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01/02/2017

Devastating Trump

I reazionari sono degli eversori del sistema dominante che lavorano per costruirne uno ancora più efficace e autoritario. Spesso arrivano al potere sfruttando le debolezze e contraddizioni del sistema, come usano fare i rivoluzionari, ed hanno sufficiente presa sociale. Fanno insomma da destra quel che si usava fare da sinistra, ovviamente con obiettivi diametralmente opposti. In mezzo a tale scenario di cambiamento restano conservatori e “riformisti”, che cercano in ogni modo di mantenere in vita il sistema in via di disfacimento.

Se tutto ciò accade negli Usa, la prima superpotenza economica e militare del pianeta, è indubbio che lo sconquasso si estenderà in poco tempo a tutto il mondo, travolgendo in poche battute l'ordine mondiale costruito in 70 anni. Ma, com'è noto, a sfasciare tutto si fa molto prima che a costruire.

I primi dieci giorni di Trump hanno sconvolto il mondo e fanno intravedere un futuro a breve termine fatto di guerra di tutti contro tutti. Sul piano della politica interna, procede per “ordini operativi”, che sono previsti naturalmente dalla Costituzione statunitense, ma richiedono comunque una convalida a medio termine da parte del Congresso. Che è a maggioranza repubblicana e quindi non pregiudizialmente ostile a mosse considerate “eccessive” dal vecchio establishment.

Fin qui, l'unica disposizione con effetti pratici immediati è rappresentata dal blocco degli ingressi a cittadini di sette paesi islamici (sei sunniti in cui c'è guerra civile e presenza jihadista a causa dell'intervento militare occidentale, più l'Iran, schierato sul fronte opposto ma non c'è l'Arabia Saudita). La decisione ha scatenato proteste altrettanto immediate.

Gli altri provvedimenti, al momento sono più di immagine, e per diventare davvero operativi hanno bisogno di essere tradotti in leggi (il presidente Usa ha molti poteri, ma non quello di legiferare, com'è quasi ovvio in una democrazia formale). La riforma sanitaria di Obama – per esempio – sarà dunque per il momento “ostacolata” nella realizzazione, a tutti i livelli, ma sarà il Congresso a doverne approvare un'altra. Ed anche il muro con il Messico – una estensione di quello già presente, iniziato addirittura da Bill Clinton – dovrà ricevere finanziamenti adeguati per essere innalzato.

La decisione più rilevante sul piano interno è però la nomina, avvenuta ieri, del giudice conservatore Neil Gorsuch alla Corte Suprema. Va a sostituire l'altro ultraconservatore, Antonin Scalia, morto ormai da un anno e mezzo (il candidato scelto da Obama, il liberal Merrick Garland, non era neanche stato ricevuto dal Congresso – a maggioranza repubblicana – per valutarne la conferma). Gorsuch è giovane (49 anni), dunque resterà in carica a lungo condizionando per decenni le decisioni della Corte chiamata a dirimere le questioni di costituzionalità. Dunque anche quelle che riguardano fin da subito lo stesso Trump.

Con questa mossa si è dunque costruito un solido muro a difesa di se stesso da molte possibili sorprese.

Ma è sul piano internazionale che il rovesciamento di ruolo degli Usa trumpizzati sta determinando già ora un velocissimo riposizionamento di tutti i principali attori della competizione globale: Russia, Cina, Unione Europea.

Come spiegava ieri, con solito sussiego, Mario Monti, “E' in gioco una forma di coordinamento o di governance mondiale della globalizzazione”. Un ordine che ha prodotto l'opposto di quanto promesso (“più benessere per tutti”), creando disparità mostruose che ora alimentano una crescente insofferenza di massa contro l'establishment in ogni paese del globo. Ma non si tratta affatto di disparità inattese o il frutto di “errori di gestione”.

Come spiega bene Charles Kupchan – direttore degli affari europei nel Consiglio di sicurezza per l’amministrazione Obama – «Sapevamo che la globalizzazione produce vincitori e sconfitti e mina il benessere della classe lavoratrice. L’establishment non ha capito l’entità dello scontento, e la soluzione ora è difficile da trovare: possiamo affidarci al salario minimo oppure credere, come dice Trump, che il protezionismo riporterà l’industria manifatturiera negli Usa, la verità è che nessuno ha risposte». In parole più “popolari”, si potrebbe dire che non si aspettavano che le popolazioni impoverite si incazzassero così tanto...

Ed è lo stesso Kupchan a mostrare l'esistenza di una logica bipartisan ben strutturata, che accomunava le cosiddette “destre” e “sinistre” di sistema: «Quello che mi ha sorpreso, e francamente non immaginavo, è la debolezza interna del nostro sistema: i pilastri democratici stanno traballando. Pur avendo idee spesso opposte, democratici e repubblicani non hanno mai messo in discussione l’ordine liberal-democratico su cui si basa il mondo occidentale emerso dalla fine del Secondo conflitto mondiale: il rispetto verso le istituzioni, la legge, la libera stampa. Il 2017 è l’anno che potrebbe riportarci al 1945, costringerci a domande dolorose che mai avremmo pensato di porci nel XXI secolo; ad esempio se l’esistenza stessa della Ue sia in pericolo e l’America sia destinata a mutare il suo dna».

Dal nostro punto di vista, è stupefacente l'incapacità (di Kupchan e di tutto l'establishment occidentale) di comprendere che minando le basi sociali dell'”ordine liberal-democratico su cui si basa il mondo occidentale” (quasi piena occupazione, salari decenti, welfare) tutta la costruzione era destinata a venir giù.

Ora, all'interno della crisi di quel sistema (che dura da dieci anni, ormai), sono emersi forze e interessi retrogradi, legati alla old economy e capaci di trascinare con sé buona parte della “classe media impoverita” (che nella logica liberale comprende il lavoro dipendente regolarmente retribuito), che hanno trovato in un palazzinaro truffatore un terminale politico adeguato ai propri limitati interessi. E dunque protezionismo, fine della globalizzazione, blocco dei flussi migratori, grande enfasi sulle (poche) ri-localizzazioni produttive, dazi doganali alti e fine degli organismi sovranazionali, rapporti bilaterali al posto di accordi multilaterali di libero scambio.

Una inversione ad U che stimola inevitabilmente risposte similari in tutti gli ex partner e che minaccia – appunto – gli interessi soprattutto del capitale multinazionale. A cominciare dall'area che più di ogni altra aveva costruito le sue istituzioni a disposizione del “libero mercato”; ossia l'Unione Europea.

E' quasi imbarazzante vedere un fedele rappresentante della dottrina Nato come Ferdinando Nelli Feroci, presidente dello IAI, costretto a dire che “Per la prima volta, Bruxelles e le maggiori capitali europee dovranno fare i conti con una Amministrazione americana che, a differenza delle precedenti, non sosterrà più, o peggio potrà contrastare, gli sforzi europei mirati a consolidare integrazione e solidarietà”.

E' un altro mondo, sicuramente. La stupidaggine più grossa sarebbe il non accorgersene e continuare a ragionare come prima. Soprattutto perchè è un mondo in cui il piano inclinato del capitale si è bruscamente "verticalizzato". Questioni come la pace piuttosto che la guerra, la giustizia sociale piuttosto che le disuguaglianze, la democrazia piuttosto che la governance delle classi dominanti, tornano urgentemente nell'agenda delle priorità e in qualche modo restituiscono la sua attualità al socialismo come alternativa credibile.

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