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14/10/2018

Ponte Morandi come metafora

Il rovinoso crollo del ponte di Genova, con il corollario di problemi che pone e carenze che evidenzia (già illustrate ad es. da V. Brandi nel precedente numero de “La Voce”), rappresenta una specie di spettacolare parola “FINE” posta a chiusura delle retoriche degli ultimi anni sulla cosiddetta “società della conoscenza“. Questo slogan era stato ripetuto spesso, ma a singhiozzo e con sempre minore convinzione in tempi recenti, proprio mentre si portava a compimento il processo opposto, cioè una vera e propria dichiarazione di guerra contro il sapere che possiamo telegraficamente condensare nei due fenomeni seguenti: (1) appropriazione privata della conoscenza (2) distruzione del sapere, sia in termini di possibilità di accesso ai luoghi della sua produzione/riproduzione sia in termini di individui fisici, in quanto componente costitutiva primaria delle forze produttive in eccedenza nella crisi sistemica del capitalismo.

Ci troviamo infatti oramai a fare i conti con quella che nel sistema del profitto è vissuta come eccedenza di competenze e saperi (overeducation) rispetto a un mercato (e sistema produttivo) che... non ne vuole sapere. (o) Il crollo del ponte Morandi palesa alla società nel suo complesso, in quanto spettatrice attonita, vuoi una carenza di conoscenza scientifica, vuoi un inceppamento nel meccanismo di trasmissione della stessa, o entrambe le cose insieme. Roberto Quaglia, molto ascoltato blogger della famiglia “complottista”, in una sua analisi intitolata “Tre misteri sul crollo del Ponte Morandi” (i), non a caso usa la tragedia del ponte Morandi per rifilare una stoccata NO-VAX al dottor Roberto Burioni. Quest’ultimo aveva scritto un anno fa:
« Il ponte che consente all’autostrada A1 di superare il fiume Po all’altezza di Piacenza ha 16 campate. Sono troppe? Sono poche? Ci vuole un esperto di ingegneria civile per dirlo, e infatti nessuno degli automobilisti che ci passa sopra si azzarda a obiettare. [Come sul tema dei vaccini] ci si fida del fatto che gente estremamente qualificata, che conosce bene l’argomento, abbia fatto i calcoli corretti ed abbia deciso il giusto numero di campate … »
Quaglia contesta questo affidamento a “gente estremamente qualificata”, ponendo il problema della corruzione imperante nel mondo degli “esperti”; un mondo che, effettivamente, non sottraendosi alle regole della società del profitto e del dominio, è andato incontro a una devastante delegittimazione, sulla base del fatto purtroppo reale che la privatizzazione della conoscenza – l’appropriazione della conoscenza per il profitto privato – ha creato dei mostri anche in questo ambito.

Ad avviso di chi scrive, la situazione è ancora più grave, nel senso che non solo è maturata una fondamentale diffidenza verso gli operatori scientifici, ma se ne ignorano addirittura – e generalmente non viene socialmente riconosciuta la validità – i loro metodi di validazione. Siamo cioè costretti persino a ripetere ogni volta ab initio, tra le risatine sprezzanti dei postmoderni, che cosa va inteso quando parliamo della scienza moderna, del metodo galileiano, cioè di quel metodo che (nella sua formulazione più evoluta e aggiornata) ha alla sua base il continuo confronto dialettico (!) tra teoria ed esperimento quindi la riproducibilità dell’ipotesi.

Che esista un problema rispetto alla funzione del sapere nella società in cui viviamo è un fatto conclamato, tant’è che ogni pomeriggio su Radio3 si parla apertamente di crisi del ruolo dell’intellettuale. Non viene più nemmeno riconosciuta una specificità di questa figura, che è “scomparsa” sociologicamente e che solo con estrema fatica viene individuata e tematizzata dai pensatori marxisti (“cognitariato”, “lavoro mentale”, “gorilla ammaestrati”...).



