Dialogo? No, grazie: non ce lo possiamo permettere. Meglio cercare di
spegnere la protesta con manganelli e lacrimogeni, prima che tutta
l’Italia si accorga che i No-Tav hanno ragione: oltre che una tortura
inflitta alla valle di Susa,
la Torino-Lione è un progetto nato morto, del tutto inutile e
finanziariamente sanguinoso. Mario Monti il 2 marzo ha perso la sua
grande occasione: nonostante la crescente protesta su cui ormai si
interrogano anche i maggiori media,
il governo chiude la porta in faccia ai milioni di italiani che
pretendono spiegazioni sulla rivolta dei valsusini. Il motivo è
evidente: gli sponsor di Monti hanno paura che la verità della valle di Susa possa contagiare il resto d’Italia, mentre nella politica
nazionale – fino a ieri sorda e ostile, con le sole eccezioni di Grillo
e Ferrero – cominciano ad aprirsi crepe importanti: anche Nichi Vendola
e Antonio Di Pietro chiedono di fermare la repressione e ripensare il
progetto.
Dibattito finalmente nazionale, con decine di città segnate dalle proteste scattate in segno di solidarietà verso la valle di Susa, che nell’ultima settimana
è stata al centro delle principali trasmissioni televisive, dopo
l’emozione suscitata in tutta Italia dalla rovinosa caduta del giovane
agricoltore Luca Abbà, arrampicatosi su un traliccio dell’Enel per fare
resistenza passiva contro l’occupazione militare dei terreni di
Chiomonte destinati all’apertura del futuro cantiere. Drammatico e
imbarazzante il silenzio di Pierluigi Bersani, incalzato da Marco
Travaglio nello studio di “Servizio Pubblico”: paralizzato dalle
schiaccianti accuse rivoltegli, il segretario di quello che oggi è il
primo partito italiano non è stato in grado di rispondere a una sola
delle domande che il giornalista gli ha posto. Bersani ricordava il
Forlani messo alla sbarra da Di Pietro all’epoca di “Mani Pulite”: lungi
dal provare a giustificare la Torino-Lione, si è limitato a balbettare
minacce mettendo in guardia il giornalista, reo di aver attentato alla
sua “onorabilità” per aver messo in collegamento il Pd con le cooperative “rosse” che gestirebbero il futuro cantiere di Chiomonte.
Proprio Di Pietro, il cui partito ha spedito a Bruxelles
europarlamentari No-Tav come Gianni Vattimo e Sonia Alfano, è finalmente
uscito dal silenzio-assenso per denunciare la Torino-Lione come
progetto obsoleto: «Trent’anni fa rappresentava il futuro, ma oggi va
verificato». Di Pietro chiede al governo l’immediata sospensione dei
lavori in valle di Susa,
in attesa che il governo verifichi con l’Unione Europea l’attualità del
“corridoio 5” di cui la linea rappresenterebbe un segmento, verificando
l’esistenza di valide alternative peraltro già note a tutti: mentre il
traffico merci Italia-Francia
è ridotto quasi a zero, il corridoio commerciale transalpino valica le
Alpi più a nord, lungo l’asse Genova-Rotterdam. E se Vendola aveva già
protestato a luglio per il mancato rispetto della valle di Susa,
ora il leader di “Sel” va oltre: associandosi a Di Pietro nel chiedere
«una moratoria per la Torino-Lione», il governatore della Puglia firma
il documento promosso da don
Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele, per chiedere al governo di
dare spiegazioni chiare e accettare un serio confronto tecnico per
verificare finalmente le presunte ragioni della Torino-Lione.
Tra i firmatari figurano pesi massimi della politica italiana come Luigi De Magistris, sindaco di Napoli, da sempre vicino alla causa della valle di Susa
in qualità di europarlamentare dell’Idv, nonché prestigiosi
intellettuali come Marco Revelli e il sociologo Luciano Gallino, e poi
Giorgio Airaudo della Fiom, Beppe Giulietti, Monica Frassoni, il
climatologo Luca Mercalli e l’ex magistrato Livio Pepino, già presidente
di “Magistratura Democratica”, molto critico col procuratore torinese
Gian Carlo Caselli per la raffica di arresti di militanti No-Tav
scattati oltre 7 mesi dopo i disordini dello scorso luglio. Si associano
all’appello Michele Curto, leader piemontese di “Sel” e alleato di
Fassino al Comune di Torino, e un portavoce del movimento referendario
per i beni comuni come il professor Ugo Mattei. Ma a suscitare scalpore è
l’adesione di un dirigente del Pd come il sindaco barese Michele Emiliano: schierandosi con la valle di Susa, Emiliano dà manforte ai “dissidenti” valsusini del Pd
come il presidente della Comunità Montana, Sandro Plano, perennemente
minacciato di espulsione dal partito a causa delle sue posizioni No-Tav.
Riflettori accesi, dunque, e delusione bruciante: rifiutandosi
categoricamente di valutare qualsiasi seria argomentazione, esattamente
come i governi che l’hanno preceduto, anche Mario Monti non ha altro da
dire alla nazione se non che la Torino-Lione sarebbe un collegamento
strategico: testualmente, sarebbe un collegamento strategico una
ferrovia parallela a quella italo-francese che già attraversa la valle di Susa, tristemente deserta dato il crollo ormai cronico del traffico merci tra Italia e Francia. «Monti non dialoga proprio con nessuno perché è stato messo qui a fare gli interessi della finanza
internazionale», taglia corto Giulietto Chiesa, secondo cui «il
progetto della Tav è gia stato fatto a pezzi dalla competenza di
ricercatori e scienziati». Il governo tecnico? «Pasticcioni incapaci di
correggere i propri errori: siamo di fronte a classi dirigenti nel
panico, incapaci di guardare in faccia la realtà», fino al punto da
esasperare pericolosamente l’opinione pubblica, a cominciare dalla valle di Susa, alla quale viene inflitto «un atteggiamento punitivo, bellicoso e guerriero».
Fonte.
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