Dopo Roma anche la Campania. In questi anni sul nostro giornale ci siamo occupati spesso ed abbiamo denunciato con dovizia di dati come la “risorsa turismo” si stia in realtà rivelando una fregatura per gli interessi collettivi (che ne subiscono più i disagi che i benefici) e, al contrario, una occasione di forte appropriazione privata degli introiti. Dopo il caso di Roma, i dati che arrivano da Napoli e dai siti turistici della Campania confermano l’evidenza di una narrazione, se non totalmente tossica, molto da scandagliare e decostruire.
Il Corriere del Mezzogiorno in un lungo articolo pubblicato sabato 15 giugno, documenta la “frenata” della crescita economica in Campania e usa i dati della Banca d’Italia per certificare la crisi. Ma dentro questo stato di crisi indica che “Fra i (pochi) settori in crescita, troviamo il turismo, soprattutto quello culturale”. In Campania, secondo i dati riportati, nel 2018 il numero totale dei visitatori dei musei, monumenti e aeree archeologiche statali è aumentato del 52% rispetto al 2013, contro il 39% della media italiana. I turisti hanno portato alla Campania un introito di 2,3 miliardi di euro, e, al primo posto dei siti più visitati c’è Pompei che si accaparra il 57,6% dei visitatori.
Si tratta di tanti soldi, dunque, per gli istituti museali autonomi “riformati” nel 2014 dal ministro Franceschini durante il governo Renzi. “Ma sarà davvero così?” si domanda il Corriere del Mezzogiorno.
E qui lo stesso giornale infila, una dopo l’altra, le stesse evidenze che avevamo registrato e denunciato nel caso di Roma. Stando a quanto emerge dai dati elaborati dalla Banca d’Italia, “gran parte dei guadagni dei musei vanno alle concessionarie di biglietteria, che si occupano, appunto, di vendere i ticket. Gli istituti autonomi campani hanno dato in gestione la biglietteria a un concessionario, con accordi abbastanza datati e che si rinnovano tacitamente. Tolto Pompei, che paga una quota del 7% per i grandi flussi di visitatori, gli altri poli restituiscono il 37,4% dei guadagni proprio a queste concessionarie. Il doppio rispetto alla media italiana del 17,4%”.
Il servizio aggiunge anche altre informazioni utili e che disegnano non una eccezione ma una regola voluta e sancita dai governi del centro-sinistra, prima con Ronchey negli anni ’90 e poi con Franceschini nel 2014 (l’anno in cui esplose lo scandalo degli introiti del Colosseo che andavano per il 70% ai concessionari privati). Secondo il Corriere del Mezzogiorno, “anche altri servizi come bookshop, guida e ristorazione sono appaltati a concessionarie. Ciò che resta ai musei, guardando agli introiti stimati a 5 milioni fra il 2013 e il 2017 è meno del 5%”.
Insomma anche per una regione che di risorse ne ha ma che ne necessita di ulteriori per affrontare la crisi, i modelli messi in campo per “mettere a valore” le risorse storiche di cui si dispone, alla fine finiscono solo per scaricare sulle comunità locali e gli abitanti i costi del turismo di massa (difficoltà nella raccolta rifiuti, aumenti degli affitti, gentrificazione, stress dei servizi tarati solo sui residenti ma utilizzati da milioni di persone in più ogni giorno e ogni anno) e per consentire ai soggetti privati di appropriarsi di quote crescenti dei benefici economici che ne derivano.
Infine, ma non certo per importanza, i concessionari privati dei beni pubblici (in questo caso musei, aree archeologiche etc) si rivelano “prenditori” come tutti gli altri e a danno degli interessi e dei soldi pubblici.
E’ notizia di questi giorni, che a Roma la società Electa, proprio lei, la concessionaria privata per il Colosseo, è finita sotto inchiesta per frode fiscale sugli introiti derivanti dalla sua attività di servizi su questo inestimabile bene storico e archeologico. E’ il quotidiano romano Il Messaggero a riferire di “una presunta frode milionaria, legata alla vendita dei biglietti e ai servizi come audioguide, cataloghi e visite guidate del Colosseo e degli altri siti museali collegati, tra cui il Foro Romano e il Palatino, quella su cui sta indagando la procura, che ha aperto un fascicolo a seguito di un accertamento dell’Agenzia delle entrate”.
L’inchiesta è arrivata fino alla Consip, ossia la centrale pubblica per l’assegnazione degli appalti. E’ sempre Il Messaggero a spiegare che “Nel mirino del pm infatti c’è anche il bando assegnato da Consip per l’affidamento della biglietteria e dei servizi aggiuntivi, gestiti da oltre vent’anni senza alcuna gara. Gli addetti la definiscono una «concessione ingessata», perché è scaduta da tempo e non può essere variata in alcun modo: venne affidata ad Electa Mondadori con CoopCulture nel 1997, che all’epoca si chiamavano Elemond e Pierreci. La mandataria è Electa, che si occupa di bookshop, cataloghi, mostre e pannelli didattici, mentre CoopCulture gestisce ticket, audioguide, laboratori”.
Ritorna così a gala il contenzioso sulla convenzione tra Ministero dei Beni Culturali e le società private concessionarie. “Stando alla convenzione di ventidue anni fa, l’incasso avrebbe dovuto essere così ripartito: il 30,2% del fatturato alla Soprintendenza, il resto ai concessionari. L’ex presidente della commissione Affari costituzionali, Andrea Mazziotti, ha spulciato i conti dei Beni culturali e ha scoperto che allo Stato, dal 2001 al 2016, è andato solo l’11,2% e sui 74 milioni di euro lordi maturati dalla gestione dei servizi aggiuntivi, «la Soprintendenza ha incassato 8,9 milioni, anziché 22,4 milioni di euro». Cifre poi rettificate dal direttore generale di Electa Rosanna Cappelli. La concessione è stata rinnovata nel 2005 e confermata nel 2011 con proroga a oltranza, in pratica un monopolio. Fino a dicembre 2017, quando il Consiglio di Stato blocca l’assegnazione da parte di Consip per i servizi di biglietteria e audioguide del Colosseo. Un nuovo bando è imminente, ma l’inchiesta potrebbe cambiare tutto”.
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