Grazie ai miei due ultimi articoli pubblicati da Contropiano – su Berlinguer e Zeffirelli – mi hanno e ci hanno detto di tutto sui social.
Si è passati attraverso un florilegio di offese da catalogo Electa. Si è andati dal “bifolco incendiario” di libri, allo “snob intellettuale sinistroide.” Dal “rimminchionito” con annessa bruciatura delle sinapsi, all'“ignorante”, “ciuccio” e “presuntuoso”. Dal rozzo senza cultura, all’astioso, cattivo e invidioso. Dall’anticomunista al fascista rosso. Dal “revisionista” al “dogmatico”. Dal “rivoluzionario allucinato”, al “borghese delirante”. Dal “narcisista arrogante”, all'“erudito bilioso”. Dal “nemico della classe operaia”, al “relativista senza ideologia”. Dall'“ubriaco in pieno delirium tremens”, alla “comare incinghialita”. Roba che neanche l’Avvelenata di Guccini!
Mi hanno dato del “miserabile insensibile”, perché “non rispettoso della morte”. E vale per Berlinguer come per Zeffirelli. Qualcuno mi ha persino paragonato ad Hitler! E qualche altro mi ha addirittura minacciato. Naturalmente, l’ho invitato a dar seguito alle minacce, venendo a prendermi sotto casa. E in una tale collezione miseranda di accuse, chiaramente, è stato coinvolto anche il nostro giornale, Contropiano.
In questo schizofrenico delirio, però – tranne sporadici casi – nessuna argomentazione a sostegno. Solo gratuiti e grotteschi insulti. A confermare la vocazione politicamente populista, intellettualmente deviante, gnoseologicamente desertica, culturalmente degenerativa, intimamente viscerale, soggettivamente collerica, individualmente vendicativa e oggettivamente autoreferenziale dei social.
A dispetto della loro pur “democratica” potenzialità, i social si rivelano infatti, una volta di più, sovrastrutture atomizzate e atomizzanti. Tutte interne al villaggio globale dell’ideologia neoliberista e liquidamente postmodernista. Un villaggio divenuto, ormai, contrariamente a quel che la narrazione dominante vorrebbe propagandare in termini di gioioso e unificante crollo di muri e frontiere – privilegio riservato solo alle merci, al denaro e al capitale umano schiavizzato – un recinto asfittico e claustrofobico.
Una fattoria degli animali orwelliana, dentro cui azzannarsi, seppur fraternamente. O, per dirla con parole più semplici, uno strumento del Capitale, il cui interesse è relegarci a solipsismi bachechici. Politicamente innocui.
Insomma, la verità è che io sarò anche “cattivo”, insensibile e poco elegante come recensore e come “critico”. Ma, per indole e formazione, non amo le mezze misure e l’ipocrisia. Non amo chi smorza i toni o non affonda il coltello della critica stessa.
Certo, è materia delicata e non si deve giungere alla denigrazione. Principalmente, nel rispetto del lavoro altrui! Ma se le riflessioni sono sostenute da ragionamenti e dissertazioni precise e argomentate, si ha il diritto e il dovere di sostenere, fino in fondo, le proprie opinioni e le proprie tesi. Si ha il diritto e il dovere di esprimere un giudizio, anche terribilmente negativo. Può aiutare.
A me, per esempio, nel corso della vita, non hanno aiutato i complimenti quanto le stroncature.
Nell’epoca del consenso, della dittatura del like e dello spettacolo fattosi episteme del nostro tempo, tuttavia, le stroncature non esistono più. Non possono esistere. Semplicemente perché non esistono e non devono esistere spettacoli contro. E dato che siamo tutti immersi nel debordiano spettacolo dell’esistenza, ecco spiegato il motivo per cui, se ci si azzarda a proporre riflessioni minimamente fuori dal coro, il rischio è quello di venir aggrediti, anche se solo verbalmente e virtualmente. Non tolleriamo più il dissenso. E questo, dobbiamo dircelo con franchezza, succede anche tra noi compagni.
Personalmente, invece, continuo ad amare il dibattito e la dialettica. Unici strumenti per approfondire e capire. Amo anche la polemica, se condotta con le armi affilate del sapere e con educazione e rispetto reciproco, seppur scevri da perbenistiche tartuferie. Quello che non amo, invece, è il giudizio gratuito e immotivato.
