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26/06/2019

Iran - Le sanzioni contro Khamenei sono la fine della diplomazia

“Imporre inutili sanzioni sulla Guida Suprema [l’Ayatollah Khamenei] e il capo della diplomazia iraniana [il ministro degli esteri Mohammad Zarif] vuol dire chiudere permanentemente la strada della diplomazia”. E’ sibilino il commento di Abbas Mousavi alle nuove sanzioni anti-Iran annunciate ieri dal presidente statunitense Donald Trump. “La disperata amministrazione americana – ha spiegato il portavoce del ministro degli esteri iraniani – sta distruggendo il meccanismo internazionale per mantenere la pace e la sicurezza mondiale”.

L’ordine esecutivo firmato ieri da Trump – che sarà seguito questa settimana anche dalle sanzioni contro Zarif – è del resto un passo senza precedenti che intensifica le pressioni sulla Repubblica Islamica e aumenta i rischi dello scoppio di un’altra guerra nel Golfo. Il casus belli è stato questa volta l’abbattimento da parte di Teheran, la scorsa settimana, di un drone americano. Un “incidente” su cui restano due versioni differenti: quella iraniana che continua a ripetere che il drone volava sulla parte meridionale del suo territorio; quella di Washington secondo cui l’aereo senza pilota sorvolava lo spazio aereo internazionale sopra lo Stretto di Hormuz. Come siano andati veramente i fatti è tuttavia questione di lana caprina. Trump, infatti, ieri è stato chiarissimo: le nuove sanzioni sono sì una risposta all’abbattimento del drone, ma sarebbero state imposte ugualmente perché Khamenei, ha affermato il leader repubblicano, “è essenzialmente il responsabile della condotta ostile del regime [iraniano]” in Medio Oriente.

La strada anti-Iran da parte americana è tracciata da tempo. Da quando The Donald è inquilino della Casa Bianca, infatti, i passi contro la Repubblica islamica sono stati numerosi: formazione di una “Nato Araba” (a cui parteciperebbe anche Israele) per fermare l’egemonia regionale degli iraniani; il ritiro statunitense dall’accordo sul nucleare siglato nel 2015 (l’unico successo tangibile in Medio Oriente della passata amministrazione Obama) e l’immediato annuncio della ripresa delle sanzioni contro Teheran; la recente militarizzazione a stelle e strisce dell’area del Golfo. Nessun protagonista regionale (dai sauditi agli americani passando per gli emiratini) parla esplicitamente di guerra contro la Repubblica Islamica. Anzi, a parole, tutti vorrebbero evitare l’escalation. Ma i fatti portano inevitabilmente a considerare la guerra non come ipotesi peregrina. Le parole del ministro degli esteri saudita Adel al-Jubeir rilasciate qualche giorno fa a France 24 sono emblematiche. Jubeir ha dichiarato che le possibilità di un conflitto tra Iran e Usa con i suoi alleati possano essere evitate (“Tutti stanno cercando di impedire una guerra nella regione”). Tuttavia, ha subito chiarito, “l’escalation sta nascendo da parte degli iraniani” perché “è l’Iran che ha attaccato le petroliere nel Golfo non una, ma due volte” ed “è l’Iran che ha mandato missili balistici e droni ai suoi alleati [yemeniti] houthi per attaccare oleodotti e aeroporti sauditi”. “Gli iraniani – ha concluso il ministro saudita – hanno intrapreso un atteggiamento aggressivo e hanno compiuto mosse minacciose per cui tocca a loro ridurre le tensioni”.

Jubeir non ha ricordato però chi è stato a sfilarsi dall’accordo sul nucleare che l’Iran, a detta degli ispettori internazionali, stava rispettando alla lettera. Né si è ricordato di menzionare chi ha deciso l’anno scorso di tornare ad imporre nuovamente le sanzioni contro gli iraniani. Le ultime, quelle annunciate ieri, prenderanno di mira l’accesso alle risorse finanziarie da parte della Guida Suprema Khamenei (la più importante autorità iraniana cui spetta l’ultima parola in ogni questione che riguarda la Repubblica Islamica) impedendo che possano essere usate negli Usa.

La tensione è alta nella regione. L’Iran, tramite il suo ambasciatore all’Onu Majid Takht Ravanchi, ha fatto sapere che non accetterà di intraprendere negoziati con gli americani se continueranno ad essere in vigore queste misure. “Non si può iniziare un dialogo con qualcuno che ti sta minacciando – ha spiegato Ravanchi – come possiamo farlo con qualcuno la cui principale occupazione è imporre nuove sanzioni contro l’Iran? Il clima per [iniziare] questo dialogo non c’è”. A provare a fare da paciere è il Consiglio di Sicurezza dell’Onu che ha invitato le parti a mostrare moderazione. Ma è un appello che è caduto nel vuoto.

Le nuove sanzioni anti-Iran da parte degli Usa giungono infatti nelle stesse ore in cui continua il tour nel Golfo del Segretario di Stato americano Mike Pompeo. Dopo aver visitato l’Arabia Saudita dove ha incontrato il principe ereditario Mohammed bin Salman (con cui ha preferito evitare di parlare del caso Khashoggi), Pompeo è giunto ieri negli Emirati Arabi Uniti dove è stato ricevuto dal principe ereditario Mohammad bin Zayed al-Nahyan. L’obiettivo ufficiale è quello di costruire con gli alleati del Golfo una coalizione che possa proteggere le petroliere che transitano nella regione dopo i recenti attacchi delle ultime settimane attribuiti da sauditi e americani agli iraniani. Ma è chiaro che il viaggio del Segretario di Stato ha scopi ben più ampi: puntellare la costituzione della “Nato Araba” anti-Iran intensificando le pressioni sulla Repubblica sciita. Le nuove sanzioni di Trump annunciate ieri rappresentano solo un ulteriore passo verso un conflitto diretto contro Teheran che, sebbene non sia ancora militare, è già in corso.

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