E’ vero, ha ragione il ministro Cancellieri. La lotta contro la Tav è
diventata un simbolo. Ma non il simbolo che crede lei, non un simbolo
di antagonismo. Semmai il contrario: è un simbolo del buonsenso, di un
modello di crescita e sviluppo diverso e possibile. Sono vent’anni che
chiediamo un confronto sui numeri, ma i favorevoli alla Tav di questo
confronto hanno una paura folle, perché il risultato non potrebbe che
mettere in evidenza la montagna di errori commessi, di sciocchezze
proclamate, di denaro pubblico buttato via.
I simboli, poi,
possono anche diventare tali se si costruisce una grande campagna
mediatica per far si che ciò accada. La storia del marketing è piena di
questi simboli preconfezionati. E le dichiarazioni del ministro
Cancellieri, come quelle di molti altri, sono un tentativo di costruire
una operazione di questo tipo. Ma io a questo gioco, che è sporco, non
ci sto. E sfido ancora una volta il ministro ad un confronto reale e
concreto sui numeri e sulle cose e non – come loro stanno facendo – a
continuare uno scontro ideologico.
La linea dura, quella
ideologica, quella che si limita a dire che la Tav è un’opera strategica
e indispensabile senza mai riuscire a dimostrare le sue tesi scendendo
nel confronto concreto ha rotto un patto sociale. Ha rotto il patto tra
Stato e cittadini, perché in questa vicenda è lo Stato a anteporre
l’ideologia di un modello di sviluppo che si è dimostrato fallimentare
(e non solo in questa vicenda) a qualsiasi altra ragione, argomento.
Questa cosa è umiliante, per chi la subisce. Ci sono 360 tra professori e
ricercatori che hanno scritto una lettera appello a Monti in cui
mettono in discussione il progetto della Tav dal punto di vista dei
numeri, delle necessità di trasporto che non giustificano nemmeno dal
punto di vista delle merci – la realizzazione di un’opera come quella.
Sono professori e ricercatori che si occupano di questo per mestiere. Ma
il “governo dei tecnici” si rifiuta di confrontarsi proprio con dei
tecnici di questa materia. Le questioni che pongono sono puntuali:
“Nel
decennio tra il 2000 e il 2009, prima della crisi, il traffico
complessivo di merci dei tunnel autostradali del Fréjus e del Monte
Bianco è crollato del 31%. Nel 2009 ha raggiunto il valore di 18 milioni
di tonnellate di merci trasportate, come 22 anni prima. Nello stesso
periodo si è dimezzato anche il traffico merci sulla ferrovia del
Fréjus, anziché raddoppiare come ipotizzato nel 2000 nella Dichiarazione
di Modane sottoscritta dai Governi italiano e francese. La nuova linea
ferroviaria Torino-Lione, tra l’altro, non sarebbe nemmeno ad Alta
Velocità per passeggeri perché, essendo quasi interamente in galleria,
la velocità massima di esercizio sarà di 220 km/h, con tratti a 160 e
120 km/h, come risulta dalla VIA presentata dalle Ferrovie Italiane. Per
effetto del transito di treni passeggeri e merci, l’effettiva capacità
della nuova linea ferroviaria Torino-Lione sarebbe praticamente identica
a quella della linea storica, attualmente sottoutilizzata nonostante il
suo ammodernamento terminato un anno fa e per il quale sono stati
investiti da Italia e Francia circa 400 milioni di euro“.
E ancora
“Esiste
una vasta letteratura scientifica nazionale e internazionale, da cui si
desume chiaramente che i costi energetici e il relativo contributo
all’effetto serra da parte dell’alta velocità sono enormemente acuiti
dal consumo per la costruzione e l’operatività delle infrastrutture
(binari, viadotti, gallerie) nonché dai più elevati consumi elettrici
per l’operatività dei treni, non adeguatamente compensati da flussi di
traffico sottratti ad altre modalità. Non è pertanto in alcun modo
ipotizzabile un minor contributo all’effetto serra, neanche rispetto al
traffico autostradale di merci e passeggeri. Le affermazioni in tal
senso sono basate sui soli consumi operativi (trascurando le
infrastrutture) e su assunzioni di traffico crescente (prive di
fondamento, a parte alcune tratte e orari di particolare importanza).
La
nuova linea ferroviaria Torino-Lione, con un costo totale del tunnel
transfrontaliero di base e tratte nazionali, previsto intorno ai 20
miliardi di euro (e una prevedibile lievitazione fino a 30 miliardi e
forse anche di più, per l’inevitabile adeguamento dei prezzi già
avvenuto negli altri tratti di Alta Velocità realizzati), penalizzerebbe
l’economia italiana con un contributo al debito pubblico dello stesso
ordine all’entità della stessa manovra economica che il Suo Governo ha
messo in atto per fronteggiare la grave crisi economica e finanziaria
che il Paese attraversa. è legittimo domandarsi come e a quali
condizioni potranno essere reperite le ingenti risorse necessarie a
questa faraonica opera, e quale sarà il ruolo del capitale pubblico.
Alcune stime fanno pensare che grandi opere come TAV e ponte sullo
stretto di Messina in realtà nascondano ingenti rischi per il rapporto
debito/PIL del nostro Paese, costituendo sacche di debito nascosto, la
cui copertura viene attribuita a capitale privato, di fatto garantito
dall’intervento pubblico“.
La lettera a Monti si conclude così:
Per
queste ragioni, Le chiediamo rispettosamente di rimettere in
discussione in modo trasparente ed oggettivo le necessità dell’opera.
Non ci sembra privo di fondamento affermare che l’attuale congiuntura
economica e finanziaria giustifichi ampiamente un eventuale ripensamento
e consentirebbe al Paese di uscire con dignità da un progetto inutile,
costoso e non privo di importanti conseguenze ambientali, anche per
evitare di iniziare a realizzare un’opera che potrebbe essere completata
solo assorbendo ingenti risorse da altri settori prioritari per la vita
del Paese.
Con viva cordialità e rispettosa attesa“.
A
questa rispettosa attesa l’unica risposta venuta ad oggi è:
“quell’opera è strategica”. Ma cosa vuol dire? Per chi è strategica?
Perché è strategica? Davvero, tutto questo è umiliante. Perché vedi che
tutto il tuo lavoro, tutta la tua conoscenza, tutta la tua ricerca viene
ignorata, buttata via e calpestata in nome di una ideologia invece che
di un confronto scientifico.
Fonte.
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