Gola profonda - Un
lavoratore del mare - che invoca l’anonimato - rivela un’esperienza
patita sulla propria pelle: «Non è la prima volta che vengono persi o
gettati in mare davanti alla costa livornese e in prossimità
dell’Arcipelago Toscano bidoni contenenti sostanze tossiche. Non bisogna
andare molto a largo delle nostre coste per imbattersi in questi
fusti. Già a 70 o 80 metri di profondità, a 2 miglia dalla costa, tra
il fanale di Vada e l’isola di Gorgona, il fondale è disseminato di
fusti contenenti sostanze irritanti. Capita molto spesso. Più di quanto
non si possa immaginare. Tra il faro di Vada e Gorgona ho tirato a
bordo dei fusti con dentro una sostanza rossa particolarmente
irritante. Sembrava scarto di vernice, era molliccia. Mi bruciavano le
mani, le braccia e persino gli occhi. Mi sono dovuto lavare tante,
tante volte e continuavo ad avvertire dolore e prurito. Anche in
quell’occasione ho denunciato tutto alle autorità competenti. Lo
comunichiamo alla Capitaneria o alla Asl ma non succede mai niente. Il
silenzio. Ci ringraziano ma tutto rimane come prima. E i contenitori in
fondo al mare. Come per questo incidente se non fosse stato per la
stampa, nessuno di noi avrebbe mai saputo niente. Noi gente di mare
siamo a conoscenza da anni che le navi scaricano il materiale scomodo in
questo tratto di mare. Sono scarti industriali ma anche militari. Sul
banco di Santa Lucia e la Gorgona, dove la nave Venezia della Grimaldi
ha perso il carico di cobalto, il mare arriva ad una profondità di 600
metri ed ha un fondale fangoso. Tutta sabbia, per capirsi. Quindi
quando i fusti toccano il fondo, sprofondano e vengono immediatamente
ricoperti dalle correnti e dalle mareggiate successive, da strati e
strati di sabbia. Quando mi trovo a calare le reti ad una profondità di
200 metri per pescare scampi o paranza, in prossimità delle acque
dell’isola di Gorgona, avverto un fastidioso pizzicore alle mani.
Questo avviene in particolar modo d’estate. Non so perchè, ma io credo
che dipenda dal fatto che l’acqua è più calda, ribolle. E forse si
avverte di più la presenza di sostanze irritanti. Davanti a Gorgona ad
una profondità di 250 metri c’è un’enorme scatola, o meglio un grosso
blocco di cemento armato ancorato al fondale. E’ impossibile da tirare
su perché chi lo ha abbandonato, lo ha anche bloccato al fondo del
mare. E rimarrà per sempre lì».
La denuncia dimenticata - Che
nel mare toscano qualcosa non andasse i pescatori lo avevano capito,
eccome. E non da ora, ma da almeno un quindicennio. Tempo fa erano
usciti, come di consueto, con il peschereccio al largo del porto, ma
diversamente dal solito quella volta tirare su le reti era stata
un’impresa. È quanto denunciato dal consigliere regionale Marco
Montemagni in Consiglio dopo un incontro con alcuni pescatori
viareggini. «Mi hanno detto che fu molto faticoso - dice Montemagni -
perché le reti erano piene di fango». Non era tutto. Una volta lavate
videro che le maglie erano «spappolate», corrose da una sostanza acida
che aveva rovinato gran parte del tessuto provocando un danno economico
tutt’altro che trascurabile. «Il fatto fu segnalato subito alle
autorità marittime - continua - ora sono necessari controlli
immediati». Montemagni annuncia che presto potrebbe essere localizzato
il punto esatto in cui le reti furono danneggiate: «Ho chiesto
all’equipaggio di verificare le coordinate e credo che sia in grado di
farlo». Intanto, Legambiente Toscana sollecita l’intervento immediato
della magistratura e del Governo. «La Procura di Livorno si è già mossa
- dice il presidente di Legambiente Toscana Piero Baronti - chiediamo
di fare altrettanto a quelle di La Spezia e Carrara. E naturalmente il
Governo deve fare la sua parte, in modo da potere usare al più presto i
battelli per scandagliare il mare e individuare queste navi, se ci
sono». Per il presidente della commissione Ambiente del Consiglio
regionale Erasmo D’Angelis il controllo dei fondali deve estendersi
almeno fino a 10 miglia a nord di Marciana Marina, dove alle 21 del 9
luglio 2009 fu avvistata la portacontainer maltese Toscana. Secondo il
rapporto dell’autorità portuale livornese stilato dall’equipaggio
dell’imbarcazione tedesca Thales le «gru gettavano oggetti fuori bordo
che sembravano essere container da 16 piedi, circa 5 metri».
