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14/12/2018

“Dai gilet gialli al sovranismo, vi racconto chi è Mélenchon”

Parla Stéphane Alliès, giornalista di MediaPart, autore di due libri sul personaggio, e massimo conoscitore del frontman di La France Insoumise: «Vuole dare voce agli arrabbiati». Dalla svolta populista alle rivolte di questi giorni, si traccia un identikit del leader transalpino che sogna l'Eliseo, malgrado i sondaggi lo diano in calo: «Si giocherà la carta del vecchio saggio che salva il Paese. Era già la sua strategia nel 2017 ed ha funzionato».

intervista a Stéphane Alliès di Giacomo Russo Spena

«Il suo obiettivo è rappresentare gli arrabbiati del Paese, per questo ha deciso di cavalcare la protesta dei gilet gialli». Stéphane Alliès, giornalista della rivista MediaPart, è uno dei massimi conoscitori di Jean-Luc Mélenchon. Nel 2012 ha scritto un primo libro sul leader di La France Insoumise, nel 2018 un secondo testo. L'abbiamo contattato per capire veramente chi è e cosa pensa Mélenchon, colui che pur non indossando il gilet ha mandato le sue truppe a cavalcare la rivolta di piazza contro il presidente Macron e sul suo blog ha salutato il successo della «mobilitazione di massa» che «non assomiglia a nulla di ciò che abbiamo visto fino a oggi».

Da anni, come giornalista, segue la sua attività politica e ad aprile è uscito un suo libro “Mélenchon, Alla conquista del popolo” che ha venduto molte copie in Francia. Ci aiuta ad inquadrare più nel dettaglio questo politico? Chi è veramente Jean-Luc Mélenchon?

È un personaggio complesso, al limite del camaleontico. Un grande stratega che, nel tempo, ha dimostrato anche di saper improvvisare pur di occupare la scena politica. Pazientemente ha costruito la sua ascesa: dall'ala sinistra del Partito Socialista (quando è stato eletto, nel 1986, era il più giovane senatore in Francia), alla federazione «Fronte della sinistra» del 2012, per terminare con l'essere leader di La France Insoumise. Di matrice trotzkista, ha costruito intorno a sé un nucleo di fedelissimi provenienti dalla sinistra socialista – molti suoi attuali collaboratori erano con lui già da quand'era ministro nel 2000 sotto il governo Jospin – o dal piccolo esercito di militanti della sinistra radicale attivi nella campagna per il No al referendum europeo del 2005. Altri collaboratori, negli anni, sono stati cambiati perché è uomo restio al dialogo e alle critiche. Preferisce circondarsi di fedelissimi in una logica binaria: «O con me o contro di me».

Qual è il suo legame con François Mitterrand?

Adora Mitterrand. Tra i suoi fondamenti in politica ci sono regole come «mai tornare indietro» o «non metterti mai nelle mani dell'avversario» (una lezione appresa proprio da Mitterrand). Più in generale, Mélenchon si sente come la continuazione del «socialismo illuminista», della rivoluzione del 1789, di Jaurès e Blum. La sua grande forza è quella di essere abbastanza flessibile e audace dal punto di vista politico e di aver operato un sincretismo ideologico della sinistra francese, storicamente molto divisa. Per il Paese ipotizza un piano sociale/ecologista di stampo statalista e, come si è dimostrato nelle elezioni presidenziali 2017, rappresenta ad oggi la sintesi più ampia e convincente della sinistra.

Il suo libro è pieno di aneddoti. Ce ne racconti uno, qual è il più emblematico?

Beh, c'è un aneddoto divertente: per aggiornare il libro, ho lavorato molto sulla sua «svolta populista» indagando i suoi rapporti con Podemos e l'America Latina. Avevo letto molti dei testi di Chantal Mouffe e Ernesto Laclau che Mélenchon menziona costantemente nei suoi interventi, così – dopo vari miei solleciti – sono riuscito ad avere una risposta. Le sue parole sono state spiazzanti: «Ho scoperto una cosa importante. Se penso o dico una cosa, nessun giornalista mi fila. Se invece cito Laclau e quindi Laclau è colui che le pensa mentre io sono soltanto quello che copia le idee altrui, la stampa mi segue e ne dà notizia. Funziona!». Questo è Mélenchon.

In effetti si dice che nel 2014 Mélenchon abbia avuto una «svolta populista». Nel concreto, in cosa consiste?

