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05/03/2012

Tav, Monti teme il dialogo: ma a Roma ora c’è chi dice no

Dialogo? No, grazie: non ce lo possiamo permettere. Meglio cercare di spegnere la protesta con manganelli e lacrimogeni, prima che tutta l’Italia si accorga che i No-Tav hanno ragione: oltre che una tortura inflitta alla valle di Susa, la Torino-Lione è un progetto nato morto, del tutto inutile e finanziariamente sanguinoso. Mario Monti il 2 marzo ha perso la sua grande occasione: nonostante la crescente protesta su cui ormai si interrogano anche i maggiori media, il governo chiude la porta in faccia ai milioni di italiani che pretendono spiegazioni sulla rivolta dei valsusini. Il motivo è evidente: gli sponsor di Monti hanno paura che la verità della valle di Susa possa contagiare il resto d’Italia, mentre nella politica nazionale – fino a ieri sorda e ostile, con le sole eccezioni di Grillo e Ferrero – cominciano ad aprirsi crepe importanti: anche Nichi Vendola e Antonio Di Pietro chiedono di fermare la repressione e ripensare il progetto.
Dibattito finalmente nazionale, con decine di città segnate dalle proteste scattate in segno di solidarietà verso la valle di Susa, che nell’ultima settimana è stata al centro delle principali trasmissioni televisive, dopo l’emozione suscitata in tutta Italia dalla rovinosa caduta del giovane agricoltore Luca Abbà, arrampicatosi su un traliccio dell’Enel per fare resistenza passiva contro l’occupazione militare dei terreni di Chiomonte destinati all’apertura del futuro cantiere. Drammatico e imbarazzante il silenzio di Pierluigi Bersani, incalzato da Marco Travaglio nello studio di “Servizio Pubblico”: paralizzato dalle schiaccianti accuse rivoltegli, il segretario di quello che oggi è il primo partito italiano non è stato in grado di rispondere a una sola delle domande che il giornalista gli ha posto. Bersani ricordava il Forlani messo alla sbarra da Di Pietro all’epoca di “Mani Pulite”: lungi dal provare a giustificare la Torino-Lione, si è limitato a balbettare minacce mettendo in guardia il giornalista, reo di aver attentato alla sua “onorabilità” per aver messo in collegamento il Pd con le cooperative “rosse” che gestirebbero il futuro cantiere di Chiomonte.
Proprio Di Pietro, il cui partito ha spedito a Bruxelles europarlamentari No-Tav come Gianni Vattimo e Sonia Alfano, è finalmente uscito dal silenzio-assenso per denunciare la Torino-Lione come progetto obsoleto: «Trent’anni fa rappresentava il futuro, ma oggi va verificato». Di Pietro chiede al governo l’immediata sospensione dei lavori in valle di Susa, in attesa che il governo verifichi con l’Unione Europea l’attualità del “corridoio 5” di cui la linea rappresenterebbe un segmento, verificando l’esistenza di valide alternative peraltro già note a tutti: mentre il traffico merci Italia-Francia è ridotto quasi a zero, il corridoio commerciale transalpino valica le Alpi più a nord, lungo l’asse Genova-Rotterdam. E se Vendola aveva già protestato a luglio per il mancato rispetto della valle di Susa, ora il leader di “Sel” va oltre: associandosi a Di Pietro nel chiedere «una moratoria per la Torino-Lione», il governatore della Puglia firma il documento promosso da don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele, per chiedere al governo di dare spiegazioni chiare e accettare un serio confronto tecnico per verificare finalmente le presunte ragioni della Torino-Lione.
Tra i firmatari figurano pesi massimi della politica italiana come Luigi De Magistris, sindaco di Napoli, da sempre vicino alla causa della valle di Susa in qualità di europarlamentare dell’Idv, nonché prestigiosi intellettuali come Marco Revelli e il sociologo Luciano Gallino, e poi Giorgio Airaudo della Fiom, Beppe Giulietti, Monica Frassoni, il climatologo Luca Mercalli e l’ex magistrato Livio Pepino, già presidente di “Magistratura Democratica”, molto critico col procuratore torinese Gian Carlo Caselli per la raffica di arresti di militanti No-Tav scattati oltre 7 mesi dopo i disordini dello scorso luglio. Si associano all’appello Michele Curto, leader piemontese di “Sel” e alleato di Fassino al Comune di Torino, e un portavoce del movimento referendario per i beni comuni come il professor Ugo Mattei. Ma a suscitare scalpore è l’adesione di un dirigente del Pd come il sindaco barese Michele Emiliano: schierandosi con la valle di Susa, Emiliano dà manforte ai “dissidenti” valsusini del Pd come il presidente della Comunità Montana, Sandro Plano, perennemente minacciato di espulsione dal partito a causa delle sue posizioni No-Tav.
Riflettori accesi, dunque, e delusione bruciante: rifiutandosi categoricamente di valutare qualsiasi seria argomentazione, esattamente come i governi che l’hanno preceduto, anche Mario Monti non ha altro da dire alla nazione se non che la Torino-Lione sarebbe un collegamento strategico: testualmente, sarebbe un collegamento strategico una ferrovia parallela a quella italo-francese che già attraversa la valle di Susa, tristemente deserta dato il crollo ormai cronico del traffico merci tra Italia e Francia. «Monti non dialoga proprio con nessuno perché è stato messo qui a fare gli interessi della finanza internazionale», taglia corto Giulietto Chiesa, secondo cui «il progetto della Tav è gia stato fatto a pezzi dalla competenza di ricercatori e scienziati». Il governo tecnico? «Pasticcioni incapaci di correggere i propri errori: siamo di fronte a classi dirigenti nel panico, incapaci di guardare in faccia la realtà», fino al punto da esasperare pericolosamente l’opinione pubblica, a cominciare dalla valle di Susa, alla quale viene inflitto «un atteggiamento punitivo, bellicoso e guerriero».

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