di Mauro Baldrati
È stato presentato al Biografilm di Bologna l’atteso documentario At the matinée,
di Giangiacomo De Stefano, che inizierà un tour di distribuzione
diretta in alcune sale italiane (difficilmente entrerà nella
programmazione mainstream). È una ricostruzione, con interviste e
alcuni filmati dell’epoca, dell’ambiente hardcore punk newyorkese degli
anni ’80, che nacque e ruotò intorno a un famoso locale underground nel
Lower East Side di Manhattan, il CBGB (acronimo di Country Blue Grass Blues).
Negli anni '70 era stato un punto di riferimento per le nuove
tendenze internazionali: ci suonavano abitualmente Patti Smith, Ramones, Television, Talking Heads, Blondie, Clash. Poi era
caduto in disuso, anche per la tremenda involuzione della città,
avvitata sulla crisi economica, il degrado urbano, la violenza. Poi,
forse con la modalità casuale con cui nascono le grandi idee, così,
tanto per fare, al proprietario Hilly Kristal venne in mente di
riconvertirlo. Diventò un locale diurno, la domenica, per attirare un
pubblico giovane, con la sua musica, il post punk più estremo che
prenderà il nome di hardcore.
Siamo nei primi anni '80. I ragazzini vanno a scuola il lunedì,
ma la domenica pomeriggio sono liberi. Lì per lì si formano nuovi
gruppi, che scalpitano e ruggiscono intorno ai maestri, i Warzone, i
Quicksand, gli Youth Of Today, un ambiente sulfureo e variegato che darà
la luce a gruppi simbolo come i Cro-Mags di Harley Flanagan.
Un navigatore d’eccezione, Walter Schreifels, chitarrista e
compositore dei Gorilla Biscuits, torna sul posto, di fronte alla nuova
vetrina del negozio che un tempo fu il CBGB. Come dice il Bob Dylan di
oggi sul Rolling Thunder tour, non resta nulla. Solo polvere.
Forse non eravamo neppure nati. Neanche i rumori, i suoni furiosi, le
urla “tirate in faccia”, gli odori pregnanti di sudore adolescenziale, i
corpi scaraventati tra il pubblico, i muri anneriti ammuffiti rivestiti
di collages e graffiti, i bagni lerci di un seminterrato gremito fino
all’inverosimile con 40-45 gradi di temperatura interna, nessuna uscita
di sicurezza e un angelo custode, anzi, una task force di angeli che
l’hanno protetto da un piccolo, insignificante incidente: una sigaretta
accesa, una scintilla degli impianti elettrici che avrebbero provocato
una strage di ragazzini, imprigionati in una bara mortale come un
sommergibile che affonda, un carro armato che va a fuoco.
Schreifels racconta, ricorda, intervista i sopravvissuti, tutti sani e
presenti mentalmente: ex chitarristi o cantanti dei gruppi hardcore,
che cercano di restituire la furia del periodo, la rabbia entusiasta dei
dodicenni, dei quattordicenni che si agitavano sul palco e in platea.
Bambini ipercresciuti che spesso, come ha raccontato proprio Harley
Flanagan nel libro autobiografico La mia vita Hardcore, già
suonavano (dopo avere ottenuto il permesso dalle mamme), fumavano droga e
avevano pure dei rudimentali rapporti sessuali con ragazze più grandi.
Anche se, precisa giustamente qualcuno degli intervistati, bisogna
superare il luogo comune dello sballo ad ogni costo. Non tutti volevano
drogarsi, da bravi hardcore punk. Molti credevano nell’amicizia, nella
solidarietà, nell’accoglienza, non bevevano e non si drogavano affatto.
Le interviste si alternano con filmati dell’epoca, tutti di pessima
qualità naturalmente, girati da spettatori, immagini sgranate,
traballanti per i continui urti, il corpo di qualcuno scaraventato sulla
platea, con un audio inascoltabile, distorto, che forniscono un effetto
presenza formidabile, privo di qualunque filtro o rielaborazione.
Sembra di esserci, anzi, ci siamo, travolti dall’adrenalina e dal
testosterone adolescenziale in totale libertà, come un branco di
cuccioli predatori che lottano, giocano, ruggiscono.
Era un ambiente soprattutto maschile, per cui le ragazze, dicono un
paio di signore oggi distinte e sorridenti che parteciparono a quegli
anni frenetici, erano rare, e dovevano essere “toste”.
L’esperienza, l’epica, come una nuova frontiera dell’ansia di vivere e
di esserci e di urlare la propria libertà, durerà per tutto il
decennio, finché la città, desiderosa di “riqualificare”, genererà la
svolta: demolizioni, chiusure di locali, nuovi negozi, appartamenti,
uffici. Via il vecchio mondo post beat, post hippy, post punk; via tutto
e avanti i soldi, la speculazione e il crimine organizzato (il lato B
del nuovo capitalismo rampante). Ci saranno scontri tra punk e polizia,
guerriglia, con l’esito scontato che tutti conosciamo.
At the matinée è un film interessante, divertente, per certi
aspetti strabiliante; resta, forse per la qualità delle interviste,
così intense, così rievocative, un senso di vuoto, la rarefazione
onirica di un periodo che forse non fu solo artistico, ma soprattutto
esistenziale, improvvisato nella sua ansia di agire, di abbattere le
barriere, tutte, con la violenza di un ariete da sfondamento.
È nato, è cresciuto con la velocità di una scarica elettrica, è
passato con le sue architetture e le sue iconografie rase al suolo dalla
“modernità”, e non restano che i ricordi.
Nessun Tempo Ritrovato.
Non resta che polvere.
Fonte
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