sua parte, in modo da potere usare al più presto i battelli per scandagliare il mare e individuare queste navi, se ci sono». Per il presidente della commissione Ambiente del Consiglio regionale Erasmo D’Angelis il controllo dei fondali deve estendersi almeno fino a 10 miglia a nord di Marciana Marina, dove alle 21 del 9 luglio 2009 fu avvistata la portacontainer maltese Toscana. Secondo il rapporto dell’autorità portuale livornese stilato dall’equipaggio dell’imbarcazione tedesca Thales le «gru gettavano oggetti fuori bordo che sembravano essere container da 16 piedi, circa 5 metri».
 
Guerrieri dell’arcobaleno - Il 12 ottobre 2011 una decina di attivisti di Greenpeace sono entrati in azione al palazzo della regione Liguria a Genova, sede simbolo del Santuario dei Cetacei, per chiedere al Presidente Burlando di salvare il Santuario. Gli attivisti hanno aperto un enorme striscione con il messaggio “SANTUARIO INQUINATO: ORA BASTA!” e si sono incatenati a dodici bidoni con la scritta “danger” posizionati all’ingresso. Due attivisti travestiti da balena, hanno portato i messaggi SOS SANTUARIO e CERCO CASA.  Greenpeace ha presentato il rapporto: “Veleni a galla. Fonti inquinanti nel Santuario dei Cetacei” denunciando con nuovi dati la contaminazione da sostanze chimiche pericolose delle coste liguri e toscane. Diamo i numeri. Oltre il 50 per cento dei campioni esaminati è risultato positivo ai test di laboratorio. Tra le sostanze rinvenute, pericolose per la salute dell’uomo e dell’ambiente: metalli pesanti, idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e composti organici volatili. Critica la situazione in Liguria, con valori accertati oltre i limiti in quattro delle cinque fonti inquinanti (hot spot) testate. Presso l’acciaieria Ilva di Genova, ad esempio, cadmio e zinco superano la soglia di riferimento così come il triclorometano e il tetracloroetilene, due composti organici cancerogeni. Anche in Toscana i dati non sono positivi con quattro hot spot su sei campionati oltre i limiti di riferimento. «Dai dati di Greenpeace, anche se preliminari e parziali, emerge un quadro molto grave che dovrebbe obbligare le amministrazioni locali e nazionali a intervenire con urgenza per salvaguardare ambiente e salute - commenta il dottor Valerio Gennaro, medico oncologo ed epidemiologo che lavora all’Istituto Tumori di Genova e membro di Medici per l’Ambiente  (ISDE-Italia) - In tanti anni di ricerche è sempre più evidente il legame fra la contaminazione dell’ambiente da sostanze chimiche pericolose, l’insorgenza di malattie e gli enormi costi sociali ed economici associati». Elevati i livelli di idrocarburi policiclici presso le aree portuali. Ad esempio, la concentrazione di benzo(a)pirene - una sostanza cancerogena - riscontrata nel sedimento prelevato al porto di Piombino è 90 volte superiore al limite di riferimento. Anche nei pressi dell’acciaieria di Piombino si rivela la presenza di IPA, di cui tre composti in quantità doppia rispetto la soglia, e di alcuni metalli pesanti, come arsenico e zinco. Gli stessi metalli insieme al benzo(a)pirene (con valori due volte oltre la soglia) sono stati rilevati a Vado Ligure, presso la foce del torrente Segno, all’Oasi dei Germani, non lontano da una località balneare. Da anni Greenpeace monitora lo stato di salute del Santuario denunciandone il crescente degrado. Dopo l’allarme “Sogliole tossiche nel Santuario dei Cetacei: non ingerire”, lanciato ad agosto 2010, il rapporto “Veleni a galla” conferma l’inattività delle Regioni e del Ministero dell’Ambiente. «Quasi due anni fa, dal Salone Nautico di Genova, abbiamo chiesto alle Regioni di intervenire per salvare il Santuario - ricorda Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di Greenpeace - Se Liguria, Toscana e Sardegna vogliono davvero tutelare il Santuario, devono smetterla di rimpallare la responsabilità al Ministero dell’Ambiente e impegnarsi subito a definire entro giugno 2012 piani di monitoraggio e misure restrittive per mitigare e, laddove possibile, eliminare le cause principali di degrado, come l’inquinamento. Altrimenti dovremo pensare che non sono interessate a proteggere le balene, né la salute e l’economia dei propri cittadini».
