di Michele Giorgio
Chissà quante volte re Salman dell’Arabia Saudita avrà maledetto quel giorno di marzo di due anni fa quando diede il via libera all’Amaliyyat Asifat al Hazm,
l’operazione militare Tempesta Decisiva, in soccorso dell’alleato
presidente yemenita Abdrabbuh Mansur Hadi messo in ginocchio della
ribellione degli sciiti Houthi.
Quella che doveva essere la guerra-lampo di una
potente coalizione di Paesi arabi, volta anche a compattare i ranghi dei
musulmani sunniti contro il revival sciita favorito dall’Iran, si è trasformata in palude.
I ribelli Houthi, sostenuti da Tehran, stanno infliggendo duri colpi
alle forze armate e al morale dei sauditi mentre un anno di negoziati
non hanno prodotto nulla di concreto. Domenica sera i
guerriglieri yemeniti – bersaglio, assieme ai civili, dei devastanti
raid aerei compiuti dai sauditi e dai loro alleati – hanno lanciato un
missile balistico (Scud) a lungo raggio in direzione della base saudita
di al Mazahmiya, 40 chilometri a ovest di Riyadh.
Per il ministero della difesa yemenita, controllato dagli Houthi, si è
trattato «di un test di carattere eccezionale». Per l’agenzia di stampa
dei ribelli, Saba, il lancio ha avuto successo. Il missile
perciò potrebbe aver raggiunto il suo obiettivo, dopo un viaggio per ben
mille chilometri. Il silenzio di Riyadh sulla notizia sembra confermarlo.
I Saud in questi giorni stanno facendo i conti con una raffica di attacchi degli Houthi. La
scorsa settimana un kamikaze a bordo di un motoscafo imbottito di
esplosivo si è lanciato contro un’unità da guerra saudita al largo delle
coste dello Yemen, facendo due morti e tre feriti.
Almeno 80 soldati e ufficiali sauditi ed emiratini inoltre sarebbero rimasti uccisi in un attacco missilistico contro un centro di addestramento nell’isola di Zuqar, nel Mar Rosso. Riyadh non ha confermato. Ad
ottobre invece i sauditi dissero di aver intercettato un missile
lanciato dai ribelli yemeniti contro la città santa della Mecca.
È evidente che gli Houthi hanno ottenuto nuove armi e missili da chi
vuole portare la guerra fin dentro l’Arabia Saudita e punire re Salman,
per la sua offensiva militare in Yemen e per il sostegno che offre alle
formazioni jihadiste che combattono in Siria. Tehran però nega di aver passato armi ai guerriglieri yemeniti.
«Le accuse contro l’Iran e le affermazioni che la Repubblica Islamica
invia armi nello Yemen a beneficio degli Houthi, è un nuovo pretesto
inventato da alcuni Paesi regionali e dalla nuova amministrazione Usa
per promuovere l’Iranofobia», ha commentato il portavoce del ministero
degli esteri iraniano.
Le cose si sono messe male per Riyadh e re Salman, per riportare su un binario più favorevole le sorti della guerra in Yemen, potrebbe
richiedere all’amico Donald Trump un intervento americano più incisivo
di quello di informazione e di assistenza radar offerto dall’ex
presidente Barack Obama.
È difficile che la nuova Amministrazione Usa si lasci trascinare nel
Vietnam saudita nonostante la profonda avversione che nutre per l’Iran,
ribadita dal segretario alla difesa James Mattis.
I Navy Seal americani comunque hanno già rimesso piede in
Yemen, qualche giorno fa, per compiere un attacco contro il ramo locale
di al Qaeda. Un raid in cui non sono morti soltanto 14 qaedisti e un soldato Usa ma anche una dozzina di donne e bambini
e che non è destinato a fermare al Qaeda. Dopo il blitz americano
l’organizzazione ha preso il controllo di altre tre città yemenite:
Loder, Shaqra e Ahwar, nella provincia di Abyan.
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