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25/06/2019

Ospedali senza medici, sanità al collasso. Una soluzione in tre mosse

La notizia sull’assenza di medici negli ospedali del Molise è solo l’ultima vergognosa conferma.

Vedere interviste sull’emergenza sanitaria ospedaliera fatte al Ministro della Difesa piuttosto che a quello della Sanità, ci dà il segno dei tempi.

La soluzione indicata infatti è quella di precettare i medici militari per assicurare la presenza di medici in ospedali dove non ce ne sono praticamente più. I feroci tagli agli organici, i medici che vanno in pensione, quelli che muoiono (capita anche a chi cura gli altri), il numero chiuso nelle facoltà di Medicina che ha ridotto al minimo la formazione di nuovi medici, ed ecco il risultato. Con un allarme che, oltre al Molise sembra riguardare anche Lazio, Toscana, Lombardia ed altre regioni.

Una emergenza annunciata. Perché?

Lo spiega la Fondazione Gimbe che ha presentato un rapporto al Senato secondo cui il sistematico definanziamento ha sottratto alla sanità pubblica circa 28 miliardi dal 2010 al 2019, con cure essenziali non garantite a tutti, sprechi e la progressiva crescita di fondi integrativi per ammortizzare la spesa privata per la salute.

Questo mix di 4 fattori sta “facendo cadere a pezzi il Servizio Sanitario Nazionale” afferma il quarto Rapporto della Fondazione Gimbe sulla Sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale, presentato oggi in Senato. “Nel periodo 2010-2019 sono stati sottratti al Ssn 37 miliardi – precisa il presidente Gimbe, Nino Cartabellotta – e, parallelamente, l’incremento del fabbisogno sanitario nazionale è cresciuto di quasi 9 miliardi”, con una differenza di 28 miliardi e “con una media annua di crescita dello 0,9%, insufficiente anche solo a pareggiare l’inflazione (+1,07%)”.

“Nessuna luce in fondo al tunnel”, visto che il DEF 2019 riduce il rapporto spesa sanitaria/PIL dal 6,6% nel 2019-2020 al 6,5% nel 2021 e 6,4% nel 2022, mentre per il 2019 è subordinato alle “ardite previsioni di crescita”.

In compenso su questo saccheggio della sanità pubblica è prosperato il comparto delle assicurazioni sanitarie private. Qui è tutta un’altra musica. Infatti secondo l’ultimo rapporto dell’Ania il giro d’affari nel settore delle assicurazioni private sulla sanità nel 2018 è arrivato ben 2,9 miliardi di euro, cioè il 45% in più rispetto ai 2 miliardi di premi raccolti nel 2013. L’incremento delle polizze per la sanità, ha compensato i gruppi assicurativi privati del progressivo calo dei ricavi dalle polizze per la Rc Auto.

Ma le assicurazioni private, le uniche che si stanno arricchendo sul disastro della sanità pubblica, oltre a contare i soldi pretendono anche di raccontare come devono andare le cose secondo i loro desideri. Infatti l’annuale rapporto del Censis sulla spesa delle famiglie per la salute e le cure (aumentata notevolmente), viene fatto in collaborazione con la Rbm, cioè una delle volpi messe a guardia del pollaio.

Secondo una inchiesta del Il Fatto Quotidiano, la Rbm, è nata nel 2011 (guarda un po’ che casualità questa coincidenza con l’anno orribilis del welfare nel nostro paese) dopo l’acquisizione da parte del gruppo trevigiano Rb Hold di Dkv Salute dalla tedesca Munich Re, in pochi anni è passata da outsider a leader del settore con oltre 514 milioni di premi, superando le big Generali, Unisalute e Allianz. Intorno a Rb Hold, controllato e guidato dall’ex dirigente di Generali Roberto Favaretto, ruota una galassia di società attive nella gestione di fondi sanitari e strutture sanitarie convenzionate, da Previnet a Previmedical, che – stando all’ultima Relazione sulla gestione del gruppo – “gestisce quasi un miliardo di euro di spesa sanitaria ogni anno il che ne fa anche il più importante “gruppo di acquisto” di prestazioni sanitarie private in Italia”.

