Ekrem Imamoglu è il nuovo sindaco di Istanbul. Per la seconda volta.
Ieri la città sul Bosforo, la più importante della Turchia con i suoi 16
milioni di abitanti, il 31% del pil nazionale e capitale culturale
del paese è tornata alle urne a tre mesi dalle prime elezioni.
L’Akp, attraverso il Consiglio Elettorale Supremo (Ysk), le aveva fatte annullare: la
distanza tra Imamoglu, candidato del partito kemalista repubblicano
Chp, e l’ex premier Yildirim, uomo di Erdogan, era stato di appena
13mila voti, lo 0,1%, e l’esecutivo aveva parlato di irregolarità. Il
tentativo estremo di tenersi Istanbul dopo 25 anni di dominio
incontrastato.
Grandi erano state le polemiche per il colpo di mano governativo. E
ieri alle urne la città ha votato di nuovo e di più per Imamoglu: 54%
contro 45%, 700mila voti di differenza e il Chp ha strappato Istanbul
all’Akp grazie al sostegno non indifferente di molti partiti di
opposizione che non si sono ripresentati invitando i propri elettori a
scegliere Imamoglu. E anche grazie a molti elettori dell’Akp che non hanno visto di buon occhio l’annullamento del voto del 31 marzo scorso.
“Non un singolo candidato, né un partito, ma tutta la Turchia ha
vinto le elezioni. Abbiamo insegnato una lezione a chi vorrebbe la
Turchia simile ai paesi vicini”, ha detto ieri Imamoglu di fronte a una
folle enorme radunatasi per festeggiarlo, tra le bandiere della Turchia e
quelle kemliste.
Risponde Yildirim, riconoscendo la sconfitta: “Mi congratulo con il
mio avversario, è davanti. Non possiamo nascondere la realtà”, ha detto a
poche ore dalla chiusura del voto. E ammette la sconfitta lo
stesso Erdogan: “Mi congratulo con Ekrem Imamoglu, che ha vinto le
elezioni secondo i risultati non ufficiali. La volontà nazionale si è espressa ancora una volta. Spero che il risultato sia positivo per Istanbul”.
Il presidente fa buon viso a cattivo gioco, consapevole dell’errore
commesso e che forse aveva già subodorato: nelle ultime settimane di
campagna elettorale non ha accompagnato Yildirim, né si è mostrato in
prima linea, provando a salvarsi in extremis da quella che immaginava
già come una sconfitta.
Non ha solo perso Istanbul, con il suo tesoro, un pil da 167
miliardi di dollari annui e un bugdet da 7.5 miliardi l’anno,
traducibili in appalti e posti di lavoro, dunque bacino elettorale e
affari che in questi anni sono stati ingurgitati da aziende vicinissime
alla famiglia Erdogan. Ha perso molto di più: la prima sconfitta
elettorale vera per Erdogan lo indebolisce a livello nazionale,
perché arrivata dopo un voto travagliato e il tentativo estremo di
evitarlo. Dopotutto lui stesso aveva più volte affermato che “chi perde
Istanbul, perde la Turchia”.
Poteva perdere per un soffio, ha perso per 700mila voti, un’enormità
per la narrazione politica che della Turchia il sultano ha plasmato in
questi decenni al potere. E ha perso una parte consistente dei
suoi sostenitori, molti conservatori, la classe media, che ha deciso di
voltare pagina e che in parte lo ha fatto dopo il colpo di mano
dell’annullamento del voto.
Importante per la vittoria è stato anche il voto curdo,
il 15-20% della popolazione totale della città. Arrivato dopo una
notizia che in molti hanno trovato sorprendente. La scorsa
settimana dall’isola-prigione di Imrali, il leader del Pkk Abdullah
Ocalan ha consegnato ai suoi legali un messaggio destabilizzante e un
po’ criptico per i sostenitori dell’Hdp, il partito della sinistra
filo-curda che dopo l’annullamento del voto si era detto pronto ad
appoggiare i kemalisti: Ocalan ha invitato il partito a non entrare
nello scontro a due Akp-Chp, ma a restare «la terza via» verso un regime
realmente democratico. Alcuni lo hanno letto come l’invito a boicottare
il voto di Istanbul, altri a non indicare preferenze.
L’Hdp è poi intervenuto con un comunicato in cui ha «interpretato»
il pensiero di Ocalan: la strategia politica resta la stessa, ovvero
l’appoggio a Imamoglu, ma garantendo l’«indipendenza» del partito.
Ma i veri problemi oggi li deve affrontare l’Akp. Se qualcuno, come
il membro del Harun Armagan, cerca di smorzare la sconfitta (“Non
significa più di qualsiasi altra città. Ovviamente Istanbul è importante
ma l’Akp ha vinto più comuni di qualsiasi altro partito in queste
elezioni”), si parla già di resa dei conti interna, per punire
quelli che finiranno per essere considerati i responsabili del fallimento. Una sconfitta per mano di un uomo, Imamoglu, che fino a pochi
mesi fa era uno sconosciuto ma che ha saputo raccogliere
intorno a sé la frustrazione di una nazione verso una politica ormai
dichiaratamente autoritaria e un’economia a pezzi.
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