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08/10/2018

La grande scommessa del governo sui bond e la prigione tecnologica del reddito di cittadinanza

La vicenda della nota di aggiornamento del Def, che sfocerà nella legge di stabilità vera e propria, ha rivelato diverse difficoltà della politica istituzionale. Sia quella al governo che quella all’opposizione. Cominciamo da quest’ultima che si rivela, nei suoi differenti volti, sia folcloristica che ostaggio dei poteri finanziari. Certo, quando si parla di folkore impossibile non menzionare Michele Emiliano presidente della regione Puglia, vero Zelig della politica nazionale, che loda, da esponente PD, i lineamenti della finanziaria gialloverde. O Stefano Fassina, passato dal sottosegretariato alle finanze nel governo Letta a posizioni “sovraniste di sinistra” se non di appoggio, perlomeno, di simpatia verso il governo gialloverde. Il vero folklore sta, comunque, in chi, rispetto alle previsioni di deficit del governo gialloverde, spara al rialzo. Da Palazzo Chigi esce una previsione di deficit di 2,4%? Che male c’è, allora, a sparare 3%, o oltre, accusando di timidezza nel deficit spending gli attuali occupanti degli scranni del governo? Oppure a immaginare finanziarie come si trattasse di Disneyland dove, nella strada principale con le luci e i festoni, c’è tutto dal sociale, al Welfare e magari anche la lotta alla tristezza?

Qui forse non sono chiare due cose. La prima è che, con le previsioni economiche al ribasso e le clausole di salvaguardia dell’Iva da saldare, non è che questo governo, con una previsione di deficit al 2,4% abbia davvero grandi margini di spesa e di investimento. Su questo, probabilmente, certe lodi sul “coraggio” mostrato dai gialloverdi andranno riviste. Per focalizzarsi sull’entità e sul rilievo, difficilmente risolvibili dai gialloverdi, della crisi fiscale dello stato (che tassa sia troppo, ovviamente le cassi subalterne, e troppo poco, i ricchi, ma non trova mai equilibrio sociale e di bilancio). La seconda è che se, per assurdo, domattina il governo accettasse le proposte Disneyland, di chi esterna finanziarie immaginarie, lo spread salirebbe a 800 in pochi giorni e il paese sarebbe distrutto dalla guerra finanziaria a sciame. Quella che porta soggetti che non si conoscono, e non si coordinano tra loro, a convergere per il ribasso dei titoli di stato pubblici, spolpando le risorse del paese che, finanziariamente, ha fatto la mossa sbagliata. Già perchè, piaccia o non piaccia, la globalizzazione finanziaria esiste, è a caccia di rendimenti ed è in cerca di paesi da saccheggiare secondo la logica dell’economia della predazione. E si tratta di un nemico di classe i cui contorni, viste le abbondanti vacanze della mente che si prendono le sinistre, purtroppo non sono collettivamente chiari.

Perché, e qui bisogna essere chiari, invece di immaginare finanziarie Disney, chi fa proposte di rialzo, anche repentino del deficit, del tutto condivisibili nella forma, deve preparare sé stesso, ed il paese, a una vera e propria guerra. Quella che si combatte senza proiettili ma che può essere, i greci ne sanno qualcosa, non meno distruttiva: stiamo parlando del conflitto finanziario con i mercati globali e le istituzioni della governance europea. In questo senso la quasi totale assenza di qualità e di visione, di molti critici di sinistra rispetto agli investimenti previsti dal governo, parlano da sole. Non c’è ancora, a sinistra, una chiara idea di come affrancarsi dall’egemonia dei mercati finanziari. Fare solo deficit non basta. E tantomeno evocarlo. Per astratto, politicamente, si può anche chiedere il 5% di deficit annuo, all’inizio degli anni ’90 l’Italia era comunque nel gruppo delle migliori economie del mondo con il 10%, ma devono essere chiare la visione economica, la politica tecnologica, la visione di società e modalità di emancipazione dalla finanza globale. Le sinistre sono, oggi, lontane da tutto questo. La loro minorità politica le fa parlare un linguaggio della politica di trenta anni fa. Ed è qualcosa che non si colma con i post su Facebook. Altro discorso, invece, per il centrosinistra (o ciò che ne rimane). Ostaggio sostanzialmente della visione di società (e del potere) di Bankitalia, e della governance europea, rischia, nonostante lo si neghi ogni momento, di essere solo un fattore di tifo dello “spread che fa saltare il governo”. Di comune, centrosinistra e sinistre di ogni genere, oggi però una cosa la hanno: l’assenza di una lettura incisiva del quadro continentale che faccia scattare quell’innovazione politica in grado di far uscire il paese da questa situazione.

