Governo e media sono ormai il gatto e la volpe. Si tengono bordone, si coprono a vicenda, dipingono una realtà inesistente (“la ripresa!”). Soprattutto sperano che avvenga qualcosa di positivo, anche se a questo punto totalmente imprevedibile. Nessun dato o segnale, infatti, spinge in questo senso.
Ma come – potreste obiettare – l’Unione Europea ha appena dato il via libera alla bozza legge di stabilità presentata da Renzi e Padoan, concedendo buona parte della “flessibilità” richiesta… è una vecchia pratica di potere, soprattutto da servizi segreti, mischiare scampoli di verità con cofanate di menzogne. Quindi il dato vero (effettivamente è stata concessa un po’ di flessibilità per l’anno in corso) è il contrappeso fashion di tutto l’orrore che non può esser detto.
Prendiamo alcuni titoli dai quotidiani mainstream di oggi: “Ue: sì alla flessibilità, ma bisogna fare di più su debito, tagli e pubblica amministrazione” (IlSole24Ore), “la vigilanza resta alta. Attesi segnali su Pil e debito”, (IlSole24Ore), “Ok dell’Ue sui conti, Italia promossa. Ma a ottobre ci sarà un nuovo esame” (La Stampa), e si potrebbe andare avanti a lungo.
Più interessante è il dettaglio delle “misure” che l’Unione Europea pretende di veder realizzate entro il prossimo anno: ulteriori privatizzazioni del patrimonio pubblico (da destinare alla riduzione del debito e non ad altri scopi), aumento delle tasse indirette (Iva) e sulla proprietà (immobili essenzialmente), velocizzazione della giustizia civile, tagli della spesa pubblica e del welfare (con introduzione di non meglio precisate “misure contro la povertà”), liberalizzazioni (per Uber e similari), ecc. Quanto basta per capire che l’anno prossimo bisognerà restituire con gli interessi i margini di flessibilità ora concessi dalla Ue per non mettere immediatamente in crisi il più solido – sul piano politico – dei grandi paesi dell’Unione. Nella provincialissima ottica italiana, infatti, sfugge il piccolo dettaglio che nessun paese della Ue in questo momento può dirsi”stabile”. Non la Gran Bretagna che tra un mese va al referendum sull’uscita dall’Unione (e i sondaggi non sono favorevoli agli “europeisti”). Non la Spagna, che torna alle urne solo tre giorni dopo per rinnovare il Parlamento eletto solo sei mesi fa. Non la Francia, squassata dalle proteste contro il Jobs Act che precarizza il lavoro, con Hollande in picchiata e nessun sostituto credile in vista. Non la stessa Germania, che vede crescere gli euroscettici di Alternative fur Deutchland a scapito di Spd e democristiani.
Ma la condiscendenza verso il governo Renzi non significa affatto compassione per il martoriato paese in cui viviamo. Tutti hanno notato che la Merkel e Schaeuble, stavolta, hanno evitato di fare i paladini del rigore durissimo e purissimo. Pochi si sono fatti una ragione del perché.
Tra questi, e quasi incidentalmente, Tonia Mastrobuoni, sul renzianissmo La Repubblica.
Soprattutto, la Germania sta osservando come procede la ristrutturazione del sistema bancario, afflitto dal nodo sofferenze che il governo sta tentando di risolvere con il fondo Atlante.
Lasciamo perdere l’analisi della qualità sistemica di questo fondo – costituito con contributi delle banche e dotato di risorse che potrebbero essere insufficienti al salvataggio della sola Popolare di Vicenza – e guardiamo invece agli effetti della recentissima (3 maggio 2016) legge che introduce e regola il “patto marciano” tra debitori (imprese, in genere) e creditori (le banche). Una legge che ha un rischio-sistema elevatissimo, e che potrebbe nel giro di pochissimo tempo portare allo smantellamento di quel che resta della capacità industriale italiana. Nei giorni scorsi abbiamo ospitato analisi dettagliate degli effetti prevedibili di questa legge e non c’è dubbio che la realizzazione anche solo parziale di una simile catastrofe sarebbe ben vista dalle filiere tedesche, in grado di assorbire marchi e brevetti a prezzi stracciati, eliminando al tempo stesso una concorrenza spesso anche molto valida.
Un vero e proprio programma di deindustrializzazione attuato attraverso l’azione quotidiana di un sistema bancario “riformato”, “più concentrato” (come consiglia Pier Carlo Padoan in una intervista a La Stampa di oggi), “con meno sofferenze”. Tutto normale, in teoria. In pratica, però, quelle “sofferenze” costituiscono l’intero margine di sopravvivenza del sistema delle imprese nel perdurare della crisi. Se le banche sono di fatto obbligate a chiedere il rientro rapido dei prestiti concessi (per “ridurre le sofferenze”), le imprese più indebitate si troveranno improvvisamente a dover vendere, chiudere, fallire. Una storia – secolare – di sviluppo industriale supportato dal sistema bancario si volgerebbe insomma nel suo contrario, con la sopravvivenza delle banche elevata a priorità assoluta e tutto il resto a fondo.
Resta la domanda: ma il governo che ha scritto e fatto passare queste norme è così stupido o solo criminale? Ignoranza o dolo, insomma. In ogni caso, una disgrazia.
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