Guerrieri dell’arcobaleno -
Il 12 ottobre 2011 una decina di attivisti di Greenpeace sono entrati
in azione al palazzo della regione Liguria a Genova, sede simbolo del
Santuario dei Cetacei, per chiedere al Presidente Burlando di salvare il
Santuario. Gli attivisti hanno aperto un enorme striscione con il
messaggio “SANTUARIO INQUINATO: ORA BASTA!” e si sono incatenati a
dodici bidoni con la scritta “danger” posizionati all’ingresso. Due
attivisti travestiti da balena, hanno portato i messaggi SOS SANTUARIO e
CERCO CASA. Greenpeace ha presentato il rapporto: “Veleni a galla.
Fonti inquinanti nel Santuario dei Cetacei” denunciando con nuovi dati
la contaminazione da sostanze chimiche pericolose delle coste liguri e
toscane. Diamo i numeri. Oltre il 50 per cento dei campioni esaminati è
risultato positivo ai test di laboratorio. Tra le sostanze rinvenute,
pericolose per la salute dell’uomo e dell’ambiente: metalli pesanti,
idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e composti organici volatili.
Critica la situazione in Liguria, con valori accertati oltre i limiti in
quattro delle cinque fonti inquinanti (hot spot) testate. Presso
l’acciaieria Ilva di Genova, ad esempio, cadmio e zinco superano la
soglia di riferimento così come il triclorometano e il
tetracloroetilene, due composti organici cancerogeni. Anche in Toscana i
dati non sono positivi con quattro hot spot su sei campionati oltre i
limiti di riferimento. «Dai dati di Greenpeace, anche se preliminari e
parziali, emerge un quadro molto grave che dovrebbe obbligare le
amministrazioni locali e nazionali a intervenire con urgenza per
salvaguardare ambiente e salute - commenta il dottor Valerio Gennaro,
medico oncologo ed epidemiologo che lavora all’Istituto Tumori di Genova
e membro di Medici per l’Ambiente (ISDE-Italia) - In tanti anni di
ricerche è sempre più evidente il legame fra la contaminazione
dell’ambiente da sostanze chimiche pericolose, l’insorgenza di malattie e
gli enormi costi sociali ed economici associati». Elevati i livelli di
idrocarburi policiclici presso le aree portuali. Ad esempio, la
concentrazione di benzo(a)pirene - una sostanza cancerogena -
riscontrata nel sedimento prelevato al porto di Piombino è 90 volte
superiore al limite di riferimento. Anche nei pressi dell’acciaieria di
Piombino si rivela la presenza di IPA, di cui tre composti in quantità
doppia rispetto la soglia, e di alcuni metalli pesanti, come arsenico e
zinco. Gli stessi metalli insieme al benzo(a)pirene (con valori due
volte oltre la soglia) sono stati rilevati a Vado Ligure, presso la foce
del torrente Segno, all’Oasi dei Germani, non lontano da una località
balneare. Da anni Greenpeace monitora lo stato di salute del Santuario
denunciandone il crescente degrado. Dopo l’allarme “Sogliole tossiche
nel Santuario dei Cetacei: non ingerire”, lanciato ad agosto 2010, il
rapporto “Veleni a galla” conferma l’inattività delle Regioni e del
Ministero dell’Ambiente. «Quasi due anni fa, dal Salone Nautico di
Genova, abbiamo chiesto alle Regioni di intervenire per salvare il
Santuario - ricorda Giorgia Monti, responsabile della campagna Mare di
Greenpeace - Se Liguria, Toscana e Sardegna vogliono davvero tutelare il
Santuario, devono smetterla di rimpallare la responsabilità al
Ministero dell’Ambiente e impegnarsi subito a definire entro giugno 2012
piani di monitoraggio e misure restrittive per mitigare e, laddove
possibile, eliminare le cause principali di degrado, come
l’inquinamento. Altrimenti dovremo pensare che non sono interessate a
proteggere le balene, né la salute e l’economia dei propri cittadini».
