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03/10/2016

Rapporto da Erbil. Intervista con Ezel di ritorno dal Rojava

Giungere ad Erbil è più facile di quanto si possa pensare e a differenza di altri luoghi in guerra e con una presenza attiva di Daesh, i controlli all'aeroporto non sono poi così approfonditi.

La regione autonoma del kurdistan iracheno, sebbene riconosciuta dal 1991 dal governo centrale di Bagdad, non gode ancora di completa indipendenza. Basti pensare che il commercio del petrolio di questa zona non può essere attuato senza l'accordo con il governo centrale dell'Iraq.

Erbil è una città di 2,5 milioni di abitanti in continua trasformazione. Le gru dei molteplici cantieri, sovrastano i tetti della vecchia città o avanzano verso campi liberi alla periferia urbana. Uno sviluppo certamente ottenuta anche grazie alla politica filo americana del presidente Barzani che con i suoi peshmerga lavora affinché la sua real politik abbia sostegno e il progetto del Rojava sia solo un sogno irraggiungibile.

A differenza della vicina Bagdad, dove la guerra civile tra sciiti e sunniti è routine quotidiana, qui a Erbil la vita scorre tranquillamente. Almeno in apparenza, perché i contrasti con il governo centrale, che riguardano la questione dei confini, della gestione delle risorse petrolifere e la situazione siriana, sono all'ordine del giorno.

Nostro obiettivo è visitare i campi profughi di questa vasta area e verificare, con l'aiuto di alcune organizzazioni umanitarie locali, lo stato d'avanzamento di alcuni progetti e della guerra ancora per nulla finita. Decidiamo per questo, di capirne di più incontrando Ezel di ritorno dal Rojava.

In Rojava la situazione si è aggravata a causa della varietà delle forze in campo cui oltre al pericolo Daesh si sono aggiunte la Turchia, le truppe di Assad con la Russia e la coalizione dell'Esercito Siriano di liberazione sostenuta dagli USA. Una varietà di forze in campo che premono affinché il PYD vada alla conquista di Raqqa. Azione questa a cui si oppongono in primo luogo perché, nella conquista di Mamby, hanno lasciato molti combattenti sul campo e anche perché prendere Raqqa, ricca di petrolio, di fatto vorrebbe dire concedergli la possibilità, per la coalizione ESL e di altri soggetti, di poter entrare in forza in quel territorio, con una forte marginalizzazione dei kurdi.

Il medesimo pensiero è rivolto per il prossimo possibile attacco a Mossul, dove la coalizione pretenderebbe di utilizzare i kurdi per l'attacco via terra.

In questo scenario, è bene ricordare che l'attuale rapporto tra USA e Rojava è di pura tattica e non strategico. Analogamente quello tenuto con la Russia. Infatti, USA e Russia, autonomamente, cercano una propria egemonia nella zona.

Chiediamo informazioni sulla città di Kobane. Attualmente non si sono svolte azioni militari significative di Daesh, perché si sono concentrati sui villaggi limitrofi.

Kirkuk, invece, è controllata, sia in entrata che in uscita, dai peshmerga iracheni anche se in realtà sono stati i guerriglieri del PKK ad averla liberata. Tra l'altro a Kirkuk stanno attuando un operazione di trasformazione sociale, consentendo insediamenti arabi, con l'obiettivo di alterare la composizione demografica della città e consentendo di divenire l'etnia prevalente.

Su questo argomento, Ezel ha ricordato di una situazione particolare vigente in Rojava. I kurdi siriani, sotto Assad, dovevano coltivare solo grano e cotone e non piantare alberi. Il raccolto doveva poi essere consegnato gratuitamente al governo (all'80%) con la motivazione che ai kurdi non era concesso di possedere la terra, contrariamente alle altre etnie presenti nel territorio. Soprattutto arabi.

Riguardo alla presa di Jerabolus, da parte dei turchi, questa è stata favorita grazie all'intervento dei guerriglieri del Daesh che da combattenti del Califfato, ora militano in formazioni filo turche.

Ma questa conquista della Turchia non ridimensiona uno degli obiettivi del PYD: collegare Kobane con Afrin. Difatti, l'occupazione di Jerabolus ad opera dei turchi, vorrebbe impedire questo progetto, ma la strategia del PYD è quello di passare a sud attraverso la conquista di El Bab. Località che però anche i turchi vogliono conquistare.

Sull'attuale posizione militare della Turchia in questa zona, il PYD ritiene che i turchi si siano messi in trappola. Primo perché non possono bombardare il Rojava, pena la sconfessione di Russia e USA e anche perché i combattenti del PYD sono disponibili a combattere sino alla morte.

Il legame tra la guerra e il golpe in Turchia va ricercato nello scacco subito dall'esercito turco durante la conquista e la distruzione di molte città del Kurdistan del nord (Bakur) dove ha subito pesanti perdite (morti e feriti). Non è infatti un caso che il generale che comandava l'operazione in quelle città, sia stato poi rimosso e accusato di essere il capo del tentato golpe.

L'obiettivo turco era quello dell'allontanamento della maggior parte dei kurdi dal Bakur e la sostituzione di questi con arabi sunniti siriani a cui sarebbe stata data la cittadinanza con diritto di voto. Ma l'operazione è fallita perché i kurdi, pur nella sofferenza, non si sono allontanati dal loro territorio rendendo vano il fine politico che si erano prefissati. Questi fatti, tra l'altro, hanno rafforzato la volontà di lotta nei giovani kurdi consentendogli inoltre, di collocare numerosi kurdi, nelle città del nord dell'ovest. Uomini e combattenti che saranno in futuro la spina dorsale della Resistenza non più localizzata sui monti ma in tutta la Turchia.

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