1. E' molto in voga tra alcuni ambienti della cosiddetta sinistra radicale italiana una narrazione delle tristi vicende greche fondata sul vecchio assioma del TINA (there is no alternative, non c’è alternativa).
L’assioma viene utilizzato dai seguaci del mito di Tsipras come pezza a colori non solo per giustificare, ma addirittura, impudicamente, per esaltare e glorificare l’indecente capitolazione nei confronti della UE, seguita dalla riaffermata e arrogante pretesa di essere chiamato a governare ancora la Grecia, sia pure con una linea e una maggioranza ben diverse da quelle che rappresentava fino a pochi giorni fa.
Il tentativo ideologico di utilizzare la TINA deve esser criticato duramente, a partire dal terreno metodologico e semantico. Il TINA, infatti, è intrinsecamente reazionario e controrivoluzionario, perché necessariamente implica la negazione della possibilità e pensabilità stessa di un ordine delle cose diverso da quello storicamente prevalente in un dato punto dello spazio-tempo. Non per nulla, era il favorito della vecchia e combattiva signora Thatcher. Ed è anche sbagliato. In termini generali, in ogni circostanza storica, come in ogni momento della vita delle donne e degli uomini, esistono sempre delle possibili alternative, tra le quali individui, gruppi e organizzazioni compiono scelte utilizzando la loro ragione e le loro emozioni, e usufruendo di maggiori o minori gradi di libertà.
In alcuni settori della sinistra radicale italiana ed europea, inoltre, il tinismo si accompagna ad un pregiudizio eurocentrico para-razzista, che porta molte persone, sia pure incoscientemente, a vedere quel che succede in Europa in modo autoreferenziale. Nella loro visione del mondo, fuori dai centri tradizionali del capitalismo più sviluppato si aggirano solo dittatori dello stato libero di Bananas e repressori dei diritti umani, quasi tutti neri o gialli per giunta, in mezzo ad un oceano di disperata miseria. Gente e posti dai quali è meglio tenersi lontani, altro che BRICS.
E' quindi molto grave che alcuni compagni – molti dei quali rispettabilissimi, colti e in buona fede; non mi riferisco ai soliti vendolian-bertinottiani, che pure erano ampiamente rappresentati nella variopinta brigata kalimera – si lascino andare alla tentazione di utilizzare una argomentazione così volgare, irrazionalistica, e non priva di risvolti emotivi di bassa lega quali il ricatto morale machista da osteria (ma che dici, armiamoci e partite? vorrei vedere te in quella situazione, che razza di uomo sei!) e il terrorismo psicologico implicito nell’incutere la paura dell’ignoto e dell’inimmaginabile.
2. Sul piano del merito, invece, il TINA si basa su alcune credenze assai poco fondate empiricamente, storicamente o scientificamente. Le principali sono le seguenti:
I. “Non è ontologicamente possibile uscire dall’euro e ritornare alla moneta nazionale. Ergo, dopo mesi e mesi di infruttuose e surreali prediche rivolte ai “partner” europei - “non vi rendete conto, cari amici, che anche voi stareste molto meglio se la Grecia non fosse più soffocata dall’austerità, perché aumenterebbe la nostra domanda di importazioni… se non ci aiutate avrete a che fare con i nazisti (come se una simile prospettiva potesse preoccupare i democratici governi europei!) – non rimane che sottostare allo strapotere tedesco e accettare qualunque condizione esso ponga per fare rimanere la Grecia nell’euro.”
In realtà, una uscita della Grecia dall’euro sarebbe stata possibile, anche se avrebbe implicato gravi costi (almeno nel breve periodo) e notevoli rischi. Ci sono numerosi esempi storici di paesi che hanno cambiato nettamente la loro collocazione geopolitica, l’orientamento delle loro politiche economiche e monetarie, e che sono entrati o usciti da diverse forme di accordo commerciale o valutario, con risultati spesso almeno parzialmente positivi se visti in una prospettiva strategica.
Quasi tutti gli economisti marxisti e molti economisti che marxisti non sono (tra i quali, ad esempio, i premi Nobel Krugman e Stiglitz e alcuni dei migliori opinionisti del Financial Times) sostengono che la Grecia non potrà avere alcuna prospettiva seria di sviluppo rimanendo nell’euro negli anni a venire, e che al contrario con l’uscita da questa infernale trappola monetaria vi potrebbero essere buone prospettive di ripresa nel medio e nel lungo periodo.
