Per nascondere all’opinione pubblica occidentale le cause e il contesto delle operazioni militari russe in Ucraina, la stampa ufficiale e i principali social media hanno inaugurato a partire dal 24 febbraio una campagna di propaganda e di disinformazione virtualmente senza precedenti. In nome della democrazia e della libertà di espressione, cioè i valori per cui la NATO starebbe armando fino ai denti un regime infestato da elementi neo-nazisti, si è così introdotta una serie di provvedimenti per ridurre al silenzio qualsiasi voce critica. Le maglie di questa vera e propria censura si sono strette ad esempio attorno ad alcuni utenti di Twitter e, riguardo al “social” che vede da qualche giorno Elon Musk tra i propri azionisti, ha scatenato un’accesissima polemica il caso dell’ex deputato laburista britannico George Galloway.
Dal 6 di aprile, l’account Twitter di Galloway è accompagnato dalla dicitura “media affiliato allo stato russo”, che appare puntualmente anche assieme a tutti i suoi tweet. Oltre ad avere apposto questo marchio, come si legge nelle spiegazioni della misura adottata, Twitter “non raccomanda [agli utenti] né amplifica account o tweet” in questa categoria. Questa pratica è in vigore sul popolare “social” già dal 2020, ma è stata prevedibilmente intensificata dopo l’inizio del conflitto in Ucraina.
Quella presa ai danni di Galloway è una misura arbitraria e di pura censura. Non solo, anche accettandola come legittima, sarebbe comunque assurda e insensata. Come ha spiegato lo stesso politico e commentatore britannico in un tweet rivolto agli amministratori di Twitter, Galloway “non lavora per nessun media russo”. La ragione del provvedimento sarebbe la trasmissione che conduceva fino a poche settimane fa e che era ospitata dai network russi RT e Sputnik. Entrambe le piattaforme, rigorosamente “in nome della libertà di espressione”, nel mese di marzo sono state messe al bando in Gran Bretagna e nel resto d’Europa, provocando quindi la chiusura della trasmissione di Galloway.
Quest’ultimo spiega che, da quel momento, “né RT né Sputnik esistono più nel Regno Unito” e sarebbe perciò “un crimine lavorare per qualsiasi dei due network russi”. Inoltre, quando Galloway aveva ancora la possibilità di andare in onda, il suo account Twitter non riportava la designazione di “media affiliato allo stato russo”. Galloway ha concesso sette giorni a Twitter per ritirare questo marchio, dopodiché verrà avviata una causa legale.
La decisione dei censori di Twitter è dovuta non solo alla collaborazione forzatamente cessata con RT e Sputnik, ma anche all’impegno almeno trentennale di George Galloway in opposizione alla NATO, all’imperialismo americano e britannico e alle provocazioni nei confronti della Russia. Galloway ha occupato un seggio nel parlamento di Londra per quasi trent’anni e nel 2003 venne espulso dal Partito Laburista di Tony Blair per essersi opposto all’invasione dell’Iraq. In seguito ha fondato il Partito dei Lavoratori britannico e il suo account Twitter conta quasi 417 mila “follower”, diecimila dei quali ottenuti nei giorni immediatamente successivi alla designazione di “media affiliato allo stato russo”.
L’attacco contro George Galloway è solo un esempio dello sforzo repressivo in atto sulla stampa e sui social media per screditare o zittire quanti si discostano dalla versione ufficiale dei fatti relativi alla crisi ucraina, ovvero che non sono disposti ad adeguarsi alla campagna di demonizzazione contro la Russia. In fin dei conti, quella condotta da Twitter, così come da YouTube, Facebook, Google e da praticamente tutta la galassia dei media “mainstream”, è una guerra contro la verità che si manifesta in una vastissima operazione censorea, ufficialmente per salvaguardare e promuovere i valori democratici.
Così facendo, viene messo il bavaglio al dissenso e, parallelamente, si accettano senza il minimo senso critico e si amplificano le “fake news” prodotte dal regime ucraino e dai servizi di intelligence occidentali che lo assistono, come il “massacro” di Bucha e quello più recente della stazione ferroviaria di Kramatorsk. Entrambi gli eventi, se effettivamente accaduti, sono con ogni probabilità opera degli ucraini, ma tutte le prove emerse e diffuse in rete a conferma delle responsabilità di questi ultimi vengono occultate o liquidate dalla stampa ufficiale come propaganda russa. Lo stesso dicasi per la natura neo-nazista di gran parte dei membri delle forze armate ucraine e per i crimini di guerra da loro commessi e documentati quasi quotidianamente.
La vicenda dell’account Twitter di George Galloway è di particolare rilevo anche per un altro risvolto della deriva anti-democratica in atto in Occidente. L’indicazione di “media affiliato allo stato russo” è cioè assurda nel caso di Twitter precisamente perché è Twitter a essere un “media affiliato” a uno stato, ovvero agli Stati Uniti. In un commento sul caso Galloway, la giornalista australiana indipendente Caitlin Johnstone ha osservato a questo proposito che Twitter “ha collaborato in maniera sempre più stretta con il governo americano fin da quando Washington ha iniziato a fare pressioni sulle piattaforme della Silicon Valley per regolare i contenuti [pubblicati dai loro utenti]” in conformità con “le strutture di potere dopo le elezioni del 2016” negli USA.