Pesci tossici -
Le sogliole che nuotano nel Santuario dei Cetacei sono tossiche.
Contengono metalli pesanti, idrocarburi policiclici aromatici e
Bisfenolo A. Tutte sostanze pericolose per la salute. La denuncia
presentata da Greenpeace già da tempo è basata su solidi dati
scientifici: una ricerca svolta tra mar Ligure e medio-alto Tirreno per
capire quanto sono contaminate le acque di questa area: una riserva
marina grande circa 90.000 metri quadrati che si estende dalla Toscana
alla Costa Azzurra, comprendendo il mar di Liguria e quello intorno alla
Corsica. Il Santuario dei Cetacei, o Santuario Pelagos, è nato circa
12 anni fa per proteggere un ecosistema particolare dove vivono
numerosi mammiferi marini come balenottere, capodogli, stenelle e
tursiopi (della famiglia dei delfini), ma si è subito rivelato una
creatura fragile, una riserva “sulla carta” che in realtà è funestata
da inquinamento e traffico marino. Un’altra indagine di Greenpeace
aveva evidenziato nel 2009 una pesante contaminazione da coliformi e
streptococchi fecali delle acque della zona. Ora si è voluto vedere
cosa accade ai pesci. Si sono scelte le sogliole per vari motivi.
Innanzitutto conducono una vita stanziale, a contatto con i fondali
marini fangosi e quindi sono un ottimo bioindicatore, ovvero permettono
di valutare la qualità dell’ambiente in cui vivono. In secondo luogo,
sono un importante anello della catena alimentare. Di sogliole si
nutrono i cetacei, ma anche noi, esseri umani, ne apprezziamo la carne
delicata, tanto che la sogliola è tra i pesci che vengono consigliati
per lo svezzamento dei bambini. Da giugno a luglio scorsi sono stati
prelevati 31 campioni di questo pesce in 5 aree: Viareggio, Livorno,
Lerici, Genova e Civitavecchia. Le prime quattro si trovano all’interno
del Santuario, l’ultima invece si trova poco fuori del margine
meridionale dell’area. Le sogliole sono state poi inviate per l’analisi
al dipartimento di scienze ambientali dell’università di Siena. Tutti i
campioni sono contaminati da metalli pesanti, idrocarburi policiclici
aromatici e Bisfenolo A. In alcuni casi, metalli e idrocarburi hanno
raggiunto concentrazioni al di sopra dei limiti di legge. Ma di quali
sostanze stiamo parlando? Gli idrocarburi policicli aromatici (IPA) si
trovano naturalmente nel carbon fossile e nel petrolio, ma si possono
anche produrre ad esempio bruciando combustibile fossile, legname,
rifiuti. In alcuni casi vengono utilizzati per la creazione di
plastiche, coloranti, pesticidi e medicinali. Gli IPA sono tanti, ma 16
di essi sono stati inseriti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità
tra i principali inquinanti dell’ambiente. Tra questi, ce ne sono
alcuni che lo Iarc (International Agency for Research on Cancer) ha
classificato come “probabili cancerogeni per l’uomo”, mentre uno, il
benzo(a)pirene, è stato riconosciuto come sicuramente cancerogeno per
l’uomo. Il Bisfenolo A (BPA) è usato per la produzione di plastiche.
Molti studi hanno dimostrato che ha effetti cancerogeni e effetti
neurotossici, tanto che alcune industrie lo hanno eliminato dai
prodotti, soprattutto quelli destinati ai bambini. Infine, i metalli
pesanti. Nelle sogliole analizzate ne sono stati trovati tre: piombo,
cromo e mercurio. Il piombo è tossico per il sistema nervoso. Il cromo è
in grado di causare diversi effetti sulla salute umana, da reazioni
allergiche a problemi respiratori, fino a indurre cancro ai polmoni. Il
mercurio è dannoso sia per il sistema nervoso centrale che per i reni.
Sicuramente il campione di sogliole preso in esame dalla ricerca di
Greenpeace è piccolo, ma ci dà comunque un’indicazione importante.
