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E così anche quest’anno è ricominciata. Dopo mesi e mesi di edifici sbarrati, di quartieri totalmente disabitati, di negozi, alberghi e ristoranti chiusi, le strade della città tornano ad essere vive; il tessuto produttivo dell’area costiera torna finalmente ad offrire una possibilità di sostentamento e un’alternativa a una fuga che altrimenti sarebbe inevitabile. E così se sei uno studente le lezioni finiscono, si accantonano i libri, se studi fuori sede si fanno le valigie per tornare a casa e ci si prepara a quei tre-quattro mesi di lavoro stagionale che nella riviera romagnola vengono spacciati come una grande opportunità lavorativa per i giovani di emanciparsi economicamente dal proprio nucleo famigliare.
Ma la verità che tutti sanno e che pochi osano denunciare è che ad arricchirsi sono solo le aziende private, le cooperative e le agenzie interinali che come l’associazione albergatori e quella bagnini fanno profitti smerciando ai padroni una manodopera proveniente soprattutto dal meridione e dall’est Europa, mentre i lavoratori, soprattutto con poca esperienza o immigrati, sono altamente ricattabili e sostituibili, e così costretti ad accettare condizioni che rasentano forme di schiavitù di fatto regolamentate.
Quella che una volta era considerata una delle mete turistiche più belle in Italia maschera da sempre un sistema marcio fatto di iper-sfruttamento e lavoro nero che affligge tutti i settori della categoria lavorativa stagionale, da quello balneare, alberghiero, a quello della ristorazione, della logistica e del turismo.
Una condizione disumana che continuando ogni anno palesa come le amministrazioni locali siano solo delle rappresentanti degli interessi padronali locali e di come i sindacati presenti sul territorio, come la CGIL e CISL (gli stessi che si sono opposti all’introduzione del salario minimo), non si pongono mai in rottura con questi, ma si fanno vedere tra i lavoratori solo nel momento di guadagnare qualche spiccio con le domande di disoccupazione.
Per questo il piagnisteo del sindaco di Gabicce, Domenico Pascuzzi (PD), che ha dichiarato sulle colonne di Confindustria lo stato di “emergenza vera” per la mancanza di stagionali, scaricando tutta la responsabilità al reddito di cittadinanza e continuando la retorica della “fannulloneria generazionale”, fa salire ancor più rabbia.
Come se la colpa fosse di noi giovani sfaticati che non abbiamo voglia di lavorare dalle 10 alle 14 ore al giorno, tutti i giorni, senza giorno libero, di essere reperibile h24 se si viene da fuori e si ha la (s)fortuna di avere una stanza sul posto di lavoro, con paghe di 4–4,50 euro all’ora in media, con contratti il più delle volte da apprendista o a chiamata e che coprono solo un paio d’ore lavorative reali, con buste paga finte, fatte ad oc per non far risultare il lavoro nero e in ambienti lavorativi che denigrano totalmente la salute e la dignità di chi ci lavora.
Non solo ci addossa la colpa ma tralascia anche di esplicitare che è proprio il suo PD a detenere da più mandati l’amministrazione della maggior parte dei comuni e delle province della zona (e anche della stessa regione Emilia-Romagna), lo stesso partito che col Ministro Poletti ha praticamente regolamentato, attraverso il jobs act, l’estensione del ‘modello romagnolo’ a tutto il mercato del lavoro del Paese.
Che si tratti quindi della riviera romagnola, di quella ligure o campana, di una metropoli o di una città è solo questione di sfumature, appare chiaro che lo sviluppo del settore terziario in seguito al processo di deindustrializzazione dell’Italia, è stato accompagnato politiche di smantellamento dei diritti dei lavoratori, producendo una totale asimmetria nei benefici del turismo: un’enorme risorsa di profitto per i padroni, e sfruttamento e precarietà per chi ci lavora.
Non è più accettabile lavorare in condizioni simili, è arrivato il momento di dire basta allo sfruttamento stagionale e organizzarci per rivendicare insieme i nostri diritti!
