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03/11/2013

Bagdad chiede armi agli Usa

Il premier iracheno Nouri al Maliki ha presentato ieri a Barack Obama la richiesta di un aiuto militare per contrastare l'avanzata di al Qaeda in Iraq. Attentati kamikaze e attacchi terroristici dall'inizio dell'anno hanno fatto oltre 5.400 morti, in maggioranza tra la popolazione civile. E il mese di ottobre ha segnato un record negativo: 964 morti, il numero più alto in un solo mese dall'aprile del 2008.

Maliki avrebbe chiesto elicotteri Apache e altri armamenti durate un incontro di due ore alla Casa Bianca. Ma al termine del colloquio, il primo dal 2011, il presidente statunitense non ha parlato di alcuna offerta di aiuti militari da parte della sua amministrazione. Si è limitato a costatare la difficile situazione del Paese e la necessità di un'azione "urgente" di sostegno alle Forze armate irachene.

Maliki, però, non convince i vertici della Forze armate Usa né alcuni membri del Congresso. Secondo i militari, l'Iraq sta pagando per la sua politica di esclusione di sunniti e curdi dal governo e per il suo avvicinamento all'Iran.

Il premier iracheno ieri ha esortato la comunità internazionale a un maggiore impegno nel contrasto ad al Qaeda, ritenuta da Bagdad responsabile delle violenze che da mesi segnano il Paese. Maliki ha invocato una "terza guerra mondiale" contro il terrorismo, rinvigorito, a suo dire, dal vuoto creato nella regione mediorientale dalla caduta di alcuni regimi in seguito alle cosiddette primavere arabe. "Vogliamo una guerra internazionale contro il terrorismo", ha detto, chiedendo inoltre la convocazione di una conferenza internazionale per affrontare la questione. Una richiesta di aiuto che arriva due anni dopo il rifiuto del suo governo di mantenere truppe americane sul suolo iracheno con l'immunità legale, dopo la fine formale dei nove anni di guerra.

Ma Bagdad è spesso oggetto di critiche per la sua strategia contro l'ondata di violenze settarie tra sunniti, che al tempo di Saddam Hussein erano la classe dirigente, e sciiti, che guidano il Paese, che ha fatto migliaia di morti e ha gettato l'Iraq sull'orlo di una guerra civile. Le leggi antiterrorismo varate dal governo sono applicate soprattutto contro i sunniti, e lo stesso primo ministro, Nuri al Maliki, al potere dal 2006, è accusato di alimentare le violenze per emarginare gli avversari. Il ricorso massiccio alla pena capitale non pare sortire effetti. Il settarismo domina la vita pubblica e non è stato aperto un vero dialogo tra sunniti e sciiti. Da oltre un anno la comunità sunnita ha iniziato un movimento di protesta, ma la risposta di Bagdad è stata la repressione: ogni forma di opposizione è considerata una insurrezione settaria che giustifica l'uso della forza da parte del governo. La polizia fa continui blitz nei quartieri sunniti, arrestando decine di "terroristi" e alimentando il malcontento della popolazione. Inoltre, molte organizzazioni per la difesa dei diritti umani accusano le autorità irachene di ricorrere alla tortura per ottenere confessioni su cui si basano sentenze di condanna a morte. Il governo nega e sostiene di avere giustiziato soltanto "terroristi" colpevoli di avere ucciso innocenti.

Per l'esecutivo guidato da Maliki, dietro gli attentati che quasi quotidianamente mietono decine di vittime tra la popolazione inerme c'è al Qaeda, ma, fa notare, il Guardian, in Iraq sono attive milizie legate all'esecutivo che pure commettono crimini contro la popolazione. Il premier, inoltre, ha negato che il Paese sia teatro di uno scontro settario. Washington ha già manifestato la sua volontà di impegnarsi a sostenere Bagdad contro l'espansione della violenza nel Paese, ma ha precisato che "serve una strategia" che non può basarsi soltanto sul potenziamento militare e su una tattica esclusivamente difensiva.

Fonte

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