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01/10/2014

Inizia l’era Ghani, l’Afghanistan si somiglia

Il neo presidente Ashraf Ghani Ahmadzai era appena uscito dagli appuntamenti di rito: giuramento solenne su Costituzione e Corano, accompagnato dall’avversario ora amico e Capo dell’Esecutivo Abdullah Abdullah, dai deputati anziani Mojaddedi e Sayyaf, quest’ultimo antico signore della guerra, dai suoi vice presidenti Sarwar Danish più Rashid Dostum, signore della guerra anche lui, quando mister Cunningham, ambasciatore statunitense a Kabul, avvertiva il consulente afghano per la sicurezza che il Bilateral Security Agreement era ancora lì in attesa di assenso. Detto e fatto. In ventiquatt’ore Ghani ha firmato il documento come primo tributo offerto ai suoi tutori occidentali che in tal modo potranno giustificare una presenza armata su quel territorio fino al 2024. Poi il Capo di Stato s’è autoincensato ricordando che dal 1978 lui è il primo a succedere pacificamente a un predecessore. Eppure, in piena continuità col passato, promuove alla vicepresidenza un pezzo da novanta del combattentismo criminale qual è l’uzbeko Dostum. Né più né meno di quanto aveva fatto Karzai con figure della stessa risma: Khalili e Fahim.

Fra le novità che non cambiano affatto nelle terre dell’Hindu Kush ci sono gli immarcescibili signori della guerra sempre pronti a dividersi il Paese in zone d’influenza e spartirsi gli affari. Taluni parzialmente legali (la divisione dei finanziamenti internazionali), molti palesemente illegali (i proventi di coltivazione, produzione e smercio degli oppiacei derivati dal papavero), robetta che fa sorridere più d’una mafia mondiale. All’Onu lo sanno e non se ne curano, il fatto non costituisce reato ma reddito e si prosegue. Altra carta di credito vantata dal programma Ghani è l’unità nazionale con cui si vogliono superare divisioni interne e pericoli esterni, provenienti dalle frange talebane che lavorano per i fratelli pakistani. Per ostacolarne i progetti Ghani e Abdullah cercano d’attirare a loro i fondamentalisti dell’Hezb-e Islami di Sayyaf ed Hekmatyar, signori della guerra doc. I due sono vicini all’intransigenza religiosa talebana, ma sono d’etnia pashtun e ipoteticamente sensibili al concetto di nazione; mentre fra i turbanti c’è chi insegue il sogno del Pashtunistan, un mix territoriale che unisce i territori di confine fra Afghanistan e Pakistan.

Ieri i Taliban hanno fatto sentire la propria “vicinanza” al governo con due attacchi, uno nella stessa capitale. Nel vantare il presunto nuovo clima democratico nazionale Ghani tocca un nervo scoperto delle varie etnìe e comunità: la giustizia. Sia quella sociale, impossibile per i mancati investimenti, per un’usurpazione delle ricchezze (pensiamo a quelle del sottosuolo che stanno dando origine a sfrenate competizioni fra compagnìe cinesi e occidentali), per il citato accaparramento degli aiuti della cooperazione internazionale, un business in troppi casi poco trasparente anche a ovest e colluso coi mafiosi locali che usano indifferentemente computer, kalashnikov e apparati amministrativi. Proprio il predecessore Karzai, famoso per aver incentivato il suo clan familiare, ha in più occasioni fatto orecchio da mercante verso le istanze di giustizia presentate da organismi democratici che richiedono conforto di legge per i familiari delle vittime della guerra civile e dell’attuale occupazione e per la mai scomparsa violenza sulle donne. In tanto clima costruttivo il presidente ha dedicato una consistente parte del suo discorso alle Forze armate, cui da un quadriennio l’apparato dell’Isaf dedica attenzione, addestramento e fondi. Circa 300.000 soldati che dovrebbero controllare e rassicurare la nazione.

Un esercito che tuttora rappresenta una scommessa vaga, che trova reclute a buon prezzo pagandole fino a 500 $ al mese in un posto dove c’è chi vive con meno d’un dollaro al giorno, e che vede un ampio livello d’infiltrazione da parte talebana, come dimostrano i numerosi attentati effettuati internamente alle basi Nato o nella “città proibita” di Kabul (che raccoglie le maggiori ambasciate occidentali) fino a colpire i suoi uomini, alti ufficiali compresi. Col passaggio di alcune consegne a fine 2014 la lacunosa Afghan National Security Forces dovrebbe sostituire le forze Isaf nel controllo della sicurezza dei voli civili. Il neo ministro dei trasporti Ali Najafi sostiene che tutto è pronto, le compagnìe europee e anche asiatiche vorrebbero un conforto più solido. Occorrerà sondare l’esito di quello che per ora è l’unica certezza del Bilateral Agreement: il mantenimento e l’ampliamento delle basi aeree militari (Kabul, Bagram, Mazar-e Sharif, Shindand, Jalalabad, Kandahar). Per tutto il supporto che caccia e droni potranno offrire, ora che il fronte della competizione geostrategica che gli States si autoassegnano s’allunga ben oltre il Grande Medio Oriente, giungendo sino a Hong Kong.

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