La legge di bilancio, leggendo la nota di aggiornamento del Def, si sta componendo sia come una faticosa mediazione che come una grande scommessa. La faticosa mediazione, comprensiva di visibili scontri all’interno del governo, è tra la componente istituzionale (con economia e tesoro nominati da Mattarella, supportati da Bankitalia e dalla governance europea), quella populista del nord, la Lega, e quella populista del sud (il Movimento 5 stelle). La connotazione geografica, nord e sud, non è qui a caso. La Lega, che si estende comunque in ogni regione, porta un programma politico elaborato, nel tempo, al Nord (con le esigenze contrastanti di una composizione demografica che vuole solo andare in pensione e di un tessuto economico che non vuol pagare tasse), il Movimento 5 stelle quelle di un modello di welfare, il reddito di cittadinanza, che si adatta meglio al sud (e a tutti i sud di questo paese).

La composizione di un difficile, faticoso, conflittuale equilibrio tra queste componenti ha portato all’elaborazione di una previsione di deficit al 2,4% (che, alla fine, non pare questa abbuffata). Questa previsione è una grande scommessa. Sia finanziaria che politica. Qualcosa di molto diverso dal film Big Short, che porta come titolo la grande scommessa, perchè nel film si giocava in borsa scommettendo sul fallimento del settore immobiliare, che poi fece sinistrare il mondo. Oggi, invece, si scommette su un equilibrio finanziario che duri almeno qualche mese per poi incassare il dividendo politico alle europee di primavera. Auguri, separati o uniti i gialloverdi ne avrebbero bisogno se andasse loro tutto bene, ma questa è un’altra storia.

Diversi analisti di mercato sostengono infatti che l’Italia è ora in aperta sfida verso le regole del bilancio dell’UE. Ma, allo stesso tempo dubitano che con la Commissione europea queste criticità si trasformino in uno scontro di vita o di morte. Questo scenario sembra essere condiviso dai mercati finanziari – che a un certo punto hanno comunque spinto lo spread italiano a 10 anni a 250 fino a toccare anche 300. Sempre quindi una dimensione critica, dal punto di vista del rifinanziamento del debito pubblico, ma non da fine del mondo. Insomma la scommessa, i prossimi mesi diranno quanto azzeccata, da parte del governo è, oltre a indirizzare la spesa su reddito di cittadinanza e investimenti come strumento di robusta crescita, quella di pagare, fino ad un certo, punto, pegno sui mercati. Ma non fino al punto di crollare finanziariamente ed essere costretti a pagare il conto, salato, di una scommessa perduta. La prima puntata della grande scommessa è questa, non a caso, a New York, Conte ha incontrato i vertici di BlackRock (uno dei più importanti fondi del mondo con esposizioni in Italia): per sondare le reazioni dei mercati che contano all’allargamento italiano del deficit. La seconda puntata, che completa questa scommessa, è quella di arrivare alle elezioni europee. Con il dividendo, in termini di consensi, delle politiche presenti nella legge di stabilità e con una vittoria, a questo punto non solo italiana, del fronte populista. In questo senso l’impegno di Salvini per una maggioranza sovranista al parlamento europeo è esplicito. E questa seconda puntata della scommessa contiene, se possibile, più salti mortali della prima. Per ora, abbracciando Orban, è riuscito a far attaccare l’Italia dall’Austria sulla questione del deficit. Domani si vedrà. Anche se non sarà un domani qualunque. Certo, tra giudizio delle agenzie di rating che incombe, debolezza dell’euro (che favorisce si le esportazioni ma anche l’investimento nel dollaro) e aumento dei tassi Usa il complesso della scommessa è davvero grosso. Sempre che la Brexit sia ordinata.