Del resto, lo stesso Shaeuble ha sostenuto che sarebbe meglio, sia per il popolo ellenico che per il resto della UE, se la Grecia uscisse dall’euro. Quasi tutti i commentatori hanno interpretato questa affermazioni come il colmo della folle malvagità teutonica, che grazie a Dio è stata (per ora) rintuzzata dall’intervento provvidenziale di Hollande. Al contrario, credo che Shaeuble abbia ragione. Syriza avrebbe fatto meglio ad andare a vedere il suo gioco e tentare una uscita consensuale dall’euro con l’appoggio dei falchi tedeschi, piuttosto che accettare le umilianti condizione impostegli per restarci dentro (per quanto tempo, peraltro, non si sa, perché l’euro stesso è comunque destinato all’immondezzaio della storia e ci finirà più presto di quanto molti credano).
II. “Non sarebbe stato comunque democratico né onesto uscire dall’euro, perché il programma elettorale di Syriza prevedeva di restarci”.
Apparentemente vero... ma fino a un certo punto. Il programma prevedeva anche la fine dell’austerità e il recupero della sovranità nazionale. Syriza aveva confezionato un discreto strumento acchiappavoti promettendo di dare alla gente la botte piena e la moglie ubriaca. E fin qui ci si può anche stare. Si sa che le regole della democrazia realmente esistente funzionano così, e andare alle elezioni privandosi del tutto della opportunità di fare promesse non realizzabili equivarrebbe ad andare a uno scontro di piazza senza i bastoni. Ma – a parte il fatto gravissimo che anche molti dei quadri credevano veramente che l’euro fosse compatibile con il resto del programma, peccando così di estrema ingenuità e mancanza di realismo – un'organizzazione seria potrà anche raccontare qualche bugia in campagna elettorale, e fare promesse demagogiche e contraddittorie, ma se poi riesce ad andare al governo dovrò almeno applicare quella parte del programma in cui credeva veramente. Non avere progressivamente posto l’accento sul cambiamento ma sulla continuità, e non avere nemmeno tentato di utilizzare la “luna di miele” di Tsipras per una campagna maieutica di propaganda e informazione volta a preparare i greci all’uscita dall’euro, sono state mancanze gravi di Syriza.
La fazione di destra del partito, inoltre, ha compiuto un salto di qualità in senso regressivo negli ultimi giorni del negoziato. Tsipras, questa volta sì cinicamente, ha utilizzato il risultato del referendum al contrario, per rafforzare il proprio potere personale, fare fuori la componente di sinistra e andare alla indecente capitolazione finale. Il vero colpo di stato – all'interno del governo – lo ha fatto lui.
III. “Si, forse, ma non c’era il piano B. E non ci doveva essere, perchè Tsipras negoziava in buona fede (a differenza di quei cattivi dei tedeschi), convinto di ottenere un 'onorevole' compromesso e dichiarando ai quattro venti che mai e poi mai sarebbe uscito dall’euro. Né ci poteva essere, perché sarebbe stata un’impresa troppo complicata metterlo in piedi”.
Il piano B (che, anzi, sarebbe dovuto essere in realtà il piano A) si sarebbe dovuto approntare molto tempo prima, cominciando nel frattempo ad intraprendere azioni decise per controllare le banche e i movimento di capitale e attaccare il potere degli oligarchi in settori chiave come quello navale, dei trasporti e delle telecomunicazioni. La storia recente dell’America Latina, in particolare, insegna che queste opzioni radicali non sono impraticabili, e sono a volte anche compatibili con il mantenimento sostanziale della pace e della democrazia, anche in presenza di un conflitto di classe durissimo contro la borghesia e l’imperialismo. Almeno, una volta iniziati i negoziati, si sarebbe potuto tenere nel cassetto una opzione tecnica con le misure standard di emergenza necessarie per il cambiamento di moneta (come il povero Varoufakis ha tentato di fare negli ultimi giorni, venendo peraltro sonoramente bocciato come un pericoloso estremista).
Negoziare senza piano B, come ha fatto ingenuamente (e anche un po’ irresponsabilmente) Syriza, equivaleva a voler contrattare il prezzo di una camicia su una bancarella dopo avere solennemente affermato che la si comprerà sicuramente. Non c’è bisogno di scomodare la teoria dei giochi per capire che la reazione logica del venditore sarà quella di alzare continuamente il prezzo. Come infatti è successo.
