Un filo non proprio rosso lega alcuni fatti di cronaca politica degli ultimi giorni in Russia.
L’ex primo privatizzatore, ex delfino di Borsi Eltsin e attuale eminenza grigia dell’economia russa, nonché presidente del consiglio di amministrazione di “RUSNANO”, la Compagnia per le Nanotecnologie, Anatolij Chubajs ha accusato il popolo russo di irriconoscenza verso gli oligarchi.
L’aeroporto di Murmansk viene intitolato all’ultimo zar di Russia, quel Nicola “il sanguinario” che la chiesa ortodossa ha elevato da tempo, insieme alla sua famiglia, agli onori della santificazione. In Siberia si inaugurano monumenti alle truppe bianche cecoslovacche che per prime si levarono contro la giovane Repubblica sovietica russa. Dopo le targhe all’ammiraglio Kolčak, al barone Mannerheim, allo zar Alessandro III, non rimane che benedire l’intervento dei quattordici stati stranieri che dal 1918 al 1920 tentarono di soffocare la Rivoluzione d’Ottobre.
Oggi ricorrono cento anni dalla nascita di Aleksandr Isaevic Solzhenitsyn e Mosca si appresta a inaugurare un monumento alla sua figura nel centro stesso della città. Per impedire che altri cartelli si potessero aggiungere a quello di “giuda” già appeso al collo della statua prima dell’inaugurazione, un gruppo di poliziotti in borghese staziona in permanenza nei pressi della scultura.
Dunque: il “popolo” russo ha una propria precisa opinione delle figure di Solzhenitsyn, di Nicola II e degli oligarchi che dominano l’attuale scena russa; un’opinione che evidentemente non coincide esattamente con la rappresentazione che il potere erede della controrivoluzione eltsiniana (tra l’altro, il 12 dicembre cade il 25° anniversario della Costituzione voluta da Boris Eltsin dopo il golpe dell’ottobre 1993) tenta di dare di tali elementi.
Dunque, l’espressione esatta usata da Chubajs, è che “la società russa è talmente infantile” che “in 25 anni non si è nemmeno degnata di dire una sola volta grazie al business, per ciò che questo ha fatto per il paese”. Secondo Chubajs, il “business”, cioè gli oligarchi, avrebbe “riportato l’ordine nelle imprese disperatamente distrutte dell’era sovietica, riempito le casse statali e restituito gli stipendi alle persone. Tutto ciò è stato fatto da coloro che la società chiama oligarchi”. Ora, per non appesantire troppo la presente esposizione, crediamo sia sufficiente rimandare ad altri interventi, anche recenti, pubblicati da Contropiano sui “reali servigi” resi dagli oligarchi alla società russa uscita dalle macerie del 1993.
Addirittura il teleconduttore Vladimir Solovev – una delle “voci” del Cremlino – ha commentato le parole di Chubajs: “Davvero un bel tipo. Non ha capito nulla e vive nella speranza che i derubati si mettano a ringraziare i ladri”; e non ha mancato di ricordare a Chubajs che, tra l’altro, il termine “oligarchi” era stato introdotto a suo tempo nel lessico russo da Boris Nemtsov, il “martire” che nel 1993 esortava Eltsin a dare il colpo di grazia a comunisti e antigolpisti. Il senatore Frants Klintsevic ha ricordato a Chubajs i miliardi di dollari che gli oligarchi sottraggono all’economia russa per investirli all’estero.
Per quanto riguarda il ruolo di Solzhenitsyn nell’attacco occidentale all’URSS – proprio Aleksandr Isaevic esortava gli USA a bombardare l’Unione Sovietica con le atomiche – non sembra fuori luogo ricordare come l’attuale potere russo lo esalti quale persona di eccezionali qualità morali, indomito oppositore del sistema sovietico, guida morale per i giovani. Per quanto riguarda le cifre sulle cosiddette “repressioni staliniane” (il ruolo in certo qual modo “affidato” a Solzhenitsyn dai gorbacioviani, nel dare il colpo di grazia all’Unione Sovietica e a parte della sinistra occidentale, merita una trattazione a sé) ormai da trent’anni le ricerche del professor Viktor Zemskov hanno ridimensionato di alcune decine di volte i numeri diffusi da Solzhenitsyn e dagli “storici” occidentali e non importa tornarci sopra. Curioso, come a Parigi, proprio in questi giorni, mentre alla municipalità del 5° arrondissement è in corso una mostra dedicata a Solzhenitsyn, i rappresentanti della casa editrice “Delga” abbiano espresso il loro giudizio in merito: non in linea con le beatificazioni di rito.
Giudizio degno d’attenzione quello dello storico Aleksandr Kolpakidi, secondo cui “C’erano due forze dietro” Solzhenitsyn; “la prima forza erano i servizi speciali occidentali. L’esempio più semplice è che quando se ne andò dall’URSS, l’archivio fu preso in consegna dall’assistente dell’attaché militare statunitense a Mosca, il quale dieci anni dopo sarebbe diventato direttore della National Security Agency USA. Questa forza è chiara: è la stessa che poi gli avrebbe assegnato il Nobel. Ma la seconda forza non è altrettanto limpida. Si tratta della nostra nomenclatura che, dopo la morte di Stalin, non ha fatto altro che tentare ciò che poi le è riuscito nel 1991, con la distruzione dell’URSS, per convertire il proprio potere politico in potere anche economico. E’ stato grazie alla distruzione del nostro paese che tutti loro divennero ministri, presidenti, oligarchi, ecc. Non fu solo l’Occidente a manovrare Solzhenitsyn, ma anche la nostra nomenclatura”.
Zar, aggressori bianchi, oligarchi e loro corifei. Il cerchio si chiude: ma non è “il primo”, raccontato da Aleksandr Isaevic a uso e consumo dell’anticomunismo; e forse, purtroppo, nemmeno l’ultimo.
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