L'Unione Europea è in fibrillazione. Il referendum sulla Brexit sta portando allo scoperto contraddizioni e problemi fin lì cuciti con un filo sottilissimo, quasi inconsistente, che era rappresentato plasticamente dal cosiddetto “asse Parigi-Berlino”. In realtà tutti hanno sempre saputo che Berlino è il Sole e la Francia deve girargli intorno, visto lo squilibrio economico tra i due paesi – anche rispetto ai parametri di Maastricht, con Parigi che non riesce da un decennio a stare nei limiti del deficit e Berlino che sfora regolarmente, e di molto, quelli del surplus – ma la parità fittizia serviva ad entrambi per non dare l'impressione di una “Europa tedesca” e costruire più facilmente il consenso dei vari governi a misure di politica economico-finanziaria chiaramente suicide.
Il punto di equilibrio esterno era la Gran Bretagna, che sta ancora rinviando l'avvio delle procedure per la Brexit con il tacito consenso tedesco. Ma se un grande paese può decidere di andarsene, allora non c'è più ragione per non rivedere l'insieme delle scelte fin qui fatte. Perlomeno sul tema che sta massacrando i paesi più deboli, non casualmente quelli del Mediterraneo.
E la riunione di ieri ad Atene, convocata da un Alexis Tsipras in grande debito di ossigeno – paese in recessione, Troika inferocita per la lentezza con cui sta comunque procedendo “sulla strada delle riforme”, minacce di non ricevere le altre tranche del “programma di aiuto”, consenso popolare in discesa libera – sembra un primo tentativo di creare un “Club Med” in grado di riequilibrare lo strapotere del “gruppo di Visegrad”, che vede Berlino – appunto – al centro di una solida alleanza tra i paesi del Nord e dell'Est europeo.
Sembra, per l'appunto, perché nessuno dei protagonisti – oltre al padrone di casa c'erano il maltese Joseph Muscat, il portoghese Antonio Costa, il presidente di Cipro Nikos Anastasiadis, il segretario di Stato per gli affari europei del Governo spagnolo, Fernando Eguidazu, e soprattutto Matteo Renzi e Francopis Hollande – ha la minima intenzione di “contrapporsi” alla guida effettiva dell'Unione.
Questione di forza, di bilanci, di prospettive. Non appare per esempio un dettaglio che la Spagna fosse rappresentata da un viceministro invece che dal presidente del consiglio (ancorché solo “facente funzioni”, visti i risultati paralizzanti di due elezioni politiche in sei mesi).
Questione anche di idee. Tutti e sette i protagonisti che hanno sottoscritto la “Carta di Atene” chiedono l'ovvio: basta con l'austerità a tutti i costi e una ripartizione più sensata dei flussi di migranti da Africa e Medio Oriente. Ma tutti sanno che l'anno prossimo si vota in Germania, quindi nessun vero cambiamento può essere chiesto prima che Angela Merkel – è la speranza di tutti, nelle cancellerie europee – venga confermata in sella. A chieder troppo e subito, infatti, c'è solo il rischio di favorire candidati alternativi e ancor meno disposti a sacrificare anche un solo euro di benessere tedesco per sfamare le “cicale mediterranee”.
Cazzate razziste, certo, ma le elezioni si giocano su queste cose anche lì.
Quindi la riunione di Atene – che sarà seguita da un altro incontro in Portogallo, in data da fissarsi – è solo un accenno di “club dei disperati”, del tutto privi di soluzioni alternative come di forza per imporle, che si compatta un po' per chiedere... “margini di flessibilità più ampi”.
Non stupisce che le prime reazioni da Berlino e Eurogruppo siano decisamente sprezzanti. Wolfgang Schäuble è stato come sempre il più velenoso («quando i leader socialisti si incontrano, il più delle volte, non esce nulla di intelligente»), mentre Jeroen Dijsselbloem, presidente dell'illegale Eurogruppo è arrivato a minacciare la sospensione dei prestiti per 2,8 miliardi di euro attesi dalla Grecia, se Tsipras non si sbrigherà a privatizzare anche il settore dell'energia e quel poco di “pubblico” che è rimasto in piedi.
Il clima giusto, insomma, per restituire a Jean-Claude Juncker, nel prossimo vertice, il mantello di grande mediatore che riporta all'ovile le pecorelle recalcitranti sotto il dominio totale del “lupo cattivo”.
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