L’illustrazione più puntuale di quanto sta accadendo da giovedì scorso in Georgia la si deve probabilmente al pubblicista russo Nikolaj Starikov che, commentando le parole della Presidente georgiana Salome Zarubišvili la quale, mentre condivide “le giuste proteste della società georgiana”, dichiara che “la Russia è un nemico e un occupante e dietro a queste proteste c’è proprio la Russia”.
Così che, sospira Starikov, non rimane che scuotere la testa “e por mente all’Ucraina, dove alcuni agenti di Putin cercano costantemente di far fuori altri agenti di Putin per raggiungere gli obiettivi di Putin”.
Ma, cosa succede a Tbilisi? Continuano le manifestazioni di fronte al Parlamento da parte dei sostenitori dell’ex Presidente “errante per l’Europa” Mikhail Saakašvili, il cui curriculum, a partire (tralasciamo per brevità le “esperienze lavorative” precedenti) dall’attacco all’Ossetija del Sud nell’agosto 2008, che costò alla Georgia una guerra con la Russia persa in cinque giorni, fino ai florilegi in terra ucraina alla corte del golpista Porošenko, alla voce “capacità e competenze personali” recita tuttora ricercato in patria per peculato e complicità in omicidio.
Formalmente, alla base delle dimostrazioni, cui prendono parte sostenitori di quasi tutti i partiti di opposizione, ci sarebbe l’invito rivolto dallo speaker del Parlamento georgiano, Irakli Kobakhidze, al deputato della Duma russa per il PCFR, Sergej Gavrilov, a presiedere (ne è il presidente in carica) la 26° sessione plenaria dell’Assemblea interparlamentare ortodossa, sedendo sullo scranno più alto del Parlamento georgiano.
Secondo i deputati di opposizione, la presidenza dell’Assemblea avrebbe dovuto essere affidata al deputato greco Andreas Mikhailidis, attuale segretario dell’Organizzazione, fondata nel 1993 su iniziativa del Parlamento greco e di cui fanno oggi parte venticinque paesi: dall’Albania a Cipro, Armenia, Polonia, a Paesi baltici, scandinavi e balcanici, fino a gruppi parlamentari di Australia, Asia, Africa e USA.
Per il quinto giorno consecutivo i dimostranti chiedono in primo luogo le dimissioni del Ministro degli interni Giorgi Gakharia, per l’uso della forza contro i manifestanti lo scorso 20 giugno, la scarcerazione degli arrestati e, come da copione, elezioni anticipate, con l’abolizione del maggioritario. Cedendo alle richieste dei manifestanti, il partito di governo “Sogno georgiano” ha acconsentito alle dimissioni del presidente del Parlamento, Kobakhidze e, a seguito di quello, si è dimesso anche il deputato dello stesso partito, Zakarija Kutsnašvili, che aveva curato l’organizzazione dell’Assemblea.
Per parte sua, Sergej Gavrilov ha definito quanto sta accadendo a Tbilisi un “tentativo di colpo di stato, coordinato da Saakašvili”. Il diplomatico serbo Vladimir Kršljanin ha dichiarato a news-front.info che tutto è stato chiaramente organizzato per tempo e ricorda da vicino quanto verificatosi in Ucraina, Moldavia, Montenegro, Kosovo, Macedonia settentrionale: il tutto, “seguendo l’approccio di Brzezinski, secondo cui dopo la sconfitta del comunismo, il principale avversario dell’Occidente è l’Ortodossia”.
L’osservatore ucraino Vladimir Rogov ha parlato della presenza di gruppi di ucraini, addestrati da organizzatori occidentali. “L’intero spazio post-sovietico è controllato da oligarchi” ha detto, e in generale si assiste quasi sempre a “una redistribuzione oligarchica. Georgia, Moldavia, Ucraina, che hanno scelto uno scenario russofobo, hanno visto il crollo del PIL e la prospettiva è quella di un completo disfacimento”.
Per nulla inaspettato, nota news-front, il fatto che numerosi manifestanti sventolassero bandiere americane e simboli yankee: in Georgia è attivo il Fondo USA “Free Russia” e agiscono da sempre rappresentanti della USAID.
A ventiquattr’ore dall’inizio delle manifestazioni, il Senior Director del “Biden Center” dell’Università della Pennsylvania, Michael Carpenter, aveva dichiarato: “un bel giorno la Georgia potrebbe svegliarsi e scoprire non il 20%, ma il 100% del territorio occupato” e, per non esser da meno, alla UE notano un presunto “attacco del Cremlino alla Repubblica georgiana“.