IV. “I russi e i cinesi non erano disposti ad aiutarci, e la Grecia da sola nel 2015 non sarebbe andata da nessuna parte perché non è la Russia del 1917, che era pur sempre un paese grande e grosso”.
Questo argomento del TINA contiene una parte di verità, ma a mio parere attribuirgli una valenza assoluta e preponderante sarebbe sostanzialmente sbagliato.
Innanzitutto, molti studi e simulazioni condotte da validi economisti con metodologie del tutto ortodosse mostrano che l’opzione dell’uscita dall’euro condurrebbe a risultati macroeconomici superiori nel medio e lungo periodo, senza introdurre affatto nel modello analitico l’ipotesi di un sostanziale aiuto esterno. Del resto, sarebbe difficile immaginare che personaggi autorevoli come Krugman o Stiglitz vogliano fare della Grecia un docile vassallo dell’orso russo o del dragone cinese.
Inoltre, considerato il panorama geopolitico mondiale e l’esperienza di circostanze storiche in qualche modo paragonabili, non sarebbe stato realistico aspettarsi da parte di Cina e Russia un pronunciamento palese e aggressivo a favore del mutamento di collocazione strategica di un membro della NATO, soprattutto in questa fase iniziale del governo di Syriza. I dirigenti russi e cinesi non sono degli incoscienti o degli avventuristi. Dopotutto, anche all’epoca della guerra fredda l’Unione Sovietica non mandò i cosacchi sulla Sierra Maestra ad appoggiare Fidel prima della vittoria della rivoluzione cubana. Ma sia i russi che – più discretamente – i cinesi di solito non fanno mancare un certo appoggio diplomatico ed economico (interessato quanto si vuole) ai governi che cercano di affermare una linea di indipendenza nazionale e di resistenza all’imperialismo.
Quanto al poco che traspare dalle informazioni accessibili al pubblico (come è ovvio, questo genere di questioni non viene discusso nei talk show, almeno nei paesi seri), i sostenitori del TINA fanno riferimento in gran parte a dichiarazioni dello stesso Tsipras successive alla capitolazione finale. Quando il valore della sua parola è chiaramente tracollato. Piuttosto, è certo che Putin aveva più volte espresso in modo abbastanza chiaro la sua disponibilità ad aiutare la Grecia, ipotizzando anche un appoggio da parte della nuova banca internazionale di sviluppo creata dai BRICS. Ma la Grecia, in buona sostanza, ha risposto con un voto di conferma alle sanzioni europee contro la Russia. Anche la Cina aveva dichiarato ufficialmente di essere pronta ad aiutare la Grecia, auspicando peraltro che rimanesse nell’eurozona. Almeno si sarebbe potuto tentare di sfruttare un pò di più la sponda cinese (potenzialmente generosissima) per ottenere condizioni meno onerose nel medio periodo, aiutando Xi ad ottenere vantaggi geopolitici ed economici e dotandosi di un potente partner che avrebbe consentito alla Grecia, sia pure in modo discreto, di non essere più isolata e priva di appoggi come lo è adesso.
V. “Gli altri governi europei 'di sinistra', Francia e Italia in primo luogo, e gli amici della sinistra socialdemocratica europea non ci hanno aiutati: che vergogna, chi l’avrebbe mai detto, noi ci contavamo e ci hanno spiazzati”.
Questo argomento è semplicemente risibile. Era evidente da molto tempo che i soggetti statuali e non statuali riconducibili alla “famiglia” socialdemocratica europea non sono meno reazionari e imperialisti dei loro confratelli liberali o democristiani. Anzi, spesso (come nel caso dei socialisti francesi) si distinguono per loro aggressività e irresponsabilità militarista e guerrafondaia.
3. In questo breve articolo ho cercato di rappresentare e criticare, in modo necessariamnte approssimativo e per certi versi volutamente caricaturale, la fallacia metodologica e fattuale di una interpretazione della tragedia/farsa greca che io considero sbagliata, innanzitutto da un punto di vista culturale. Come comunisti, a mio parere, dobbiamo continuare il dialogo sereno con tutti gli interlocutori possibili (compresi quelli che, come il M5, non provengono dalla tradizione del movimento operaio ma sono in pratica molto più avanzati di tanti altri che si collocano formalmente alla loro sinistra), ma cercando di elaborare e difendere il nostro specifico punto di vista, anche in presenza della desolante frammentazione organizzativa che non ci consente di intervenire come attori efficaci nella scena politica italiana.
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