Pubblichiamo questo contributo di uno studente-lavoratore che fa la stagione in riviera. Ci sembra molto “paradigmatico” rispetto ai reali rapporti di lavoro...
E così anche quest’anno è ricominciata. Dopo mesi e mesi di edifici sbarrati, di quartieri totalmente disabitati, di negozi, alberghi e ristoranti chiusi, le strade della città tornano ad essere vive; il tessuto produttivo dell’area costiera torna finalmente ad offrire una possibilità di sostentamento e un’alternativa a una fuga che altrimenti sarebbe inevitabile. E così se sei uno studente le lezioni finiscono, si accantonano i libri, se studi fuori sede si fanno le valigie per tornare a casa e ci si prepara a quei tre-quattro mesi di lavoro stagionale che nella riviera romagnola vengono spacciati come una grande opportunità lavorativa per i giovani di emanciparsi economicamente dal proprio nucleo famigliare.
Ma la verità che tutti sanno e che pochi osano denunciare è che ad arricchirsi sono solo le aziende private, le cooperative e le agenzie interinali che come l’associazione albergatori e quella bagnini fanno profitti smerciando ai padroni una manodopera proveniente soprattutto dal meridione e dall’est Europa, mentre i lavoratori, soprattutto con poca esperienza o immigrati, sono altamente ricattabili e sostituibili, e così costretti ad accettare condizioni che rasentano forme di schiavitù di fatto regolamentate.
Quella che una volta era considerata una delle mete turistiche più belle in Italia maschera da sempre un sistema marcio fatto di iper-sfruttamento e lavoro nero che affligge tutti i settori della categoria lavorativa stagionale, da quello balneare, alberghiero, a quello della ristorazione, della logistica e del turismo.
Una condizione disumana che continuando ogni anno palesa come le amministrazioni locali siano solo delle rappresentanti degli interessi padronali locali e di come i sindacati presenti sul territorio, come la CGIL e CISL (gli stessi che si sono opposti all’introduzione del salario minimo), non si pongono mai in rottura con questi, ma si fanno vedere tra i lavoratori solo nel momento di guadagnare qualche spiccio con le domande di disoccupazione.
Per questo il piagnisteo del sindaco di Gabicce, Domenico Pascuzzi (PD), che ha dichiarato sulle colonne di Confindustria lo stato di “emergenza vera” per la mancanza di stagionali, scaricando tutta la responsabilità al reddito di cittadinanza e continuando la retorica della “fannulloneria generazionale”, fa salire ancor più rabbia.
Come se la colpa fosse di noi giovani sfaticati che non abbiamo voglia di lavorare dalle 10 alle 14 ore al giorno, tutti i giorni, senza giorno libero, di essere reperibile h24 se si viene da fuori e si ha la (s)fortuna di avere una stanza sul posto di lavoro, con paghe di 4–4,50 euro all’ora in media, con contratti il più delle volte da apprendista o a chiamata e che coprono solo un paio d’ore lavorative reali, con buste paga finte, fatte ad oc per non far risultare il lavoro nero e in ambienti lavorativi che denigrano totalmente la salute e la dignità di chi ci lavora.
Non solo ci addossa la colpa ma tralascia anche di esplicitare che è proprio il suo PD a detenere da più mandati l’amministrazione della maggior parte dei comuni e delle province della zona (e anche della stessa regione Emilia-Romagna), lo stesso partito che col Ministro Poletti ha praticamente regolamentato, attraverso il jobs act, l’estensione del ‘modello romagnolo’ a tutto il mercato del lavoro del Paese.
Che si tratti quindi della riviera romagnola, di quella ligure o campana, di una metropoli o di una città è solo questione di sfumature, appare chiaro che lo sviluppo del settore terziario in seguito al processo di deindustrializzazione dell’Italia, è stato accompagnato politiche di smantellamento dei diritti dei lavoratori, producendo una totale asimmetria nei benefici del turismo: un’enorme risorsa di profitto per i padroni, e sfruttamento e precarietà per chi ci lavora.
Non è più accettabile lavorare in condizioni simili, è arrivato il momento di dire basta allo sfruttamento stagionale e organizzarci per rivendicare insieme i nostri diritti!
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