Inoltre, “nel 2020 Twitter è stata una delle numerose corporation della Silicon Valley ad essersi coordinata direttamente con le agenzie del governo americano per stabilire quali contenuti andavano censurati per garantire la sicurezza delle elezioni presidenziali”. Ancora, “nel 2021 Twitter ha annunciato una purga di massa di account stranieri su indicazione dell’Australian Strategic Policy Institute (ASPI)”, cioè un soggetto che “riceve fondi da numerose istituzioni governative, incluso il dipartimento di Stato” USA, se non a tutti gli effetti “uno strumento della propaganda della CIA”.
La cancellazione dall’oggi al domani di account “sospetti” è una pratica consolidata di Twitter e, quando ciò avviene, c’è da scommettere che l’input venga dal governo di Washington. Sempre Caitlin Johnstone ricorda come Twitter abbia collaborato con la compagnia operante nel settore della sicurezza informatica FiveEye nella cancellazione di massa di account ufficialmente accusati di avere violato le regole del social media americano. Secondo un articolo del 2019 di Sputnik News, FiveEye era stata fondata nel 2004 con il sostegno finanziario della CIA tramite la società In-Q-Tel.
Che Twitter agisca in appoggio all’agenda strategica americana è innegabile, come conferma il fatto che i comportamenti penalizzati con la liquidazione di account o con marchi come quello affibbiato a George Galloway sono sempre ricondotti a dichiarazioni e prese di posizione – vere o presunte – favorevoli a governi poco graditi all’impero, dalla Russia alla Cina, dall’Iran al Venezuela, e mai agli USA o ai loro alleati.
La natura di organo della propaganda americana e della NATO, per quanto riguarda Twitter, è apparsa ancora più evidente con l’esplosione del conflitto in Ucraina. Caitlin Johnstone ha ricostruito alcune delle iniziative implementate dal “social” per dare maggiore visibilità ai contenuti favorevoli al regime di Kiev e alla versione degli eventi promossa dalla NATO. Una delle modalità è ad esempio la presenza costante di una sezione dedicata alla guerra in Ucraina con collegamenti ad articoli e post che assecondano gli obiettivi di Washington.
Per contro, Twitter riduce volutamente la visibilità di quegli account che bolla come filo-russi e aggiunge avvertenze ai relativi post, anche quando un utente decide di condividerli o di aprire eventuali collegamenti a siti esterni. Nelle linee guida di Twitter viene spiegato come queste misure siano adottate nei confronti di account riconducibili a “stati che restringono l’accesso alla libera informazione e che sono coinvolti in conflitti armati con altri paesi”. Che poi sia Twitter a operare di fatto un regime di censura e che gli Stati Uniti siano il paese con il maggior numero di conflitti scatenati illegalmente al loro attivo deve evidentemente essere sfuggito ai gestori del social media.
Con il metro di giudizio dichiarato ufficialmente da Twitter, anche gli account di organi come BBC (Gran Bretagna), NPR (Stati Uniti), Deutsche Welle (Germania) o la stessa RAI dovrebbero essere marchiati come media “affiliati a uno stato”, sia perché finanziati dai rispettivi governi sia, soprattutto, perché di questi ultimi contribuiscono a propagandare gli obiettivi di politica estera. La ragione apparentemente seria per cui queste testate vengono esentate è spiegata così da Twitter: “i media che ricevono finanziamenti statali ma con una linea editoriale indipendente, come BBC o NPR (National Public Radio), non vengono definiti organi affiliati a uno stato”. Paradossalmente, network come RT o Sputnik hanno in questi anni garantito spazio a commentatori appartenenti a un’ampia gamma di orientamenti politici, da destra a sinistra, mentre sui media occidentali precedentemente citati, in particolare dopo l’inizio della crisi russo-ucraina, continua a dominare il pensiero unico filo-americano e atlantista.
Twitter rappresenta dunque sempre più uno strumento di controllo dell’informazione a favore degli Stati Uniti, con un impatto tale che, nelle parole di Caitlin Johnstone, “Putin solo nei suoi sogni può disporre di un organo di informazione statale così efficace”. Di questa situazione ne è peraltro consapevole ormai anche la maggior parte degli utenti. Poco prima della diffusione della notizia, poi rientrata, dell’ingresso di Elon Musk nel consiglio di amministrazione di Twitter, l’uomo più ricco del pianeta aveva lanciato un sondaggio chiedendo se il principio che “la libertà di espressione è essenziale per una democrazia funzionante” rispecchiava “rigorosamente” il comportamento degli amministratori di questo “social”. Oltre due milioni avevano partecipato e le risposte negative erano state addirittura del 70%.
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