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02/08/2019

I fatti di Roma, visti con gli occhi di un agente

Sui fatti di Roma, l’omicidio di un carabiniere e l’arresto di due turisti statunitensi, ci è arrivata questa lettera di un agente della Polizia locale di Milano.

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Chi mi conosce sa che vengo da una lunga storia di militanza politica e sindacale. Sempre a sinistra, senza indugio, perché lì sono piantate le mie radici.

Dopodiché da ormai 27 anni, indosso una divisa, quella della Polizia Locale di Milano. Un osservatorio straordinario. Al servizio del cittadino e delle istituzioni.

In questi anni, questa particolare miscellanea mi ha consentito di vedere ed interpretare la realtà con occhi diversi.

Una realtà che si presenta a tutti noi con molte contraddizioni al suo interno e che necessita di essere compresa.

Non è facile e non a caso le mie riflessioni non termineranno mai con un punto ed a capo.

Mai rinuncerò a quel pragmatismo che è connotato essenziale del mio lavoro ed a quella onestà intellettuale che fa parte della mia storia.

Contrario a qualsiasi dogmatismo e sempre aperto al confronto costruttivo, perché non ritengo di avere alcuna verità in tasca.

Peccato che oggi come oggi, questo approccio sia sempre più raro, perché si preferiscono gli slogan ed una superficialità deleteria.

La morte a Roma il 26 luglio del vicebrigadiere Mario Cerciello Rega, non può lasciare indifferenti.

A prescindere dagli sviluppi che potrà avere la vicenda, visto che vi sono ancora alcuni punti da chiarire, vi è una certezza.

La vera ed indiscussa vittima di questo tragico episodio è il carabiniere assassinato. Guai chi volesse ridimensionarne la gravità.

Ed al signor Vittorio Feltri, direttore di Libero a cui piace sfrugugliare anche in presenza di simili tragedie, voglio dire di imparare a tener chiusa quella bocca piena di aristocratica saccenza.

Ha senso disquisire se Mario Cercella Rega sia un eroe oppure no, visto che si era dimenticato di portare con sè l’arma di ordinanza?

Aggiungendo poi che “un vicebrigadiere che dimentica la pistola in caserma e si fa accoltellare da un ragazzotto mezzo scemo, fatico a definirlo eroe”.

Tutto ciò mi appare inopportuno e tra le altre cose cinico. Pessimo esempio di giornalismo.

“Uno di meno…” Purtroppo anche questa considerazione è apparsa sui social. Chiunque abbia scritto, detto o anche solo pensato tutto ciò, è persona indegna. È una considerazione deplorevole e priva di umanità. Non siamo in guerra e credo che nessuno, con o senza divisa, possa meritarsi undici coltellate letali.

Posso dire che anche queste persone sono vittime di quel cattivismo di cui Salvini è il primo seminatore? E magari lo detestano... ma poi fanno inconsapevolmente il suo gioco. Simili affermazioni sono il trionfo di quel cattivismo che sta rendendo Salvini il salvatore della patria.

Salvini lo usa contro gli immigrati ed i diversi in genere, queste persone lo riversano contro i tutori dell’ordine. Stiamo parlando della stessa moneta.

Peccato, che poi tutto ciò inneschi quella guerra tra poveri che distrugge valori portanti quali solidarietà e rispetto reciproco. Vince Salvini, vince questo cattivismo ormai esasperato e bieco. Perdiamo tutti noi. Le persone oneste e di buonsenso. Chi indossa una divisa e chi quella divisa la rispetta, pur consapevole delle criticità presenti.

E qui veniamo all’altra questione correlata con l’omicidio del vicebrigadiere.

Mi riferisco alla bendatura degli occhi di Christian Natale Hjorthv uno dei due turisti americani coinvolti nell’omicidio. Tengo a precisare, per dovere di cronaca, che non è l’autore diretto dell’assassinio.

Trovo insopportabile mettere in contrapposizione l’omicidio ed il trattamento avvenuto durante il fermo.

In molti hanno voluto mettere sul piatto della bilancia da una parte l’omicidio e dall’altra l’episodio del fermo.