 
Pesci tossici - Le sogliole che nuotano nel Santuario dei Cetacei sono tossiche. Contengono metalli pesanti, idrocarburi policiclici aromatici e Bisfenolo A. Tutte sostanze pericolose per la salute. La denuncia presentata da Greenpeace già da tempo è basata su solidi dati scientifici: una ricerca svolta tra mar Ligure e medio-alto Tirreno per capire quanto sono contaminate le acque di questa area: una riserva marina grande circa 90.000 metri quadrati che si estende dalla Toscana alla Costa Azzurra, comprendendo il mar di Liguria e quello intorno alla Corsica. Il Santuario dei Cetacei, o Santuario Pelagos, è nato circa 12 anni fa per proteggere un ecosistema particolare dove vivono numerosi mammiferi marini come balenottere, capodogli, stenelle e tursiopi (della famiglia dei delfini), ma si è subito rivelato una creatura fragile, una riserva “sulla carta” che in realtà è funestata da inquinamento e traffico marino. Un’altra indagine di Greenpeace aveva evidenziato nel 2009 una pesante contaminazione da coliformi e streptococchi fecali delle acque della zona. Ora si è voluto vedere cosa accade ai pesci. Si sono scelte le sogliole per vari motivi. Innanzitutto conducono una vita stanziale, a contatto con i fondali marini fangosi e quindi sono un ottimo bioindicatore, ovvero permettono di valutare la qualità dell’ambiente in cui vivono. In secondo luogo, sono un importante anello della catena alimentare. Di sogliole si nutrono i cetacei, ma anche noi, esseri umani, ne apprezziamo la carne delicata, tanto che la sogliola è tra i pesci che vengono consigliati per lo svezzamento dei bambini. Da giugno a luglio scorsi sono stati prelevati 31 campioni di questo pesce in 5 aree: Viareggio, Livorno, Lerici, Genova e Civitavecchia. Le prime quattro si trovano all’interno del Santuario, l’ultima invece si trova poco fuori del margine meridionale dell’area. Le sogliole sono state poi inviate per l’analisi al dipartimento di scienze ambientali dell’università di Siena. Tutti i campioni sono contaminati da metalli pesanti, idrocarburi policiclici aromatici e Bisfenolo A. In alcuni casi, metalli e idrocarburi hanno raggiunto concentrazioni al di sopra dei limiti di legge. Ma di quali sostanze stiamo parlando? Gli idrocarburi policicli aromatici (IPA) si trovano naturalmente nel carbon fossile e nel petrolio, ma si possono anche produrre ad esempio bruciando combustibile fossile, legname, rifiuti. In alcuni casi vengono utilizzati per la creazione di plastiche, coloranti, pesticidi e medicinali. Gli IPA sono tanti, ma 16 di essi sono stati inseriti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità tra i principali inquinanti dell’ambiente. Tra questi, ce ne sono alcuni che lo Iarc (International Agency for Research on Cancer) ha classificato come “probabili cancerogeni per l’uomo”, mentre uno, il benzo(a)pirene, è stato riconosciuto come sicuramente cancerogeno per l’uomo. Il Bisfenolo A (BPA) è usato per la produzione di plastiche. Molti studi hanno dimostrato che ha effetti cancerogeni e effetti neurotossici, tanto che alcune industrie lo hanno eliminato dai prodotti, soprattutto quelli destinati ai bambini. Infine, i metalli pesanti. Nelle sogliole analizzate ne sono stati trovati tre: piombo, cromo e mercurio. Il piombo è tossico per il sistema nervoso. Il cromo è in grado di causare diversi effetti sulla salute umana, da reazioni allergiche a problemi respiratori, fino a indurre cancro ai polmoni. Il mercurio è dannoso sia per il sistema nervoso centrale che per i reni. Sicuramente il campione di sogliole preso in esame dalla ricerca di Greenpeace è piccolo, ma ci dà comunque un’indicazione importante. Soprattutto perché quei pesci provengono da un’area che dovrebbe essere protetta. Il Santuario dei cetacei è nato da un accordo tra Italia, Francia e Principato di Monaco per preservare questo ecosistema e gli animali che lo abitano. Ma secondo le recenti stime dell’Istituto Thetis, la mortalità dei cetacei è in aumento. A ottobre del 2009 sono state adottate dieci risoluzioni per far fronte alle principali problematiche del Santuario: l’inquinamento acustico, il traffico marittimo, la pesca illegale e l’inquinamento marino. Ma tutto è rimasto lettera morta. Anzi, pochi mesi dopo, il Segretariato Permanente del Santuario ha chiuso la sua sede a Genova e il segretario esecutivo Philippe Robert è tornato ad occuparsi delle aree marine protette francesi. Insomma: un Santuario senza fondi e senza sostegni istituzionali.