Chi scrive ha posto il problema da molti anni. Nel 1999, in un contributo intitolato “Scienza e guerra fin de siècle” (ii), parlavo delle distorsioni nella trasmissione delle informazioni a livello di massa, ma anche nella trasmissione del sapere scientifico. Assieme al compianto Francesco Polcaro, negli anni successivi precisavo in alcuni saggi il carattere sistemico e globale dell’attacco agli operatori della conoscenza (iii) – tema spesso ripreso anche in questa rubrica. Ricordando lo stesso Polcaro (iv) ho parlato dell’epoca in cui viviamo come l’epoca dell’odio per la scienza:
«Da un lato, la scienza è osteggiata di fatto dai tecnocrati e spesso persino da chi è sulla carta scienziato, perché non ne accettano il metodo critico e la provvisorietà dei risultati. Infatti la scienza (galileiana) è critica, oppure non è; in essa non si danno risultati eterni; ma pure nella sua validità contingente, la scienza gode di validità piena, cioè di tutta la validità che ci serve. Dall’altro lato, la scienza è odiata da chi coltiva, per l’appunto, le utopie agro-silvo-pastorali di cui sopra, dai disadattati, dai truffatori degli oroscopi e delle previsioni di borsa, da chi va a Medjugorije, da chi ritiene che tra episteme e doxa non ci sia differenza. Ciò che entrambe le “scuole” odiano più di tutto nella scienza è il suo carattere programmaticamente, metodologicamente democratico, nonché la necessità dell’esperimento, cioè l’obbligo continuo della prova dei fatti.»
Questa crisi epistemologica ha acquisito una evidenza e centralità nel dibattito pubblico con il caso dei vaccini. In questa rubrica, alcuni mesi fa, ho voluto riprodurre un articolo che può essere frainteso, ma che pone il dito su di una piaga reale:
«È indispensabile eliminare l’ignoranza generata ogniqualvolta è “vietato l’ingresso ai non addetti ai lavori”. Dunque che medici, farmacisti, chimici e biologi comincino a fare, in massa e sul terreno internazionale, la parte che compete loro. Come? Innanzitutto adeguando l’approccio ai pazienti all’evoluzione della società che, per la contraddizione suddetta, produce cittadini mediamente più informati e disinformati, anche dal punto di vista medico, e dunque non più così disposti come in passato a riconoscere (a torto o a ragione) a dottori e professori l’autorità a prescindere dalla dimostrazione di autorevolezza.»
Va cioè ricostruita – a livello comunicativo – una legittimazione della funzione scientifica. Si noti che nel dibattito pubblico sui vaccini si è parlato da un lato della loro efficacia, storicamente dimostrata in passato, dall’altro degli interessi delle ditte farmaceutiche... Ma non si è praticamente mai presentato, nella trattazione a livello di stampa, televisione e discorso politico, alcun argomento di natura epidemiologica attuale, che spiegasse cioè la necessità di questi specifici vaccini in questo specifico contesto. Eppure, il discorso sui vaccini dal punto di vista scientifico non è altro che epidemiologia!

Siamo perciò agli antipodi di ciò che auspicava Gramsci – l’estensione e la riappropriazione sociale del sapere, il “fattore C” (come Cultura). “Ai proletari non è concesso il lusso dell’ignoranza, che è invece privilegio dei borghesi”, come ci ha ricordato recentemente Angelo d’Orsi su Micromega. (v) La privatizzazione del sapere e la sua mortificazione sono “il” problema-chiave del proletariato e della società intera nella nostra epoca.

(o) Si vedano:

Italia paese tra i meno istruiti con pochi laureati e tanti tagli (di Roberto Ciccarelli – da Il Manifesto del 4 marzo 2018, sottotitolo: Guerra alla conoscenza. Istat: una società classista che penalizza la ricerca dell’autonomia attraverso i saperi) https://ilmanifesto.it/italia-

Lavoro, un laureato su tre è troppo istruito per il mestiere che fa (Il Sole 24 Ore, 8 settembre 2018). http://mobile.ilsole24ore.com/

(i) Visionata da 300mila persone, si veda: PandoraTV, 19 agosto 2018, VIDEO: https://www. .

(ii) In: IMBROGLI DI GUERRA, Contributi al Seminario sulla guerra nei Balcani promosso da Scienziate/i contro la guerra, Roma, 21 giugno 1999 (Roma: Odradek) http://www.cnj.it/

(iii) Per una disamina ampia si veda: “INTELLETTUARIATO. Dopo l’approvazione della Legge “Gelmini” sull’Università, il punto sullo stato dell’analisi attorno ai tagli a Formazione e Ricerca”, Gennaio 2011 http://www.agentefisico.info/

(iv) “Quando un insostituibile viene a mancare”, su La Voce di Marzo 2018.

(v) Sulla testata de L’Ordine Nuovo, 1919-1920, campeggiava il primo dei tre precetti gramsciani: “Istruitevi perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza”.

Fonte

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