Molta opinione pubblica si è divisa su questo, senza comprendere che esistono pesi e misure diverse.

Senza comprendere che il carabiniere è indubbiamente la vittima, ma lo stato di diritto non può mai interrompersi.

Salvini ha rilasciato immediatamente dichiarazioni inequivocabili. Per lui, l’unica questione importante rimane l’omicidio del carabiniere.

Grave questa presa di posizione del Ministro degli Interni che ancora una volta ha scelto la demagogia.

La stessa demagogia che ha utilizzato, stavolta dimostrando leggerezza, quando ha avallato che i presunti omicidi fossero 2 nordafricani.

Errore grave che ha visto protagonisti anche Giorgia Meloni di Fratelli d’Italia e Paolo Gentiloni del PD che hanno tweettato la notizia.

Lasciamo perdere gli altri... ma posso dire che da un Ministro degli Interni mi attendo ben altro atteggiamento?

Possibile che senza attendere conferme, il primo sospettato è l’immigrato di colore?

È poi possibile, che di fronte ad una foto che ha fatto il giro del mondo, un Ministro degli Interni possa fare simili dichiarazioni?

“A chi si lamenta della bendatura di un arrestato, ricordo che l’unica vittima per cui piangere è un uomo, un figlio, un marito di 35 anni, un carabiniere morto in servizio per mano di gente che, se colpevole, merita solo la galera a vita”.

Caro Ministro, d’accordo sul dolore e sul cordoglio, ma davvero può pensare che agli americani non interessi come vengono trattati i loro cittadini?

Certo grande strumentalità da parte loro, ma...

La tragedia del Cermis grida ancora vendetta e noi offriamo su un piatto d’argento l’opportunità di una scorciatoia?

Purtroppo, il mondo non si ferma per la morte di un carabiniere.

Come dicevo prima, neppure lo stato di diritto può concedersi pause. L’articolo 608 del nostro codice penale parla chiaro. Parla di misure di rigore non consentite dalla legge nei confronti di persona arrestata. Prevede per il pubblico ufficiale una pena fino a 30 mesi di reclusione. Tutto ciò non può essere sottovalutato, anche perché il mondo ci guarda...

Ma anche perché la Magistratura non può esimersi dal perseguire un possibile reato. Ne va della credibilità del nostro Paese.

Non è un caso che il Generale Nistri abbia stigmatizzato l’accaduto, perché consapevole che così si lede l’immagine dei carabinieri. Un corpo, un’istituzione nel nostro Paese.

I provvedimenti nei confronti di chi ha scattato la foto e bendato l’americano sono inevitabili e a mio parere giusti. Importante sarà individuare i veri responsabili...

Quella foto mi ha colpito e credo abbia fatto lo stesso effetto a molti, perché ci riporta indietro negli anni.

Ad un immaginario collettivo che ha formato intere generazioni. Alle immagini delle torture nelle dittature sudamericane, a Guantanamo e ovunque vi sia assenza di democrazia. Mi ha ricordato quanto accaduto alla scuola Diaz e nella caserma Bolzaneto di Genova, durante la riunione del G8 del 2001. Fatti gravissimi per i quali vi è stata tra le altre, anche la condanna della Corte Europea dei diritti dell’uomo. Una foto così non poteva essere archiviata come un errore di percorso, perché ne va della reputazione delle ns forze dell’ordine.

Qualcuno sosterrà che in altri Paesi anche europei, tutto ciò non farebbe notizia.

Credo che tutto ciò meriterebbe un riscontro un po’ più serio di alcune foto apparse su facebook, ma rimane un fatto. Le leggi italiane non consentono simili trattamenti ed io a quelle devo fare riferimento.

Io, che indosso una divisa, ne ho piena consapevolezza e non voglio sottovalutare.

Purtroppo, nel bene e nel male, noi rappresentiamo le istituzioni e le istituzioni devono far rispettare le leggi.

Comprendo bene il dolore e la rabbia che possono aver provato i carabinieri, che avevano fra le mani i responsabili della morte di un loro collega. Per giunta una morte così violenta e ingiustificabile.

