Come ricorda Antonio Di Pietro quest’anno ricorre il ventennale di Mani Pulite,
una inchiesta che scoperchiò il tombino di una fogna da ripulire, ma
che fu abilmente richiuso da chi in quella fogna aveva allegramente
sguazzato. E continua a farlo.
Quest’anno, anche se nessuno lo ricorda, ricorre tuttavia un altro
ventennale, sicuramente meno appariscente ma altrettanto importante per
la nostra società. Vent’anni fa vedeva la luce l’I.S.I. (Imposta Straordinaria sugli Immobili), trasformata e consolidata l’anno seguente (poiché in Italia nulla è più stabile di ciò che è provvisorio) in I.C.I., Imposta Comunale sugli Immobili.
La geniale idea venne al governo presieduto allora da Giuliano Amato. Necessaria, ci dissero all’epoca, per salvare l’Italia dal baratro in cui stava inabissandosi. Per l’occasione fu distribuito dal Ministero delle Finanze un libretto chiamato “FAI DA TE” (vedi allegato 1),
dove appunto veniva illustrato il modo per calcolare l’imposta. Lo
stesso libretto conteneva un messaggio dell’allora Ministro delle
Finanze Giovanni Goria (vedi allegato 2)
con il quale chiedeva soldi agli Italiani. Giusto il tempo di chiedere
il versamento dell’imposta, che l’anno dopo (1993) finì in un filone
di inchiesta di Mani Pulite e rinviato a giudizio per presunte tangenti
all’ospedale di Asti. Il processo iniziò l’anno successivo (1994) ma
Goria non ne vide mai la fine, perché morì nel maggio dello stesso anno.
Se a quel messaggio sostituiamo al nome di Giovanni Goria quello di
Mario Monti, quelle parole sembrano scritte oggi. Ecco, è questa la
storia che vi voglio raccontare, una storia fatta di colpevole
immobilismo, che è all’origine (insieme a tante altre colpevolezze)
dell’attuale difficile situazione in cui versa il Paese.
L’ I.S.I., e successivamente l’I.C.I., si calcola sulla rendita catastale,
un valore monetario necessario per valutare una unità immobiliare da un
punto di vista fiscale. La rendita si forma in base a dei parametri :
la tariffa, che viene indicata dall’Amministrazione del Catasto (di cui tralascio il sistema di calcolo poiché è complicato), la zona censuaria, la categoria, la classe e la consistenza.
Cercando di semplificare al massimo, la zona censuaria individua una
porzione di comune con caratteristiche ambientali uniformi per tipo di
costruzione e per prevalente destinazione socio-economica. In molti casi
è unica e coincide con l’intero comune. La categoria individua in ogni
zona censuaria gli immobili con la stessa destinazione d’uso. La classe
rappresenta il grado di pregio e di qualità dell’immobile. La
consistenza individua la grandezza dell’unità immobiliare, che è
espressa in “vani” per le abitazioni e gli uffici, in “metri cubi” per
gli uffici pubblici e alloggi collettivi, in “metri quadrati” per i
negozi e i box.
Va tenuto presente che il Nuovo Catasto Edilizio Urbano, così come lo vediamo oggi, nasce nel lontano 1939, per l’esattezza con il Regio Decreto Legge 13 aprile 1939, n. 652.
Tutte le varie revisioni successive hanno agito soltanto sulle tariffe e
non sui parametri di calcolo della rendita, che è rimasto quello
originario. Capite che un tale meccanismo, nato 73 anni fa (in presenza
di realtà socio-economico-demografiche del tutto diverse), non può più
essere applicato all’attualità. Eppure il libretto (mi riferisco per
esempio a Roma, città dove vivo e lavoro) conteneva una planimetria della città di Roma (vedi allegato 3) divisa nella varie zone censuarie, dove l’E.U.R. (quartiere molto elegante) è inserito nella stessa zona censuaria della Borgata Ottavia
(zona di Roma con delle caratteristiche ambientali ed economiche
completamente differenti, tanto che il nome non è casuale). Non solo:
esistono al centro storico di Roma appartamenti di prestigio classificati ancora con la categoria A/4
(abitazioni di tipo popolare). Ma si raggiunge il massimo della
disparità con la valutazione delle abitazioni in “vani”: una camera al
centro di Roma può misurare anche 25/30 metri quadrati con altezza media di 3,5 metri, mentre la stessa camera nei palazzoni di periferia arriva a malapena a 15 metri quadrati con altezza che difficilmente supera i 3 metri. Però per il fisco valgono entrambe un vano.
Non c’è da meravigliarsi se poi si arriva a censire (vedi allegato 4 e allegato 5) un appartamento a Piazza Navona quasi quanto un appartamento al Quadraro
(quartiere di Roma altamente degradato), oppure se due negozi della
stessa metratura, sempre uno a Piazza Navona e uno al Quadraro,
finiscono per avere una rendita pressappoco simile (vedi allegato 6 e allegato 7).
A questo aggiungiamo che la stessa rendita catastale viene usata come
base imponibile nelle compravendite immobiliari e in tante altre
applicazioni. Direi che il quadro è completo.
Se vogliamo veramente risollevare le sorti di questo Paese, la riforma
del sistema di valutazione delle rendite catastali deve essere la prima,
altrimenti la parola equità rimarrà un termine senza senso evocato da
chi ha tutto l’interesse a lasciare le cose come sono. Che poi, a
pensarci bene, l’I.C.I. è l’unica imposta veramente federalista,
perché applicata a livello comunale. Quindi fu un errore abolirla ed è
un errore ripristinarla senza le necessarie modifiche. Non basta
cambiarle nome in I.M.U., se poi la sostanza resta invariata.
Fonte.
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