Soprattutto perché quei pesci provengono da un’area che dovrebbe essere
protetta. Il Santuario dei cetacei è nato da un accordo tra Italia,
Francia e Principato di Monaco per preservare questo ecosistema e gli
animali che lo abitano. Ma secondo le recenti stime dell’Istituto
Thetis, la mortalità dei cetacei è in aumento. A ottobre del 2009 sono
state adottate dieci risoluzioni per far fronte alle principali
problematiche del Santuario: l’inquinamento acustico, il traffico
marittimo, la pesca illegale e l’inquinamento marino. Ma tutto è
rimasto lettera morta. Anzi, pochi mesi dopo, il Segretariato
Permanente del Santuario ha chiuso la sua sede a Genova e il segretario
esecutivo Philippe Robert è tornato ad occuparsi delle aree marine
protette francesi. Insomma: un Santuario senza fondi e senza sostegni
istituzionali.
Bomba ad orologeria -
Il rigassificatore OLT sorge nell’area tutelata dall’Accordo sul
Santuario dei Cetacei. Greenpeace è stata tra i promotori dell’idea di
Santuario ma ha criticato l’Accordo che non ha sancito nessuna vera
misura di tutela: ora il Santuario viene minacciato da nuove attività in
contrasto con le più elementari norme di conservazione. L’impianto
potrebbe rappresentare un pericoloso precedente per la creazione di siti
industriali in mare, non essendoci nemmeno una normativa completa che
regoli tutti i tipi di emissione di impianti industriali off shore.
Esistono rischi ambientali inaccettabili, che non sono stati
correttamente valutati nella procedura di Valutazione di Impatto
Ambientale (VIA) che ha portato all’autorizzazione dell’impianto.
Secondo gli esperti di Greenpeace questi rischi riguardano: la
mobilitazione dei sedimenti e in particolare di quelli, contaminati,
provenienti dal porto di Livorno; il popolamento di Posidonia oceanica,
che si intende trapiantare senza che sia garantito il buon esito del
trapianto; la presenza di cloro negli scarichi dell’impianto, ignorata
nella Valutazione di Impatto Ambientale; la dispersione in mare degli
scarichi dell’impianto; nessuna analisi sulla rumorosità dell’impianto
industriale e dell’impatto sulle popolazioni di cetacei residenti e
migratori. Il Santuario dei Cetacei, in quanto area “speciale” e
protetta, dovrebbe far convergere fondi per sperimentare nuove opzioni
di interazione tra le attività umane e l’ambiente marino, considerando
anche le attività industriali e produttive. Purtroppo il rigassificatore
OLT rappresenta un esperimento negativo, che potrebbe danneggiare
seriamente l’ecosistema marino. L’idea di spostare in mare, dove non ci
sono controlli e abitanti che protestano, le attività industriali che
sporcano e inquinano è molto allettante. L’Italia ha autorizzato la
realizzazione in mare - in un’area che il sito web del ministero
dell’Ambiente considera “area protetta” - di un sito industriale. Si
tratta di un rigassificatore, un tipo di impianto industriale
considerato “a rischio” dalla Direttiva Seveso, creata dall’Ue per
mettere un freno ai disastri industriali. Sulla base di un’istruttoria
irregolare, con falsi documentali e ricerche fasulle, l’Italia ha deciso
di collocare il rigassificatore al largo della costa di Pisa-Livorno
dove, hanno affermato, ci sarebbe un “buco” nel Santuario dei Cetacei.
Ciò è smentito da numerose osservazioni che confermano la presenza
nell’area di stenelle, tursiopi e delfini comuni. E di questo l’Italia
non ha neppure informato il Segretariato del Santuario dei Cetacei.
Greenpeace ha prima smontato la Valutazione di Impatto Ambientale
costruita dal ministero dell’Ambiente e poi ha dimostrato che essa si
basava anche su falsi documentali, regolarmente denunciati alla
Magistratura. Eppure, nonostante nel 2008 il TAR della Toscana avesse
dato ragione a Greenpeace e comunità locali e sospeso l’autorizzazione
all’impianto, il Consiglio di Stato, mentendo spudoratamente, ha poi
annullato tale sentenza, dando il via all’inizio del 2010 alla
costruzione del rigassificatore. Greenpeace ha protestato contro
l’inizio dei lavori nell’area, chiedendo al ministro dell’Ambiente di
intervenire e “Salvare il Santuario”. Gli ecologisti hanno atteso per
ben 12 ore dalla gru della nave posacavi una risposta del ministro
Stefania Prestigiacomo che però non è mai arrivata. Uno scandalo per
tutti: lo scarico in mare di mercurio della Solvay a Rosignano.
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