di Michele Giorgio – Il Manifesto
La verità che tutti conoscono continua a riemergere. Grazie anche ad Agnes Callamard.
Nel suo rapporto, diffuso ieri, il Relatore speciale dell’Onu sulle
esecuzioni extragiudiziali, ribadendo quanto aveva riferito a inizio
anno, scrive di aver raccolto «prove credibili» che indicano
come l’erede al trono dell’Arabia Saudita, Mohammed bin Salman, sia
«individualmente responsabile», assieme ad altri funzionari di alto
livello di Riyadh, del brutale assassinio, avvenuto lo scorso 2 ottobre,
del giornalista saudita Jamal Khashoggi nel consolato del suo paese a
Istanbul. Queste prove, ha aggiunto, meritano «ulteriori indagini da parte di una squadra d’inquirenti indipendente e imparziale».
Inutile farsi illusioni. Mohammed bin Salman gode della protezione di Donald Trump
che nei mesi scorsi ha gettato nella pattumiera persino i risultati
delle indagini svolte dalla Cia, sul coinvolgimento diretto del
principe. Ha chiamato in causa la ragion di stato. In
ballo ci sono i miliardi di dollari che ogni anno Riyadh spende per
comprare tecnologia e armi statunitensi. Ma ha pesato anche il ruolo
dell’erede al trono, di fatto già al potere, nel ridisegnare gli
equilibri in Medio Oriente a favore di Usa e Israele e a danno dell’Iran
e dei palestinesi. Un’alleanza tanto forte al punto che Trump,
denuncia il senatore democratico Tim Kaine, ha approvato il
trasferimento di tecnologia nucleare Usa all’Arabia Saudita appena 16
giorni dopo l’omicidio di Khashoggi che pure stava destando clamore ovunque, anche negli Usa poiché il giornalista ucciso era un collaboratore di primo piano del Washington Post e un analista intervistato regolarmente dai network americani. Kaine sottolinea che c’è stato un secondo disco verde di Trump lo scorso 18 febbraio,
che non ha tenuto in alcun conto il Magnitsky Act, la legge che
consente al governo americano di sanzionare chi viola i diritti umani.
Khashoggi, noto per i suoi commenti al vetriolo contro
Mohammed bin Salman e la casa regnante saudita, il 2 ottobre andò al
consolato saudita per richiedere i documenti necessari per sposare la
sua compagna. Nel consolato trovò ad attenderlo un team di killer giunti
appositamente da Riyadh e, si è poi scoperto, coordinati da
membri dell’entourage di MbS. Khashoggi fu strangolato e fatto a pezzi.
Le autorità turche, grazie anche alle telecamere di sorveglianza e a
documenti audio, puntarono subito l’indice contro Riyadh. Le
responsabilità di MbS furono evidenti. Le ha accertate anche la Cia,
eppure queste prove furono accantonate da Trump che si limitò ad
avallare sanzioni contro alcuni funzionari della corte reale saudita
senza sfiorare il principe ereditario. Dopo aver inizialmente
negato ogni accusa, l’Arabia Saudita ha ammesso che suoi uomini erano
dietro l’omicidio del giornalista. In risposta allo sdegno e alle
critiche globali la magistratura saudita ha poi rinviato a giudizio 11
suoi cittadini non meglio identificati, chiedendo la pena di morte per
cinque di loro. Ha però escluso ogni possibile legame tra i sospetti e
Mohammed bin Salman.
Secondo Callamard, il processo a porte chiuse celebrato in
Arabia Saudita non ha rispettato alcuno standard procedurale
internazionale. In sostanza è stato una farsa. «Circa otto mesi
dopo l’esecuzione di Khashoggi – rileva il Relatore dell’Onu – lo Stato
saudita non è riuscito a riconoscere pubblicamente la sua
responsabilità per l’uccisione di Khashoggi e non ha offerto scuse alla
famiglia, agli amici e ai colleghi di Khashoggi per la sua morte e per
il modo in cui è stato ucciso». Callamard sottolinea che l’Arabia
Saudita dovrebbe chiedere scusa anche al governo della Turchia per aver
approfittato dei suoi privilegi diplomatici per uccidere il giornalista.
Ankara ha già chiesto l’avvio di un’indagine internazionale.
Invece per il ministro degli esteri saudita Adel Jubeir il rapporto
sarebbe «infondato». «Non c’è nulla di nuovo – ha scritto su twitter –
contiene contraddizioni e accuse infondate che ne mettono in dubbio la
credibilità».
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