Per capire che ruolo si sia ritagliata Rbm nel panorama italiano basta scorrere la lista dei fondi sanitari clienti: non solo ci sono quelli dei dipendenti Alitalia, Eni, Enel, Unicredit, Poste, Rai e Confindustria, ma si cura negli ambulatori e nelle cliniche convenzionate con Rbm anche il personale di Anac, Bankitalia, Agenzia delle Entrate, Equitalia, Consob e ministero della Difesa. In più ci sono i fondi sanitari dei rappresentanti di commercio, delle imprese artigiane venete, dell’università La Sapienza e di Roma Tre. Più ovviamente le polizze individuali, promosse con insistenti campagne pubblicitarie che promettevano coperture “a un euro al giorno“.

Ciliegina sulla torta, nel 2017 Rbm si è aggiudicata per il triennio 2018-2020 anche Metasalute, il fondo sanitario dei metalmeccanici: si tratta del più grande fondo sanitario integrativo in Europa con oltre 1.700.000 assistiti dipendenti di 30mila aziende. Dopo il passaggio di Metasalute sotto l’ombrello di Rbm, i metalmeccanici hanno segnalato disservizi nei tempi di risposta del call center e di autorizzazione delle pratiche, oltre che sulle nuove procedure per ottenere il rimborso delle cure dentarie.

Nel 2018 il segretario generale Fim Cisl Maurizio Bentivogli ha scritto al cda del Fondo per verificare le condizioni per una rescissione del contratto. Oggi, secondo il sindacato, “alcuni problemi iniziali sono stati in gran parte risolti. Permangono alcuni disagi e restano alcune inefficienze da ottimizzare”. Sul fronte delle prestazioni sanitarie, “da migliorare la polizza sanitaria del Fondo che per la struttura delle prestazioni ampie è molto flessibile. Questo, se da un lato ha rappresentato un’opportunità per gli assistiti, dall’altro in molti casi ha alimentato attese non sempre legittime o applicazioni restrittive da parte del gestore“.

Una soluzione in tre mosse

Per ridare dignità e risorse al Servizio Sanitario Nazionale si possono fare delle cose, anche semplici ma in qualche modo impegnative:

- rifinanziare adeguatamente il SSN ripristinando le risorse necessarie, al di là di quello che ne pensano i tecnocrati della Commissione europea o il Patto di Stabilità europeo, nazionale, regionale,

- indicare con una certa energia alle assicurazioni private che dovranno arricchirsi su altro e non sulla salute pubblica;

- abolire il numero chiuso per l’accesso alla facoltà di medicina e formare i medici necessari al paese;

- infine la soluzione più impegnativa: un maxi processo con dentro le gabbie i seguenti imputati: i ministri della salute, dell’economia e dell’università degli ultimi venti anni; i governatori delle regioni degli ultimi venti anni; i dirigenti sindacali che hanno varato negli ultimi contratti il welfare aziendale.

Qualcuno dirà che il rapporto della Fondazione Gimbe parte solo dal 2011 e quindi perché allargare l’accusa agli ultimi venti anni? Perché in realtà questa operazione criminogena è iniziata negli anni '90 sotto la spinta dei tagli e delle privatizzazioni nella sanità per rientrare nei parametri del trattato di Maastricht e dal Patto di Stabilità.

Durante il processo, nei banchi del pubblico e in quelli dell’accusa, dovrebbero sedere tutte le vittime del crollo dei livelli di assistenza sanitaria dovuti ai tagli e alle scellerate scelte fatte; ed anche tutti coloro che hanno dovuto sborsare due volti i loro soldi (prima con le trattenute in busta paga e poi pagandosi direttamente prestazioni sanitarie che avrebbero dovute essergli garantite).

Fuori dall’aula dovremmo esserci tutti noi. Pronti ad intervenire nel caso di una condanna troppo lieve o l’assoluzione degli imputati. Un intervento popolare teso ad assicurare che la condanna venga scontata effettivamente “intramoenia”.

Nell’eventualità di un processo che facesse seriamente giustizia si partirà in corteo per recarsi all’ospedale San Giovanni di Roma onde abbattere una scritta vergognosa: “Azienda Ospedaliera San Giovanni”, e ripristinare l’insegna con su scritto solo “Ospedale”. Proprio perché hanno ridotto gli ospedali ad aziende oggi siamo di fronte agli orrori che stiamo vedendo.

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