di Francesca La Bella
Analizzando la storia
recente della Libia è molto facile imbattersi in riferimenti alla
politica ed all’economia italiana. Se per molto tempo, l’industria
italiana ha avuto un ruolo centrale nell’economia locale e l’Italia è
stato uno dei maggiori partner dell’economia libica, con l’intervento di
altri attori internazionali questo rapporto sembrava essersi
indebolito.
Le relazioni tra i due Paesi, invece, sembrano aver resistito
sia alla caduta del Colonnello Gheddafi sia alla successiva guerra
civile nel Paese. Nel ribilanciamento delle alleanze e degli
investimenti, infatti, l’Italia è riuscita a mantenere un legame
preferenziale funzionale sia agli interessi dell’imprenditoria italiana
sia al controllo dei flussi migranti.
Nonostante la guerra civile abbia portato molti a lasciare il Paese
una significativa presenza italiana in Libia continua a persistere e
alcune aziende, come la Contratti Internazionali Costruzioni, ditta dei
due italiani rapiti lo scorso mese, hanno continuato ad operare. Secondo
quanto riportato da Middle East Eye, Bruno Cacace, Danilo
Calonego e il collega canadese identificato solo come Frank, dipendenti
della ditta italiana, dopo il sequestro a Ghat, cittadina sul confine
con l’Algeria, sarebbero nelle mani di un gruppo guidato da Abdellah
Belakahal, algerino membro di Al Qaeda nel Maghreb Islamico (Aqim), che
al momento starebbe agendo indipendentemente dall’organizzazione
maggiore.
In base alle fonti della testata, sarebbe stato richiesto un riscatto
di 4 milioni di euro per non consegnare gli ostaggi ad Aqim e la
trattativa verrebbe portata avanti, grazie all’intervento del governo
algerino con la mediazione di Tuareg e Tebu, i due gruppi etnici che
hanno un significativo controllo territoriale nell’area del Fezzan.
L’impegno nell’area del Fezzan non è, però, solo di carattere economico. Dal
3 al 5 ottobre si sono riuniti a Roma i rappresentanti delle tribù
Awlad Suleiman e Tebu per sottoscrivere, con la mediazione della
Comunità di Sant’Egidio, una dichiarazione congiunta in cui si afferma
la volontà di collaborare per il bene comune e favorire il
dialogo per la risoluzione di tutte le divergenze nella città di Sebha.
Il ruolo della Comunità nella stabilizzazione del Fezzan aveva già
portato nel giugno 2015 alla firma di un accordo umanitario tra tutte le
componenti della regione meridionale libica e a novembre 2015 ad un
accordo per la pacificazione della città di Ubari.
I legami di lungo corso tra le amministrazioni dell’area e l’Italia
potrebbero, dunque, essere la chiave di volta di una
stabilizzazione della questione. L’area adiacente al confine
occidentale tra Libia e Algeria è, infatti, da molto tempo zona di
interesse italiano. Se nel sud, nell’area di Murzuq, l’Elephant Field
(El Feel Field), il più grande bacino petrolifero libico, di proprietà
Eni è bloccato dal 2015 dopo che le Guardie Petrolifere ne levarono il
controllo alle tribù Tebu, nel nord, il terminal di Mellitah è il porto di partenza del gasdotto Green Stream che collega Libia e Italia.
Significativo, in questo senso, notare come l’ente petrolifero libico
(Noc), immediatamente dopo il sequestro e in concomitanza con la
ripresa delle esportazioni dai porti libici dopo la conquista da parte
dell’esercito di Khalifa Haftar, abbia rilasciato pesanti dichiarazioni
contro le Guardie Petrolifere, chiedendo l’immediato sblocco
dell’Elephant Field. Il mantenimento dei rapporti con il capitale
italiano sembra, dunque, essere una priorità per l’ente nazionale
libico.
Da questo punto di vista l’interesse libico per l’Italia appare ancor
più evidente guardando alle dichiarazioni rilasciate al Corriere della
Sera da Ali Mahmoud Hassan Mohamed. Il presidente del Fondo
Sovrano Libico (Lia) sarebbe, infatti, in Italia per incontrare i
responsabili dei maggiori gruppi imprenditoriali italiani e dare nuova
linfa alle relazioni economiche tra Italia e Libia.
Con gli
incontri con Claudio Descalzi (Eni), Mauro Moretti
(Leonardo-Finmeccanica), Claudio Costamagna (Cassa Depositi), Marco
Alverà (Snam), Jean Pierre Mustier (Unicredit), la presidenza del
Consiglio e il ministero dell’Economia, la Lia vorrebbe nuovamente
presentarsi con partner credibile per l’investimento italiano.
Da un lato, dunque, presentare le opportunità per le aziende
italiane nella ricostruzione libica e, dall’altra, valutare la
possibilità di una presenza della Lia nei Consigli di Amministrazione
grazie all’investimento di fondi interni libici e, in futuro, allo sblocco dei fondi congelati dopo il 2011.
La tutela dell’interscambio economico sembra, dunque, essere una
priorità sia da parte libica sia da parte italiana, ma parallelamente
esiste un’altra questione che lega strettamente i due Paesi: la tutela
dei confini europei. Se il sottosegretario agli Esteri Vincenzo
Amendola, in visita privata in Libia ad inizio settimana, ha incontrato
Abdul-Salam Kajman, membro del Consiglio di Presidenza di Tripoli, per
discutere delle relazioni tra i due Paesi e del problema
dell’immigrazione clandestina, il Ministro Pinotti – rispondendo in
Senato in merito ai contingenti italiani in Libia – ha dipinto il quadro
di insieme: la presenza italiana in Libia avrebbe l’obiettivo di
consolidare il governo, favorire il dialogo con Tobruk e supportare la
Libia nel contenimento dell’immigrazione clandestina. A partire
dal 24 ottobre dovrebbe, infatti, iniziare l’addestramento da parte di
funzionari italiani della guardia costiera e della Marina libica per un
più efficace controllo delle rotte migratorie.
Ciò che maggiormente colpisce nell’analizzare la grande mole di notizie relative al rapporto tra Italia e Libia è che
le relazioni tra le due parti appaiono come totalmente dipendenti dalla
necessità dell’Italia di tutelare sé stessa. In una logica
neo-coloniale, il capitale italiano, supportato dalla politica, lavora
al consolidamento di uno Stato centrale sufficientemente forte da
garantirne gli interessi, ma abbastanza debole da vivere in uno stato di
sudditanza. In questa logica, ciò che non è funzionale agli
interessi del Paese europeo diventa una questione di secondo piano, come
il tenore di vita della popolazione libica, o un problema a cui porre
rimedio, come nel caso dei flussi migratori.
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