di Chiara Cruciati – Il Manifesto
Un messaggio è stato
spedito anche da Sana’a, martoriata e bellissima capitale dello Yemen:
ieri la pagina Twitter della Campaign Against Arms Trade (Caat) si è
riempita di congratulazioni.
Perché gli attivisti britannici che da anni si battono contro il mercato internazionale delle armi hanno vinto: l’Alta
corte d’appello del Regno Unito ha ribaltato la sentenza del 2017
dell’Alta corte e ordinato al governo di Londra di sospendere il
rilascio di nuove licenze per vendite militari all’Arabia Saudita.
Ai giudici sono stati presentati i rapporti delle associazioni della
società civile, Amnesty International, Human Rights Watch e Oxfam, con a
capo Caat: quelle vendite violano il diritto internazionale umanitario e
sono utilizzate per compiere crimini contro i civili yemeniti.
La Corte ha accolto il ricorso,
ma con una motivazione diversa, non incentrata sulla bontà o meno della
decisione di vendere armi ai Saud ma sul processo che ha condotto a tale
decisione: i giudici Terence Etherton, Irwin e Singh non hanno
potuto confermare che le armi britanniche siano state effettivamente
utilizzate per compiere gravi violazioni del diritto internazionale ma
si sono detti certi del mancato controllo da parte di Londra.
Insomma, alla luce delle passate violazioni commesse dalla
petromonarchia, il governo britannico non ha verificato l’uso fatto
delle armi, dunque deve sospendere le licenze. Messaggio diretto al
segretario al commercio internazionale Liam Fox: rimetti mano alle
decisioni del passato.
Perché è il governo che indica e il parlamento, attraverso la
commissione sul controllo dell’export di armi, che dà luce verde.
Quella commissione, che il governo definisce «uno dei più robusti regimi
di controllo bellico del mondo», per la Corte non fa il suo dovere: i suoi membri si limitano a dare sostegno alle scelte governative senza analizzarle davvero.
La sentenza non tocca gli ordini già in essere, quelli continueranno a
far crescere il contingente militare saudita. Ma da questo momento,
ordina la Corte, nessun’altra licenza potrà essere rilasciata a meno di
un effettivo controllo sull’uso delle armi made in Britain. E
quell’ordine lo emette con parole forti: le licenze sono «irrazionali e di conseguenza illegali».
Al governo resta la Corte suprema, ultimo grado di giudizio, a cui
Londra ha già fatto sapere che si appellerà. A reagire è anche il
convitato di pietra, il regime saudita: l’unico a beneficiare della
sentenza, ha detto il ministro degli Esteri Adel al-Jubeir, sarà l’Iran,
spauracchio facilmente spendibile da Londra a Washington.
Si festeggia invece dentro Caat, una festa consapevole del senso di questa vittoria, ancora limitata: «Accogliamo
questo verdetto – commenta Andrew Smith, il portavoce della Campagna –
ma non sarebbe dovuto essere un ricorso di attivisti a costringere il
governo a rispettare le sue stesse leggi. Non importano le
atrocità di cui si è macchiato, il regime saudita è stato in grado di
avere l’acritico sostegno politico e militare della Gran Bretagna».
«La vendita di armi usate in Yemen è sfidata a livello internazionale
– aggiunge Sam Perlo-freeman, coordinatore della ricerca di Caat – ma
che venga dalla corte di uno dei principali fornitori ai sauditi porta
la questione a un livello nuovo».
Festeggiano anche i laburisti, con la segretaria
ombra agli esteri, Emily Thornberry, che ha subito chiesto un’inchiesta
parlamentare per individuare eventuali responsabilità ministeriali e la
sospensione immediata della vendita di armi ai sauditi.
Vendite da miliardi di sterline che fanno della Gran Bretagna il
secondo esportatore bellico verso Riyadh dopo gli inamovibili alleati
statunitensi: licenze da sei miliardi di dollari (il 43% delle
vendite belliche totali britanniche), di cui 3,4 in aerei da guerra e
2,4 in missili, bombe e granate, oltre a 6.200 contractor britannici
impiegati nelle basi saudite come addestratori e 80 uomini della Royal
Air Force operativi nei centri di comando di Riyadh.
Questo è il valore ufficiale dal marzo 2015, quando l’Arabia Saudita
ha messo insieme una coalizione di "volenterosi" paesi sunniti per
dichiarare guerra al movimento Houthi yemenita, trascinando il paese più
povero del Golfo nella peggior crisi umanitaria globale.
Ma quel valore, è l’accusa delle associazioni, va considerata al ribasso.
È quella resa nota dal governo ma non tiene conto delle licenze (altre
centinaia di milioni di dollari stimati) allegramente distribuite con
le Open Individual Export Licences,
opaco sistema che non richiede autorizzazione perché riguarderebbe
«prodotti meno sensibili». Ma in mezzo, denunciano gli attivisti,
sarebbero finiti missili e bombe.
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