Sono gravissime le condizioni di salute del presidente della Tunisia Beji Caid Essebsi ricoverato da ieri in un ospedale militare del Paese.
A fornire alla stampa l’ultimo bollettino medico del capo dello Stato è lo stesso ufficio di Essebsi che in una nota ha fatto sapere che
le condizioni di salute del 92enne leader tunisino sono “gravi” ma
“stabili” e che “si sta sottoponendo a tutti i controlli necessari”. Il
presidente era stato ricoverato in ospedale brevemente anche la scorsa
settimana per ricevere quello che il suo staff ha definito “un
trattamento non serio”. Ieri, inizialmente, era girata voce che fosse
morto. Era stato poi il suo consigliere Firas Guefresh a smentire su
Twitter le indiscrezioni che circolavano sulla stampa.
Primo presidente eletto democraticamente in Tunisia dopo le
proteste del 2011, Essebsi è figura di primo piano nel mondo politico
locale da quando è stato deposto Zine el-Abidine Ben Ali: è stato
infatti colui che ha guidato la fase della transizione politica come
primo ministro nel 2011 ed è stato eletto capo dello stato tre anni
dopo.
La sua carriera politica ha però inizi lontani: Essebsi ha servito
come ministro degli esteri all’epoca del presidente, nonché fondatore
della Tunisia moderna, Habib Bouruiba e ha ricoperto la carica di
presidente del Parlamento al tempo di Ben Ali. Leader del laico
Nidaa Tunis, la scorsa primavera Essebsi aveva dichiarato che non si
sarebbe candidato per un secondo mandato alle presidenziali di novembre.
Una decisione che ha creato non pochi problemi al suo partito che
sosteneva la sua candidatura e che ancora oggi non ha trovato un valido
sostituto.
La scena politica tunisina continua ad essere tribolata:
nell’ultimo anno la coalizione di governo (formata dagli islamisti di
Ennahda e da Nidaa Tunis) si è spaccata e ha perso pezzi. Tra i
fuoriusciti, lo scorso settembre, c’è anche il premier Yousef Chahed che ha dato vita ad un partito tutto suo (Yahya Tunes, “Forza Tunisia”) insieme ad altri 40 deputati. Le polemiche politiche si inseriscono in una situazione economica e sociale niente affatto semplice. L’esecutivo è stato finora incapace di dare risposte concrete ai problemi che affliggono il Paese:
la diffusa corruzione, l’alto tasso di disoccupazione (soprattutto tra i
giovani), le diseguaglianze socio-economiche e la marginalizzazione
delle aree periferiche. Un humus sociale e politico che è stato ideale
per il gruppo jihadista dello “Stato Islamico” per reclutare combattenti
da inviare nel (fu) “califfato” di Siria e Iraq. Ma che ha anche
continuato a causare l’immigrazione clandestina di centinaia di persone
verso la sponda settentrionale del Mediterraneo affidata ad imbarcazioni
di fortuna non di rado affondate lungo il tragitto. Nonostante la
retorica di Roma dei “porti chiusi”, i tunisini continuano ad arrivare
sulle coste italiane: gli ultimi, scortati dalla nostra Guardia
Costiera, sono arrivati l’altro giorno nella stessa Lampedusa dove è
ancora impedito, invece, lo sbarco ai 42 migranti della Sea Watch 3.
Si scappa da disoccupazione, povertà, mancanza di futuro, ma
anche dallo stato di emergenza che, imposto durante le rivolte tunisine
del 2011 fino al 2014, è stato reintrodotto nel 2015 quando il museo
Bardo di Tunisi (prima) e un resort turistico di Susa (poi) sono stati
teatro di due sanguinosi attentati terroristici. L’ultima
estensione dello stato di emergenza risale allo scorso 5 giugno e come
al solito non sono mancate le proteste: con il pretesto dell’emergenza,
infatti, le autorità possono compiere migliaia di arresti e
perquisizioni illegittime, imporre il coprifuoco, sospendere il diritto
di sciopero e assemblea e le attività di movimenti e ong.
Senza dimenticare che la Tunisia, raccontata dai media come
l’unica “rivoluzione araba di successo”, continua ad essere scossa di
tanto in tanto da attentati. Gli ultimi ieri mattina quando due kamikaze
si sono fatti saltare in aria a Tunisi uccidendo un poliziotto e
ferendo 11 persone (morti anche i due attentatori). Gli
attacchi terroristici sono avvenuti nel cuore pulsante della capitale
tra Rue Charles de Gaulle e Avenue Bourghiba e presso la sede della
guardia nazionale nel distretto di al-Qarijiani (qui sono stati feriti 4
ufficiali). Ma ad essere stata colpita è stata anche la città di Gafsa a
sud: qui un comando armato ha sparato senza conseguenze sui militari
che erano a protezione delle infrastrutture di trasmissione sul monte
Orbata.
Gli attentati di ieri rischiano di rendere il percorso verso
le parlamentari del 6 ottobre e le presidenziali del 17 novembre ancora
più complesso e carico di tensione. A rendere incandescente il
clima nel Paese ci pensa però anche la politica: ha destato più di
qualche protesta la recente approvazione di un emendamento alla
legge elettorale che porta al 3% la soglia di sbarramento per le
politiche ed esclude dalla presidenza chi possiede mezzi d’informazione e
controlla enti di beneficenza. A restare fuori potrebbe essere
anche Nabil Karoui, il proprietario di Nesma Tv, che è dato in testa
nei sondaggi. Tutto dipenderà però da cosa accadrà a Essebsi: nel caso
in cui dovesse morire l’emendamento (che non ha ancora la sua firma)
salterebbe e si andrebbe con ogni probabilità a voto anticipato.
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