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30/06/2019

Giacomo Sferlazzo, Arrispigghiativi (I figli di Abele)

Se andate sul sito della Smeg, quella degli elettrodomestici, troverete un’ampia pagina dedicata ad una bella e variopinta collezione di frigoriferi. Sono elettrodomestici “vestiti” come carretti siciliani.

Il sito dice, testualmente, “firmate Dolce & Gabbana”. Che sarebbero quei due stilisti che avete visto in tempi recenti chiedere scusa all’intera Cina per aver offerto un cannolo troppo grande ad una loro concittadina.

In realtà la firma su quelle opere d’arte è quella di Alice Valenti, pittrice catanese che mantiene viva la grande tradizione pittorica-popolare della sua terra, quella dei decoratori di carretti e degli illustratori dei pannelli per i cantastorie. L’ultima sua firma si trova anche in calce ad un’altra opera d’arte: il nuovo album di Giacomo Sferlazzo, il Mangiafuoco di Lampedusa.

Un ulteriore tocco di colore ad una musica che di colori è già piena. Un’identità che si incontra con le identità di altri paesi, in quel porto culturale che è diventata la sua isola. Un’identità guerriera che Sferlazzo mostra più nella vita di tutti i giorni che nella sua vita da poeta musicista.

Un lampedusano che ha dovuto indossare una corazza per proteggere i diritti calpestati di una terra che è diventata terra di conquista, indotto stagionale ed equivoco per lavoratori precari, punta estrema di un’Italia che, se vuole accogliere, molto spesso non sa come gestire l’accoglienza.

Un lampedusano che lotta per riaffermare l’identità della sua isola, riavviare il processo di memoria che sembra arrestarsi per il resto del mondo all’epoca dei primi sbarchi di extracomunitari, come se prima di allora Lampedusa fosse solo uno scoglio sperduto e disabitato nel Mar Mediterraneo.

Il suo lavoro musicale è plurivalente: Sferlazzo non è un semplice cantastorie e le sue non sono semplici canzoni della memoria o di protesta.

Sono canzoni “imbrattate” come i muri delle nostre città.

Sporche come le nostre strade.

Legno e metallo, infinite gallerie di tarli e ruggine corrosiva convivono senza mai abbracciarsi veramente, in un rapporto stridente come quello che viene fuori da pezzi come Ventu o Arrispigghiativi.

Anche nei brani più tradizionali, e qui ce ne sono diversi, Giacomo Sferlazzo ha sempre qualcosa di sgraziato, di poco rassicurante, di disobbediente.

Come a dirci che nessuno è al sicuro, neppure quando celebriamo l’eterno rituale del ricordo. Che bisogna lasciare sempre una porta aperta, una via di fuga, lanciare uno sguardo oltre il muro. Che se dormiamo, è il momento di svegliarsi.

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