Di questi tempi, però, con l’avvento della comunicazione social e smart, va constatato come la dialettica si stia sempre più riducendo ad un fatto personale. Allo sciorinare una serie di insulti, senza che ce ne sia la necessità, ma solo perché bisogna dimostrare, a chi legge – cioè ai terzi onnipresenti – che il nostro interlocutore è un coglione. Non sia mai lo pensino di noi o pensino che siamo troppo cedevoli o incapaci!
Personalmente, in questi casi incresciosi, divento intrattabile e anche arrogante. Al pari di chi pretende, però, di dar lezioni senza conoscerti. Senza conoscere la tua storia. Senza conoscere la tua, pur modesta, cultura.
Mi ostino a voler dialogare su facebook, certo. Anche perché il nostro è un quotidiano online. Accetto anche le critiche, ovviamente. Ma se portate con intelligenza, vivacità di pensiero e sorrette da una valida e necessaria struttura argomentativa. D’altra parte, la libertà di critica – seria!!! – dovrebbe essere il nucleo concettuale del marxismo. Devo averlo letto da qualche parte, se non ricordo male. Dunque se critico, devo necessariamente accettare le critiche altrui.
Non sono, però, tenuto ad accettare gli insulti. O peggio, lezioni di vita da perfetti sconosciuti che, il più delle volte, francamente, rappresentano un insulto alla stessa intelligenza umana.
A costoro, andrebbe ricordato che, se si pretende di dar lezioni, bisogna stare attenti a non essere colti in fallo. Se si punta il dito, bisogna essere inespugnabili. E bisogna essere, comunque, attrezzati e pronti a reggere le altrui contro repliche. Anche con ironia, volendo. Un meraviglioso strumento demitizzante, di cui troppi sono sprovvisti, oggidì!
Quei troppi, invece, che pensano di poter prevaricare, bacchettare, addirittura denigrare e offendere, quasi si sentissero investiti da una suprema autorità divina. Bene, in questi casi, in nome del mio arcigno ateismo, posso diventare, mio malgrado, saccente e spocchioso, fino all’antipatia più estrema.
E allora, fatte queste doverose precisazioni, vorrei ringraziare tutti i miei, i nostri detrattori. Perché fin quando esisteranno loro e fin quando le reazioni ai miei, ai nostri articoli saranno queste, io continuerò a scrivere e ad esercitare, con sempre maggior vigore e con sempre più convinzione, il mio diritto alla critica. Marxista e Militante. Un diritto alla critica, garantitomi anche da un giornale, marxista, comunista e militante, come Contropiano. Sostenuto ed autofinanziato dai compagni.
Un giornale che non si richiama ad un astratto e generico concetto di libertà, liberale, borghese e funzionale all’economia di mercato. Ma ad un ben più concreto, sincero, meno ambiguo, inderogabile concetto di partigianeria gramsciana. Il che vuol dire anche intollerante con gli intolleranti, secondo l’enunciato di Karl Popper. Un diritto altresì garantito da chi quel giornale dirige, con passione, disinteressato senso del dovere e totale abnegazione alla causa.
Pertanto si prosegue, si va avanti, senza se e senza ma. Senza timori reverenziali e perseguendo un preciso e coerente concetto di Politica, di Lotta, di Cultura, di Estetica, di Arte. Un concetto che si condensa in una logica, imprescindibile, materialistica visione del mondo – weltanschauung, la chiamerebbero i tedeschi – e sorretto dai presupposti teorici della dottrina marxista. Pur senza disdegnare, comunque, frequenti e salutari digressioni eretiche.
Ci battiamo per la rinascita e la costruzione di un pensiero critico e antagonista, in un mondo omologato dalla dittatura del pensiero unico neoliberista, culturalmente appiattito, filosoficamente genuflesso al dominio della scienza borghese e polverizzato dal relativismo post ideologico del credo mercantile e dal verbo postmodernista. Anche nel nostro campo. Anche a sinistra!
Ma soprattutto continuiamo, senza arretrare di un centimetro, convinti che se s’incazzano, cogliamo nel segno.
D’altra parte, un cantautore molto amato dal popolo della sinistra – significante polisemico variamente declinato – come De André, diceva di proseguire in direzione ostinata e contraria. Fuori dai cori.
Forse, molti sedicenti compagni, invece di cercare il consenso, questo semplice eppur fondamentale concetto, per un comunista, dovrebbero riscoprirlo. Un po’ di solitudine sulle montagne, o nelle Sierre, di tanto in tanto, può solo essere salutare!
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