Per un verso sembra una situazione alla “Al Capone”, per un altro una sorta di legge del contrappasso.
L’occupazione da parte di CasaPound dell’immobile di via Napoleone III 8, all’Esquilino, secondo la Corte dei Conti del Lazio, ha generato un danno erariale da 4 milioni e 600 mila euro. I magistrati contabili intendono chiedere il risarcimento del danno a nove dirigenti dell’Agenzia del Demanio e del Ministero dell’Istruzione per la mancata riscossione del canone sul palazzone diventato sede di uno dei gruppi neofascisti più attivi e “ricchi”.
Fra gli indagati della Corte dei Conti, risulta esserci anche il direttore dell’Agenzia del Demanio di Roma, Antonio Ficchì. La cifra del risarcimento è stata stabilita “in particolare in base al canone aggiornato alla media Omi (Osservatorio Mercato Immobiliare) per la destinazione d’uso residenziale nella zona Esquilino”, dove si trova il palazzo occupato. Nella vicenda, per ora tutta contabile, non è coinvolta Casa Pound in quanto soggetto privato su cui la Corte dei Conti non può intervenire. Per i magistrati contabili, il permissivismo di cui però hanno goduto i fascisti di Casa Pound è una “Gravissima negligenza della pubblica amministrazione” Una vicenda che “manifesta, con tutta l’evidenza della semplice narrazione dei fatti, la gravissima negligenza e la scarsissima cura (mala gestio) che l’amministrazione pubblica ha mostrato nei confronti di un intero edificio di proprietà pubblica di ben sei piani che per oltre 15 anni è stato sottratto allo Stato ed alle finalità pubbliche in palese violazione delle più elementari regole della (sana) gestione della cosa pubblica e in contrasto con il particolare regime vincolato cui sono soggetti i beni del patrimonio indisponibile dello Stato”. “Non è tollerabile in uno Stato di diritto – si legge ancora nell’atto dei giudici contabili – una sorta di “espropriazione al contrario”, che ha finito per sottrarre per oltre tre lustri un immobile di ben sei piani, sede storica di uffici pubblici, al patrimonio (indisponibile) dello Stato, causando in tal modo un danno certo e cospicuo all’erario”. Ancora, si ricorda, “i beni immobili del patrimonio indisponibile (quale quello in discorso) ‘non possono essere sottratti alla loro destinazione, se non nei modi stabiliti dalle leggi che li riguardano’ (art. 828, co. 2, del codice civile), sottrazione invece palesemente avvenuta per oltre 15 anni, nell’inerzia più totale delle amministrazioni competenti”.
La Corte dei Conti “ritiene che l’occupazione sine titulo dell’immobile da parte di CasaPound e degli altri occupanti abbia determinato una perdita economica per le finanze pubbliche – e comunque una lesione al patrimonio immobiliare pubblico, dato che il cespite non è stato proficuamente utilizzato per oltre 15 anni (e non lo è tuttora) – da calcolarsi, in base al criterio reddituale, in via equitativa ex art. 1226 c.c., ricorrendo al parametro costituito dall’indennità di occupazione sine titulo che si sarebbe dovuto richiedere agli occupanti, ovvero, in alternativa, al risarcimento dei danni che, in via autonoma o nell’ambito di azioni penali o civili mai intentate o mai coltivate, sarebbero state liquidate in sede giudiziaria (in entrambi i casi si tratta di importi commisurati al canone di locazione non percepito)”. “Poiché le iniziative di natura amministrativa in autotutela patrimoniale e/o le azioni, civili e penali, comunque finalizzate al rilascio dell’immobile ed eventualmente al risarcimento dei connessi danni, non sono state attivate né proposte dal MIUR e dall’Agenzia del demanio, pur avendo prospettive di successo certe”, per i giudici “quanto meno si doveva procedere alla richiesta, dapprima in via amministrativa, successivamente ed eventualmente in via contenziosa, del pagamento dell’indennità di occupazione”.
Insomma una requisitoria in piena regola che potrebbe mettere spalle al muro “materialmente” i fascisti di Casa Pound, un po’ come accadde al gangster di Chicago Al Capone, il quale finì in carcere non per i molti crimini commessi ma per evasione fiscale. D’altro canto il j’accuse della Corte dei Conti va a colpire una occupazione abitativa che sembrava poter usufruire di un regime particolare di agibilità rispetto ad altre occupazioni, o già sgomberate o sotto minaccia di sgombero, sulla base delle indicazioni date dal ministero degli Interni ai prefetti in materia di sgomberi delle occupazioni.
Su Roma, e in particolare su una ventina di occupazioni, incombe dall’aprile 2016 (fase del commissariamento Tronca sul Comune di Roma) la minaccia dello sgombero. Poi nell’estate del 2017 era stata l’ordinanza Minniti ai prefetti a sollecitare gli sgomberi, ma il maldestro e brutale sgombero del palazzone occupato in via Curtatone in pieno agosto, aveva messo il ministro degli Interni sulla graticola interrompendo una escalation appena cominciata.
Adesso tocca a Salvini. Da un lato sponsor, ospite conviviale e protettore di Casa Pound, dall’altro invocatore, con una ordinanza ai prefetti, degli sgomberi di occupazioni abitative e centri sociali che pare ispirata più da sentimenti vendicativi contro la sinistra che da esigenze effettive. Quelle semmai sono l’urgenza di dare soluzioni credibili e dignitose all’emergenza abitativa, non quella di buttare ancora più gente in mezzo ad una strada. Ma questo terreno, di competenza della politica, non traspare mai dalle righe della Corte dei Conti e non è un bel segnale, anzi potrebbe essere un precedente da rovesciare contro altre occupazioni abitative assai meno protette e tutelate rispetto a quella di Casa Pound.
Sabato a Roma è stata convocata una manifestazione cittadina proprio conto la minaccia degli sgomberi. Ci saranno le famiglie occupanti e i giovani dei centri sociali, attivisti dei sindacati di base e operatori dell’associazionismo. Appare decisamente improbabile che gli occupanti del palazzone di Casa Pound si sentano parte dello stesso problema. I fatti dicono che loro, almeno fino a ieri, sono parte dell’élite.
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