Ha avuto immediate conseguenze politiche l’assalto all’ambasciata del Bahrain avvenuto ieri sera a Baghdad in
segno di protesta contro il vertice di due giorni sulla questione
israelo-palestinese che ha avuto luogo questa settimana a Manama.
Il piccolo arcipelago del Golfo ha infatti subito richiamato il suo rappresentante diplomatico in Iraq.
“Il ministro degli Affari esteri del Regno del Bahrain – si legge sul
sito del ministero degli esteri bahrenita – condanna l’attacco
all’ambasciata compiuto dai dimostranti e ha deciso di richiamare il suo
ambasciatore per consultazioni”. Ma il dito è puntato contro
Baghdad che, afferma Manama, è responsabile per la sicurezza
dell’ambasciata. Chiamato in ballo, l’esecutivo iracheno ha espresso il
suo “profondo rammarico” per quanto accaduto. “Il governo – si
legge in una nota – ribadisce il suo assoluto rifiuto per qualunque atto
che minacci la sicurezza delle missioni diplomatiche e quella del loro
personale”.
Ieri ad attaccare l’edificio diplomatico erano state circa 200 persone.
Prima di esseri dispersi dalle forze di sicurezza irachene, i
manifestanti, che hanno bruciato bandiere israeliane e americane
sventolando quelle della Palestina e dell’Iraq, sono riuscite ad entrare
fino al giardino dell’edificio, a rimuovere la bandiera del Bahrain e a
sostituirla con quella della Palestina. Secondo il ministro degli interni iracheno Yassin al-Yassiry, 54 dimostranti sono stati arrestati dalla polizia.
A indispettire i manifestanti erano state le parole del ministro
degli esteri Khalid bin Ahmed al-Khalifa che aveva esortato mercoledì
alla pacifica coesistenza con Israele. Condannando il cosiddetto
“Accordo del Secolo” del presidente statunitense Trump, il presidio di
ieri ha criticato aspramente gli Stati del Golfo in quanto “arabi
sionisti che hanno venduto la loro identità araba per un accordo
fallimentare”.
Spente le sfarzose luci di Manama sulla due giorni sul conflitto
israelo-palestinese – aria fritta per i palestinesi, ma occasione d’oro
per Israele per normalizzare ancora di più i propri rapporti con il mondo
arabo – sono ritornati subito ieri sera a fare notizia gli effetti dell’occupazione coloniale israeliana della Palestina che
il vertice aveva abilmente nascosto. Le forze di polizia, infatti,
hanno sparato e ucciso un palestinese nella parte orientale di
Gerusalemme. Secondo la versione della polizia, gli agenti
avrebbero soltanto risposto ai petardi che la vittima stava lanciando
contro di loro durante una manifestazione. Avrebbero dunque
agito secondo le regole d’ingaggio visto che erano “minacciati” dalla
vittima e da altri manifestanti che scagliavano contro di loro pietre.
“Un sospetto mascherato si è avvicinato alla polizia da un vicolo
laterale e ha sparato i petardi sugli ufficiali che erano in una
situazione che minacciava la loro vita – ha spiegato il portavoce della
polizia Micky Rosenfeld – Un ufficiale ha quindi sparato all’immediato
pericolo prevenendo così un’ulteriore situazione minacciosa per la vita
(dei poliziotti)”.
Nella notte, intanto, Israele e il movimento islamico Hamas
hanno rinnovato un accordo di tregua dopo che da Gaza nella giornata di
ieri erano piovuti verso il territorio israeliano alcuni “strumenti
incendiari” (così li chiama Tel Aviv) che avevano provocato
incendi in più località. Secondo quanto riferisce l’agenzia Sawa di stanza a
Gaza, l’intesa tra le due parti prevede: l’invio da
parte dello stato ebraico di carburante per la centrale elettrica di
Gaza; Tel Aviv permetterà ai pescatori gazawi di pescare fino a 15
miglia nautiche e restituirà 60 imbarcazioni che l’esercito aveva
confiscato. Da parte sua, invece, Hamas ha garantito che terminerà il
lancio dei palloni incendiari e limiterà le “Proteste del ritorno” che
hanno luogo ogni venerdì dal 30 marzo del 2018. Il cessate-il-fuoco,
mediato da Egitto e Onu, avrà effetto a partire da stamattina. Al
momento nessuno delle due parti ha commentato la notizia.
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