di Chiara Cruciati – Il Manifesto
La centralità di
Istanbul non è solo politica, ma anche economica. Murat Cinar,
giornalista che da anni si occupa della politica delle grandi opere
lanciata da Erdogan, qual è la posta in gioco sul Bosforo?
È ancora grande. Le grandi opere sono state solo parzialmente
realizzate perché vedono la partecipazione del ministero delle
infrastrutture: non sono al 100% comunali ma hanno anche un budget
nazionale. Il ponte sul Bosforo, il passaggio sotto il Bosforo, il terzo
aeroporto, il palazzo di giustizia più grande del Medio Oriente. E poi
strade, ponti, grandi raccordi. Alcuni degli appalti sono stati già
affidati, ma per altri progetti non si è ancora arrivati a gara. I
problemi che ruotano intorno a questa politica sono vari: innanzitutto
sono sempre le stesse cinque aziende (Limak Holding, Cengiz Holding,
Kolin, Kalyon e MNG Holding, ndr) a mangiare la torta e, in
secondo luogo, il valore dei lavori stimato è più alto di quello
effettivo. Terzo punto, la qualità: tanti lavori realizzati non
servivano o sono stati fatti male, come il passaggio sull’autostrada
crollato che ha ucciso cinque persone, o il treno ad alta velocità
costruito su binari tedeschi della seconda guerra mondiale che dopo
cinque ore dall’inaugurazione ha avuto un incidente e ha ucciso 30
persone.
Imamoglu, dopo 25 anni di controllo di Erdogan su Istanbul, potrebbe svelare le irregolarità?
È stato un tasto importante premuto da Imamoglu e che ha generato
grande paura nella famiglia la cricca di Erdogan. Pensate a Turgev (il
presidente è il figlio di Erdogan) e Ensar, tra le più grandi
fondazioni della Turchia, super religiose: hanno appalti in ogni comune
per scuole estive e corsi per i ragazzi. Nei 18 giorni in cui Imamoglu è
stato sindaco dopo il 31 marzo ha scoperto che il comune aveva comprato
a Turgev 28mila archi per i giochi nazionali di tiro con l’arco in
stile ottomano. Imamoglu ha parlato sempre di trasparenza e di
contrarietà a questa cultura degli appalti. Un approccio senza
precedenti per Istanbul, dove il governo uscente ha sempre fatto tutto
dietro le quinte senza coinvolgere la popolazione. In quei 18 giorni
Imamoglu ha trasmesso in diretta web il consiglio comunale, la prima
volta in Turchia, riuscendo così a strappare all’ex maggioranza
l’appoggio per l’abbassamento dell’abbonamento ai trasporti per gli
studenti. Le questioni economiche contano molto, soprattutto in una
città come Istanbul, enorme, ricca e costosa ma che è abitata da un
esercito di poveri e lavoratori sottopagati.
A definire il budget comunale è però il governo centrale. Erdogan potrebbe boicottare i progetti del Chp?
A differenza dell’Italia, gli enti locali in Turchia non hanno
autonomia forte e dipendono dal governo per il budget di istruzione,
sanità, trasporti. Ad Ankara il neosindaco, Mansur Yavas del Chp, è già
di fronte questo problema: dopo aver avviato un lavoro di denuncia e
trasparenza, si sta accorgendo che dal governo c’è un rigetto o un
rinvio sulle varie proposte mosse. Erdogan però potrebbe non resistere a
lungo di fronte a due personaggi forti che lavorano sulla trasparenza:
se chiederanno un certo budget per dei progetti e il governo li negherà,
sveleranno il ricatto.
Ci sono progetti che Imamoglu potrebbe bloccare?
Per quelli già appaltati, può fare poco, dovrebbe farlo la
magistratura. Può procurarsi prove di irregolarità. Per il futuro ha già
detto che non farà vincere bandi sempre alle stesse aziende o
fondazione. Nel dibattito tv con Yildirim, ha detto che non c’è bisogno
di esternalizzare a fondazioni come Turgev e Ensar servizi che dovrebbe
fornire il comune, dai nidi alle scuole, perché l’ovvio rischio è che
quel servizio sia affidato a soggetti vicini al potere, che iniettano
denaro sulla campagna elettorale o che sostengono un certo partito nei
loro spazi, a partire dalle moschee. L’Akp ha sempre lavorato così, con
comunità religiose che distribuiscono lavoro, borse di studio,
istruzione.
Il Chp è stato votato anche da sostenitori dell’Akp?
Imamoglu ha fin da subito detto di rivolgersi a tutti, di voler
scardinare l’idea dello Stato come partito. Ha detto di voler governare
insieme, senza distinzioni di religione, etnia, ideologia: per me, ha
detto, curdi, armeni, turchi, siriaci, ebrei sono uguali. E si è preso
un rischio perché quella turca è una società molto polarizzata,
cresciuta in questi due decenni nell’odio. Ma ha avuto ragione,
strappando voti a un Akp che ha sempre parlato di un noi e un loro, che
attacca armeni e curdi, che cerca di sunnizzare gli aleviti, che
marginalizza certe comunità. Ha influito anche la crisi economica. E
infine, l’ingiustizia del 31 marzo, in tanti non hanno accettato
l’annullamento del voto, compresi elettori dell'Akp.
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