Sul Financial Times abbiamo pubblicato un breve intervento in cui mettiamo in evidenza i limiti della discussione in corso su “mini-Bot” e altre valute di “transizione” ritenute funzionali all’eventuale abbandono della moneta unica. Il nostro commento sviluppa alcune intuizioni del compianto Augusto Graziani sul funzionamento del SEBC e sui lavori preparatori dei trattati istitutivi dell’euro.
Per gli opinionisti e per i componenti della maggioranza e dell’opposizione che nel nostro paese si sono lanciati in improvvidi pareri sull’ipotesi di una “moneta di transizione”, riportiamo qui sotto anche una versione in italiano del nostro contributo. Buona lettura. E.B. e M.G.
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Una “moneta di transizione” per uscire dall’euro? Un falso problema
Quando la Grecia fu sull’orlo dell’uscita dall’euro, l’allora ministro delle finanze Yanis Varoufakis cercò con scarso successo di istituire un sistema parallelo di pagamenti per gestire l’eventuale transizione. Analogamente, la recente proposta di alcuni membri del Parlamento italiano di emettere i cosiddetti “Mini-BOT” è stata da molti interpretata come un tentativo surrettizio di introdurre una “moneta di transizione” per predisporre una via d’uscita dalla moneta unica.
Con gli ultras anti-euro compiaciuti per la “furba” trovata e i pasdaran pro-euro pronti ad agitare il nuovo, minaccioso spauracchio.
In realtà, e al di là del folclore, chiunque abbia studiato i lavori preparatori dell’Unione Monetaria Europea sa che il Sistema Europeo delle Banche Centrali è già organizzato in modo tale da permettere un eventuale abbandono della moneta unica senza bisogno di ricorrere a monete di “transizione”.
Basti notare, a questo riguardo, che la materiale emissione degli euro è rimasta di competenza delle banche centrali nazionali e che nel numero di serie di ciascuna banconota c’è una lettera che identifica la nazione emittente: S per l’Italia, U per la Francia, X per la Germania, e così via.
Non tutti i padri fondatori dell’euro condivisero la scelta di lasciare l’emissione materiale di moneta alle banche centrali nazionali, né appoggiarono la decisione di esplicitare i paesi emittenti su ciascuna banconota. Tuttavia quelle scelte furono compiute, il che oggi indubbiamente facilita eventuali transizioni da una valuta all’altra.
L’unica banale condizione è che un governo che decida o si veda costretto ad abbandonare l’euro sia almeno in grado di controllare la banca centrale nazionale (Varoufakis, come è noto, non era nemmeno in grado di far questo).
Questa evidenza rende l’attuale dibattito sull’opportunità di dotarsi di una “moneta di transizione” piuttosto sterile e fuorviante. I governi che fossero un giorno sospinti verso l’abbandono della moneta unica europea dovrebbero affrontare notevoli difficoltà, specialmente se lasciassero piena libertà agli scambi e ai movimenti di capitale sui mercati finanziari.
Le leadership attualmente in carica in Europa, siano esse pro o contro l’euro, non sembrano avere adeguata consapevolezza di queste grandi questioni. Ma i meri aspetti operativi della transizione verso una nuova moneta sono un falso problema: che ci piaccia o meno, gli strumenti per affrontarli esistono già.
Emiliano Brancaccio (Università del Sannio) e Mauro Gallegati (Università Politecnica delle Marche)
English version published by the Financial Times
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