Una fonte anonima georgiana ha dichiarato a news-front che le manifestazioni andranno avanti ancora per giorni e che anzi si sta addestrando un “forte gruppo d’assalto di circa 10.000 persone, che procederà a massicci pogròm che coinvolgeranno l’intero paese”; sarebbero già pronti “tipografie, benzina, bandiere e sarebbero stati selezionati e pagati giovani da cittadine e villaggi, condotti in auto a Tbilisi”.
Ancora Nikolaj Starikov nota che “simili scenari non sono mai spontanei o casuali” ed è dunque necessario guardare agli obiettivi dei manifestanti, “anti-russi e anti-oligarchici, contro il regime corrotto di Bidzina Ivanišvili, leader di Sogno Georgiano. Dal loro punto di vista, la Georgia è uno stato assolutamente filo-russo, in cui il Cremlino fa girare come vuole politica e economia”.
Al quesito se gli eventi georgiani rappresentino solo un ulteriore elemento della guerra mediatica occidentale, oppure la messa a punto di una piazzaforte per il rafforzamento delle posizioni NATO, Starikov risponde: “Cosa vede in TV un cittadino occidentale? La Russia ha tentato un colpo di stato in Georgia; la Russia è uno stato aggressivo, conclude probabilmente una bella annunciatrice; dunque occorrono altre sanzioni. Questo il senso di tutti questi eventi”.
A livello ufficiale, Vladimir Putin ha sospeso dal prossimo 8 luglio i voli delle compagnie aeree russe e georgiane dalla Russia verso la Georgia e ha consigliato a tutti i russi di rientrare: questa è la cosa che più impensierisce Tbilisi, dal momento che il turismo russo, che vale un miliardo di dollari, nel 2018 ha rappresenta oltre il 7% del PIL georgiano.
Su Komsomolskaja Pravda, Sergej Mardan osserva che in Georgia la linea anti-russa risale almeno al 1989, allorché una dimostrazione (si parlò di un milione di persone) a Tbilisi contro “l’occupazione sovietica” fu dispersa dall’esercito. Da allora, “l’intellighenzia liberal russa non fa che fare penitenza”, ignorando “l’animalesco nazionalismo georgiano di inizio anni ’90, quando la vecchia Tbilisi cacciò armeni, russi, ebrei, che vi avevano vissuto per secoli”. E poi sono venute le guerre con abkazi (il mese scorso, ricorreva il 25° anniversario della pace sottoscritta tra Georgia e Abkhazija con l’intermediazione russa, dopo oltre un anno di guerra), adžari, fino al “capolovoro” di Saakašvili in Ossetija.
Le tensioni con la Russia avevano cominciato ad attenuarsi nel 2013, ricorda Mardan, quando Mosca tolse l’embargo sui vini georgiani, anche se la domanda era ormai ridotta a zero; in compenso cominciò il turismo (nel 2018, due milioni di russi) e il boom immobiliare russo a Batumi, la “capitale turistica” della Georgia, un paese oggi praticamente deindustrializzato.
Proprio di recente, nota un esponente del partito russo “Patria”, i nazionalisti georgiani chiedevano di fermare il turismo russo in Georgia, rivendicando la “identità georgiana”; ora, la ex presidente del Parlamento georgiano, Nino Burdžanadze, definisce “ottusa” la leadership del paese: “credo che ora Mosca introdurrà anche altre sanzioni, come accaduto nel 2008; tutto ciò non serve né a Tbilisi, né a Mosca. A beneficiarne sarà una terza parte, a cominciare dalle forze filo-americane del ‘progetto Saakašvili’: gli attuali avvenimenti sono pienamente nel suo stile”.
Commentando l’intervista della Presidente Zarubišvili a Euronews, secondo cui i russi “dovrebbero continuare a venire, perché amano la Georgia“, la portavoce del Ministero degli esteri russo, Marija Zakharova ha detto che i russi in Georgia dovrebbero innanzitutto sentirsi al sicuro e che la Zarubišvili stava probabilmente parlando “con il calcolatore alla mano“.
Con il suo solito stile guascone, è intervenuto nella diatriba il leader ceceno Ramzan Kadyrov, il quale, dopo aver constatato che colpevoli della frattura tra Russia e Georgia sono i politici “nutriti e allevati in USA e Occidente” e che “Allah è testimone che noi ceceni cerchiamo di stabilire stretti legami con l’intellighenzia e gli esponenti della cultura georgiana“, ha comunque tenuto a “ricordare che da Grozny a Tbilisi non sono che duecento chilometri”!
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