La sanità privata, ed in particolare la sanità cattolica, si è organizzata attorno all’ARIS, una associazione di strutture religiose che conta all’incirca 16.000 operatori solo in Lombardia, che ha contribuito grandemente a mortificare la sanità pubblica, in concorrenza solamente con AIOP, una associazione di strutture sanitarie private che fa riferimento a Confindustria.
Per entrambe il profitto attorno alla salute è la ragione della loro esistenza.
Tra le organizzazioni cattoliche che alimentano il profitto sulla salute, spicca la Fondazione Don Gnocchi di Milano che si occupa prevalentemente di riabilitazioni, ma non trascura le cure per i malati terminali, che sono una gran fonte di guadagno, mentre invece la gestione del fine vita, l’eutanasia et similia costituirebbero una prospettiva solutoria priva di guadagno e dunque da ostacolare con argomentazioni moralistico-religiose.
Per riprendere le parole del loro fondatore Carlo Gnocchi: «Il modo più rapido, più economico e più conclusivo per lo Stato di attuare i propri compiti assistenziali è quello di entrare in stretta e fiduciosa collaborazione con l’iniziativa privata” e questa è la sintesi della loro missione, sostituirsi allo Stato per gestire con ritorno economico ciò che invece dovrebbe essere tutelato come diritto primario senza oneri per chi riceve cure e assistenza.
Ogni volta che lo Stato cede alle mire espansionistiche dei predatori privati, erode la sua funzione, e con essa la propria legittimazione nel rapporto con gli individui.
Ma il mondo della sanità cattolica non conosce pause e l’iniziativa privata per questi soggetti non viene mai trascurata.
Anzi, è soprattutto nei momenti di paura collettiva, come quella derivata dall’epidemia da Covid-19, che le iniziative speculative di stampo religioso devono essere sollecitate.
E così la Fondazione Don Gnocchi si è inventata di chiedere soldi sotto forma di donazione per l’acquisto di respiratori che potrebbero essere utilizzati per i pazienti affetti dalla polmonite da coronavirus.
Si sentono talmente invasati dalla loro bolla autoassolutoria che non riescono più a vedere come viene vista dall’esterno la loro avidità.
Saranno in molti che risponderanno all’appello, il senso di colpa prevarrà sulla razionalità, contribuiranno perché sentiranno di fare la loro parte contro la pandemia, doneranno perché si guadagneranno un posto in paradiso, faranno bonifici perché se non lo facessero, sentirebbero il peso di aver voltato le spalle ad una necessità.
Ma la Fondazione Don Gnocchi non ha bisogno di donazioni, ha semplicemente valutato di cogliere al volo l’opportunità di una espansione della propria offerta commerciale, senza oneri per il proprio bilancio, ma attraverso il meccanismo di una liberalità condizionata dalla paura e dall’emergenza.
Sono interpreti perversi di una spirale inarrestabile, sono i protagonisti di un meta-sistema che riproduce sé stesso senza soluzione di continuità, è la modalità con la quale rimangono sempre a galla, in qualsiasi situazione, il denaro è sempre stato e sempre sarà la loro esperienza religiosa più esaltante.
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