 
Bomba ad orologeria - Il rigassificatore OLT sorge nell’area tutelata dall’Accordo sul Santuario dei Cetacei. Greenpeace è stata tra i promotori dell’idea di Santuario ma ha criticato l’Accordo che non ha sancito nessuna vera misura di tutela: ora il Santuario viene minacciato da nuove attività in contrasto con le più elementari norme di conservazione. L’impianto potrebbe rappresentare un pericoloso precedente per la creazione di siti industriali in mare, non essendoci nemmeno una normativa completa che regoli tutti i tipi di emissione di impianti industriali off shore. Esistono rischi ambientali inaccettabili, che non sono stati correttamente valutati nella procedura di Valutazione di Impatto Ambientale (VIA) che ha portato all’autorizzazione dell’impianto.  Secondo gli esperti di Greenpeace questi rischi riguardano: la mobilitazione dei sedimenti e in particolare di quelli, contaminati, provenienti dal porto di Livorno; il popolamento di Posidonia oceanica, che si intende trapiantare senza che sia garantito il buon esito del trapianto; la presenza di cloro negli scarichi dell’impianto, ignorata nella Valutazione di Impatto Ambientale; la dispersione in mare degli scarichi dell’impianto; nessuna analisi sulla rumorosità dell’impianto industriale e dell’impatto sulle popolazioni di cetacei residenti e migratori. Il Santuario dei Cetacei, in quanto area “speciale” e protetta, dovrebbe far convergere fondi per sperimentare nuove opzioni di interazione tra le attività umane e l’ambiente marino, considerando anche le attività industriali e produttive. Purtroppo il rigassificatore OLT rappresenta un esperimento negativo, che potrebbe danneggiare seriamente l’ecosistema marino. L’idea di spostare in mare, dove non ci sono controlli e abitanti che protestano, le attività industriali che sporcano e inquinano è molto allettante. L’Italia ha autorizzato la realizzazione in mare - in un’area che il sito web del ministero dell’Ambiente considera “area protetta” - di un sito industriale. Si tratta di un rigassificatore, un tipo di impianto industriale considerato “a rischio” dalla Direttiva Seveso, creata dall’Ue per mettere un freno ai disastri industriali. Sulla base di un’istruttoria irregolare, con falsi documentali e ricerche fasulle, l’Italia ha deciso di collocare il rigassificatore al largo della costa di Pisa-Livorno dove, hanno affermato, ci sarebbe un “buco” nel Santuario dei Cetacei. Ciò è smentito da numerose osservazioni che confermano la presenza nell’area di stenelle, tursiopi e delfini comuni. E di questo l’Italia non ha neppure informato il Segretariato del Santuario dei Cetacei. Greenpeace ha prima smontato la Valutazione di Impatto Ambientale costruita dal ministero dell’Ambiente e poi ha dimostrato che essa si basava anche su falsi documentali, regolarmente denunciati alla Magistratura. Eppure, nonostante nel 2008 il TAR della Toscana avesse dato ragione a Greenpeace e comunità locali e sospeso l’autorizzazione all’impianto, il Consiglio di Stato, mentendo spudoratamente, ha poi annullato tale sentenza, dando il via all’inizio del 2010 alla costruzione del rigassificatore. Greenpeace ha protestato contro l’inizio dei lavori nell’area, chiedendo al ministro dell’Ambiente di intervenire e “Salvare il Santuario”. Gli  ecologisti hanno atteso per ben 12 ore dalla gru della nave posacavi una risposta del ministro Stefania Prestigiacomo che però non è mai arrivata. Uno scandalo per tutti: lo scarico in mare di mercurio della Solvay a Rosignano.
 

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