Ha sposato alcune strategie tipiche del populismo: la forte personalizzazione della politica, il ruolo del leader, la presa del potere ad ogni costo, la costruzione di un “noi” identitario contro un “loro” inteso come nemico esterno – e quindi il conseguente abbandono della dicotomia sinistra / destra – o il tema dell'egemonia culturale nella società. Rispetto a Mouffe, Laclau e Podemos, Mélenchon afferma però il suo attaccamento al marxismo. «Ci sono state fornite interessanti griglie metodologiche e strategiche, ma lui non sposa le loro tesi in modo massimalista», ha spiegato il suo braccio destro, Emmanuel Bompard. Per lui, quindi, il populismo è una tattica che lo incoraggerà a giocare da solo, sfruttando il suo carisma personale, e a lanciare la sua «rivoluzione dei cittadini»: un socialismo repubblicano con programma più radicale rispetto ai socialdemocratici e non marginale come quello dell'estrema sinistra francese.

Una strategia che è stata premiata alle ultime elezioni presidenziali, a scapito proprio delle altre frammentate forze della sinistra tradizionale: come un caudillo dell'America Latina Mélenchon, da leader, ha sfruttato il vuoto lasciato dalla disintegrazione dei corpi intermedi e delle istituzioni della Quinta Repubblica, facendo una campagna – favorita dal sistema presidenziale – tutta centrata sulla sua persona.

Alle ultime presidenziali ha avuto un exploit di consensi giungendo terzo col quasi il 20%. Adesso qual è la situazione?

La buona notizia per Mélenchon è che il resto della sinistra è permanentemente ridotta a zero, anche se gli ambientalisti stanno provando a riorganizzarsi in vista delle elezioni Europee. Per il resto, non ci sono a sinistra soggetti sostanziosi o credibili. Intanto nella primavera del 2018 Mélenchon ha lavorato per ridurre la distanza con i sindacati sostenendo alcune manifestazioni contro lo smantellamento dei diritti sul lavoro. Ultimamente sta flirtando anche con la corrente di sinistra del Partito Socialista.

Perché, allora, i sondaggi lo danno in leggero calo? Come mai?

Finora si è rifiutato di strutturare il suo movimento, La France Insoumise, ed ora stanno nascendo le prime frizioni interne: una corrente difende la strategia chiaramente populista, un'altra – quella degli anticapitalisti e degli ecosocialisti – guarda con maggiore interesse all'unità delle sinistre. Il decisionismo di Mélenchon ha funzionato a livello nazionale, meno quando si tratta di redimere conflitti interni al partito. E ciò sta portando ad un'emorragia di voti. Infine, i casi giudiziari hanno fortemente influenzato la sua flessione nei sondaggi innanzitutto perché le indagini riguardano un finanziamento illecito – un tema non di poco rilievo – e poi perché la sua reazione, così rabbiosa, alla perquisizione è stata fin troppo scomposta. In passato era già uscito dai suoi canoni ed in seguito era riuscito a far digerire l'accaduto al suo elettorato. Sarà ancora così? Questo non lo so.

Quindi, a differenza di quanto si pensi, La France Insoumise non è un partito socialmente radicato? Quanti iscritti ha?

La France Insoumise è un partito liquido, volutamente poco strutturato e con poca democrazia interna che, tramite i suoi rappresentanti, si prefissa di ascoltare direttamente le richieste del popolo. Non ci sono federazioni regionali o dipartimentali, i comitati territoriali sono certificati dalla direzione nazionale (e possono essere “decertificati” in qualsiasi momento) e non devono superare i dodici membri. Il movimento afferma di avere più di 500mila sostenitori, che in realtà sono semplici registrazioni sul sito web. In un voto elettronico per la nomina di candidati all'Europa, erano solo 33mila a votare realmente.

Dove cattura i maggiori consensi? Tra quali fasce della popolazione?

Per quanto riguarda l'elettorato, oltre ad ottenere il voto di chi proviene dalla sinistra radicale e repubblicana, nelle ultime elezioni La France Insoumise ha raccolto molto tra gli astenuti storici. È una credenza, da tempo, sostenuta da Mélenchon: «E' riuscendo a riportare il disgustato alle urne che possiamo prendere il potere di disgustare».

Il presidente Macron è in crisi dei consensi, quei voti a chi stanno andando? Soltanto alla destra di Marine Le Pen o anche a Mélenchon?