Questo lo scenario, entro il quale si giocheranno questioni importanti per il nostro paese, per il quale l’espressione “reddito di cittadinanza” è stata spesso evocata. Sia per drenare risorse che per vincere la partita del consenso politico della forza populista del sud (e dei tanti sud di questo paese). Un punto importante, che dovrà essere ben memorizzato da chi ha idee serie di opposizione è che il reddito di cittadinanza, così come viene configurato dalle anticipazioni dei media, si presenta come una vera e propria prigione tecnologica. Di un tipo tale da mettere in discussione, per non dire in ridicolo, l’espressione “cittadinanza” per questo genere di reddito. Ora qui vale la pena non toccare l’ordine di grandezza del reddito di cittadinanza, la platea degli aventi diritto o la questione del finanziamento e della ristrutturazione dei centri per l’impiego (che non è da poco) ma la modalità, eventuale, di erogazione del reddito di cittadinanza.

Da quello che emerge il reddito di cittadinanza sarebbe erogabile solo con un bancomat nel quale sono permesse alcune voci di spesa ed altre no. Senza entrare troppo in argomenti per palati fini, in un’epoca in cui l’antintellettualismo è premessa necessaria per parlare, siamo alla rottura del valore universale della moneta. Per cui la moneta non è più un valore universale, spendibile come si vuole,  ma torna ad essere, come nelle società tribali, una special purpose money con scopi definiti che inchiodano la persona ai vincoli, e agli scopi, definiti dal gruppo. In questo caso le possibilità di spesa della persona, e forse anche del suo nucleo familiare, sono predeterminate dalle necessità di disciplinamento del programma di finanziamento. Tutto secondo una card elettronica i cui dati, tanto per capirsi, se non blindati si candidano ad essere una cuccagna economica per chi li gestirà (arrivando a guadagnare sui dati dei poveri).

Il marketing a 5 stelle ha anche fatto filtrare la notizia che a gestire l’operazione card sarà un “cervello in fuga” altrimenti destinato agli Usa. E’ proprio il paese nel quale questo genere di operazioni hanno un nome, un volto ed una logica. Quello, come si trova in alcuni testi, delle workhouse digitali. Tradotto in italiano significa: tramite piattaforme tecnologiche disciplinare e indirizzare duramente il comportamento della persona avente diritto alle prestazioni sociali. Allo stesso modo con il quale, nelle Workhouse dell’800, si disciplinava pesantemente il comportamento, ora per ora, dell’avente diritto aiuto dallo stato. E, si badi  bene, una volta perfezionato il modello tecnologico della card è possibile davvero negare elementari diritti a una persona, oltre che tracciarla all’inverosimile, semplicemente modulando il tipo di accesso alla spesa. Chi si candida ad essere di sinistra deve starci in questi temi, invece di invocare numeri improbabili di deficit, entrando in una dimensione tecnologica che, si sa, è ancora aliena alla politica di sinistra (la stessa che fa politica con i messaggini dallo smartphone, ci mancherebbe. Ma una cosa è consumare, l’altra produrre).

Sono scene già viste, per chi ha voglia di capire come funziona il mondo, nell’Inghilterra della prima globalizzazione durante i primi decenni dell’800. Sia sul piano della compravendita del debito pubblico che su quello del disciplinamento feroce dei poveri. Per ora cogliamo questi due lineamenti e vedremo quanto si svilupperanno: un Def che è una grande scommessa e una politica sociale che si rivela una prigione tecnologica proprio sulla questione del reddito. Vedremo poi i successivi sviluppi.


Comunque andrà, e come accade alla vigilia di importanti mutazioni tecnologiche e sociali pronte a sconvolgere le mutazioni precedenti, qualcosa di serio sta cambiando. Saper cogliere questo qualcosa è far politica. Il resto è commedia umana. Una commedia che, da quanto si vede, è destinata a durare.

Redazione, 4 ottobre 2018

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