Posso comprendere anche il forte sentimento di vendetta che possono aver avuto, l’avrei provato anch’io.

Dopodiché, bisogna essere fermi e coerenti su un principio fondamentale.

L’uomo può ipotizzare la vendetta, perché è umanamente comprensibile.

La Giustizia italiana non può ammetterla, perché anche il più efferato degli assassini va tutelato fino a sentenza avvenuta.

Uno stato di diritto ha regole ben precise.

Non è uno stato poliziesco emanatore di una dittatura.

Uno stato di diritto deve mirare alla salvaguardia ed al rispetto dei diritti e delle libertà dell’uomo.

Può contenere regole non sempre condivisibili, soprattutto quando la tragedia ti colpisce in prima persona, ma non si può derogare.

Tanto più per chi indossa una divisa ed è preposto a far rispettare le leggi vigenti.

Mi rendo conto, che qualcuno di chi mi legge mi accuserà di eccessivo garantismo, ma non è così.

Il ragionamento deve essere onesto e non deve prestarsi a malintesi.

Quanto ho descritto prima, corrisponde esattamente a quanto viene insegnato in qualunque scuola militare, scuole di polizia varie e università di giurisprudenza. A mio avviso andrebbe ripreso e ribadito in ogni scuola italiana, evidenziandone l’essenzialità.

Chi indossa una divisa deve essere un esempio per i cittadini di questo Paese. Io ci credo ancora in questo ruolo e cerco di essere coerente nel mio lavoro quotidiano.

Dopodiché voglio essere molto chiaro, nel sottolineare quanto sia sempre più difficile e complicato il nostro lavoro.

Lo voglio evidenziare, perché sono troppi i cittadini che si permettono di sentenziare sul nostro operato senza conoscere nulla.

E troppo spesso arrivano sentenze di condanna legate ad ignoranza e pregiudizi. Sono come quei pensionati che per passare il tempo, osservano il lavoro degli operai nei cantieri ed hanno sempre motivo per criticare e discettare, spesso senza neppur conoscere la materia. Sono quei cittadini che non raramente sulle strade, con insolenza, ti ricordano che sono loro a pagarti lo stipendio...

In realtà, il nostro è un lavoro complicato e pieno di rischi. Sono frequenti le situazioni che mettono a rischio la nostra incolumità.

Spesso sono gli stessi giudici a non comprendere la complessità di certi interventi. Dove devi contenere persone alterate, violente, prive di scrupoli.

Troppo frequentemente mancano quelle indicazioni essenziali ed anche quella formazione costante che ci aiuterebbe molto. Per non parlare di quelle famose sinergie, che dovrebbero risolvere tutto e invece sono troppo spesso inesistenti.

È tema centrale il dovere di garantire sicurezza al cittadino.

Chi potrebbe metterlo in discussione? Peccato che questa sicurezza debba essere garantita da persone in carne ed ossa. E qui casca l’asino.

Troppo poco o quasi mai, si parla dei pericoli che corrono gli operatori di polizia che pagano sulla loro pelle le insufficienze e le inefficienze del sistema.

È difficile poter garantire sicurezza al cittadino se l’operatore non lavora in condizioni di sicurezza. Una grande questione che si preferisce rimandare e non porre all’attenzione dell’opinione pubblica.

Ho voluto commentare a modo mio i fatti di Roma, perché in questi giorni le discussioni fra i colleghi e non solo con loro, sono molto accese. Crescono di giorno in giorno, le strumentalizzazioni politiche ed ancora una volta le tifoserie hanno il sopravvento. Nulla di più deleterio nell’impedire che prevalga consapevolezza e buonsenso.

Io detesto tutti coloro che si riempiono la bocca di slogan, senza sforzarsi di fare dei ragionamenti. Purtroppo i social sono strumenti perversi ed i politici pompano secondo convenienza.

Continuerò a sforzarmi di ragionare e riflettere in piena autonomia, perché sono geloso dei miei pensieri.

Danilo Tosarelli - Polizia Locale Milano

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