Non è affatto escluso. Oggi il panorama politico francese è in rovina, e la sinistra in particolare non è mai stata così marginale, mentre i tassi di astensione hanno già superato il 50% e ora si attestano al 60. Sarebbe molto rischioso fare previsioni, ma nel Paese si respira un'aria reazionaria. Lo stesso Mélenchon ha capito il momento e ha deciso coscientemente di non sposare la politica delle frontiere aperte per i migranti preferendo il sostegno alla protesta dei gilet gialli, la cui irruzione e auto-organizzazione in parte convalida le sue intuizioni populiste (in parte solo, perché il movimento non l'ha riconosciuto come politico di riferimento).

Passiamo a parlare di Europa. Mélenchon ha lasciato il partito della sinistra europea e ha siglato un accordo politico a Lisbona con Podemos e Bloque de Izquierda. Quanto è consolidata questa alleanza in Europa?

Molto dipenderà da come andranno le Europee: se questi partiti otterranno un buon risultato elettorale saranno da traino per tutti gli altri soggetti in Europa che lavorano per un'alternativa di sinistra. Se, invece, i dati non saranno soddisfacenti il rischio di frattura è alto anche perché tra loro persistono sfumature diverse sia nel modo di relazionarsi con le Istituzioni europee (ad esempio Podemos è meno propensa alla rottura con l'Ue) sia con i partiti socialisti: ricordiamo che sia il Bloco portoghese sia la stessa Podemos governano insieme ai socialisti. Inoltre va detto che Mélenchon ha preferito stringere rapporti più personali che partitici a livello internazionale. Da quando ha lasciato il PS, direttamente o tramite il suo stretto consigliere Sophia Chikirou, ha favorito scambi con altri leader stranieri del calibro di Kirchner, Chavez, Morales, Correa e Oskar Lafontaine, Alexis Tsipras, Pablo Iglesias e presto, forse, Jeremy Corbyn, Bernie Sanders e Lopez Obrador.

Mélenchon è un convinto sovranista ma, veramente, vuole rompere con l'Unione Europea? Ha in mente il piano B o bluffa?

Questo è un grande mistero. La sua scommessa sul piano B è soprattutto un modo per installare un equilibrio di potere contro i liberal conservatori europei. Mélenchon crede che una volta eletto la Francia possa permettersi quello che altri paesi dell'Europa meridionale non hanno potuto fare, ovvero sottrarsi dalla «dominazione tedesca». Il suo intento è rovesciare il tavolo e minacciare di andarsene per davvero, finché non vengono ritrattati i vincoli di Maastricht. Più concretamente, non sappiamo com'è strutturato questo piano B, né se il suo progetto di Frexit sia realizzabile o meno. Da quel che si è intuito, Mélenchon e i suoi collaboratori ipotizzano seriamente l'uscita dall'euro o la costruzione di un'altra Unione europea, aperta ai Paesi del Sud Mediterraneo e del Maghreb.

Secondo lei, sarebbe disposto anche a sostenere forze di destra (e xenofobe) pur di andare contro Maastricht e rompere con l'Unione Europea?

Non penso, andrebbe contro la sua storia e le sue decennali lotte. Detto questo, è stato in grado di vedere il crollo della sinistra tra le fasce popolari, come a Hénin-Beaumont, dove Mélenchon ha gareggiato alle elezioni legislative del 2012 perdendo da un esponente del Fronte Nazionale di Marine Le Pen. Da lì, l'abbraccio col populismo fino a diventare un leader, maggiormente sovranista, che propone la rottura con l'Ue sulle questioni economiche e politiche di controllo dell'immigrazione. Ma Mélenchon non è mai stato ambiguo di fronte all'estrema destra. Mélenchon ha una formula, per spiegare a chi si rivolge: “Vanno intercettati gli arrabbiati della società, mai i fascisti”.

L'alternativa a Macron e Le Pen, in Francia, passa per Mélenchon? E se non per lui, per chi altro?

La Francia sta vivendo una fase simile a quella italiana: la scomparsa duratura di una vera dinamica a sinistra. Sulla scia dell'esplosione del Partito Socialista, il panorama politico transalpino è in rovina con la frammentazione di una miriade di partiti e movimenti. Con gli elettori e attivisti abbandonati a loro stessi. Macron ha vinto rappresentando il volto giovane e produttivo del Paese, andando a salvare il «blocco borghese» e l'élite liberal ma la sua è stata una rivoluzione effimera e adesso è prossimo al tracollo. Mélenchon si potrebbe giocare la carta del vecchio saggio che salva il Paese. Era già la sua strategia nel 2017 ed è stato in grado di essere convincente. Sarà ancora in grado di apparire come tale?

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