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08/02/2021

La “mission” del governo Draghi e la posta in gioco

La biografia politica ed economica di Draghi sgombera il campo da ogni equivoco sulla direzione che assumeranno le politiche del costituendo governo.

Una vita trascorsa al servizio delle oligarchie finanziarie costituisce il miglior biglietto da visita per applicare direttamente, e non per procura, quelle politiche dettate dalla Troika che il governo Conte bis, con la sua rissosità, non è riuscito a portare a compimento fino in fondo.

Ma per comprendere appieno l’accelerazione e l’intensificazione che l’avvento dell’ex governatore della BCE imprimerà nell’attacco ai lavoratori, occorre rapidamente analizzare alcune cifre.

Come è noto ci sono da gestire i 209 miliardi del Recovery Fund spalmati su sei anni (in realtà molti meno se consideriamo che una buona parte di quelle risorse sostituirebbero il debito nazionale per finanziare interventi già previsti).

E quelle risorse, come ben sappiamo, non saranno utilizzate per finanziare sanità, scuola o trasporti e quindi intervenire sulle fragilità strutturali emerse durante la pandemia, ma saranno indirizzate nei confronti di quella frazione del mondo dell’impresa agganciato alle filiere produttive europee.

Le aziende più piccole ovvero quelle che si rivolgono al mercato interno, definite dallo stesso Draghi “aziende zombie”, sono destinare a soccombere e con esse tutti i lavoratori che vi gravitano attorno.

Ma soprattutto vi è l’astronomica cifra di 427 miliardi di deficit aggiuntivo a valere sugli anni dal 2020 al 2026 che l’esecutivo Conte ha approvato in 16 mesi di governo, dalla nota di aggiornamento alla base della Legge di Bilancio 2020 fino all’ultimo scostamento di bilancio connesso col Decreto Ristori. Somme per lo più appannaggio delle imprese, come sempre, che non hanno impedito la caduta verticale del Pil, ma che costituiscono debiti che dovranno essere ripagati.

Insomma la missione di Draghi non sarà orientata soltanto a distribuire le risorse del Recovery Fund e quindi a riconfigurare in senso sfavorevole ai lavoratori gli assetti produttivi nel nostro Paese, ma anche ad avviare senza indugi il rientro sul sentiero del ripianamento del debito come da Bruxelles spesso ci hanno ricordato in questi mesi.

E non occorre un grande sforzo di fantasia per immaginare cosa sarà sacrificato sull’altare del ripianamento del debito: le pensioni, lo stato sociale, il reddito di cittadinanza, il blocco dei licenziamenti e via discorrendo.

Con quale velocità ed intensità lo verificheremo presto, ma il programma Draghi, al di la dei goffi balbettii dei partiti che comporranno la maggioranza (quasi tutti) è già scritto dal 2015: quando proprio una sua lettera in qualità di governatore della BCE mise nero su bianco i compiti che spettavano all’allora governo Renzi.

Il pilota automatico dell’UE prosegue la sua direzione e non consente deroghe nemmeno dinanzi ad una catastrofe sanitaria nella quale oramai siamo immersi da più di un anno e a un disastro economico e sociale che ci accompagnerà ben oltre la pandemia.

Ma non consentirà deroghe o tentennamenti nemmeno a chi oggi si vuole porre sul piano della lotta in difesa dei lavoratori e dei ceti subalterni.

Dissoltasi come neve al sole la retorica anti-sistema di Lega e M5S che si apprestano a sostenere il massimo esponente di quell’establishment che raccontavano di contestare, è tempo che emerga una intelligenza collettiva capace di far esprimere il punto di vista autonomo del lavoro, dei precari o di chi un lavoro semplicemente non lo ha mai avuto. Ovvero di interessi diametralmente opposti a quelli dei quali il costituendo governo Draghi sarà espressione.

Si chiama tecnicamente lotta di classe e non sarà una passeggiata di salute perché occorre un balzo in avanti anche nella individuazione dell’avversario: non abbiamo di fronte uno dei tanti governicchi, se pur sempre eterodiretti, espressione di una classe politica grottesca, ma l’Unione Europea che oggi, nella figura di Draghi, prende direttamente in mano il pallino del gioco a tutela degli interessi del mercato e della finanza.

La partita si gioca a questo livello. L’USB si candida a svolgere sino in fondo la sua funzione sindacale a tutela degli interessi dei lavoratori e degli strati più deboli della società. Con coraggio e senza tentennamenti.

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