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14/07/2015

Tsipras fa Caporetto per evitare l’8 settembre greco

Sarà bene che chi si occupa, a vario titolo, di beni comuni, di resistenza alle privatizzazioni, di ripubblicizzazioni si ricordi BENE questo fine settimana greco. Week-end che era cominciato con l’analisi, e le prese di distanza, ad ogni latitudine, dalla proposta greca di accordo sul piano di “aiuti”. Un qualcosa visto come nettamente peggiorativo delle proposte votate dal popolo greco il 5 luglio.

Le misure dell'accordo. Eppure è finita con l’istituzione di una agenzia delle privatizzazioni, che deve generare secondo gli accordi almeno 50 miliardi, sul modello della tedesca Treuhandanstalt (giusto, già dal nome, per far capire chi ha spinto per questo genere di accordo). La Treuhandanstalt, per chi non si fosse mai occupato di riunificazione tedesca, era la fiduciaria istituita dal governo della repubblica federale incaricata, nel giugno 1990, di liquidare o privatizzare circa 8.000 aziende della DDR. Siccome nell’opinione pubblica italiana, e comunque non solo, si pensa per mitologie è bene ricordare che la Treuhand, nome più comune, ebbe un impatto disastroso sull’economia tedesca generando 250 miliardi di marchi di perdite provocando, ad esempio, una notevole flessione della produzione del tessile nella ex DDR. Il fatto che si sia pensato di ripetere, in Grecia, un esperimento del genere la dice lunga su tante cose: sulla Caporetto di Tsipras, che pure ha basato elezioni e referendum contro austerità e privatizzazioni, e sulla coazione a ripetere le politiche “liberali” in Europa. I fallimenti degli anni ’90 come viatico per l’economia del 2020 sempre sotto lo slogan “questa volta è differente”. L'agenzia delle privatizzazioni greca dovrà quindi aggredire la struttura stessa delle imprese di quel paese rendendole maggiormente compatibili col liberismo globale. Questo significherà, come accaduto nella DDR, chiusure, liquidazioni di parti importanti di aziende, privatizzazioni e una discreta mole di licenziamenti. I fondi prodotti da questo organismo, che diventerà (se entrerà a regime) elemento regolatore dell’economia greca, finiranno come garanzia per il processo di rientro dalla tranche di prestiti concessa dalle istituzioni internazionali. Quanto possa durare un accordo che contiene clausole del genere, in un paese che ha votato alle elezioni e al referendum contro austerità e privatizzazioni, è la sostanza politica di questo discorso. Ma è inutile girarci attorno: contro questo genere di accordi si possono fare scioperi, referendum, donazioni di litri di sangue di ogni cittadino abile ma se non si pratica un modello economico e finanziario alternativo, capace di non farsi condizionare dalla privatizzazione finanziaria, si finisce per cedere. La Grecia è oggi l’esempio più classico e dovrebbe essere chiaro ai feticisti della democrazia deliberativa i quali pensano che, una volta votato qualcosa, la democrazia contenga di per sé la produzione di ricchezza. D’altronde l’illusione, che dovrebbe essere svanita con gli anni ’90, che i referendum preservino un nucleo di diritti dal mercato è ancora forte. La democrazia deliberativa, persino la protezione normativa dal mercato, invece da sole non bastano. Deve emergere una economia che disgreghi ciò che viene chiamato, oltretutto impropriamente, “il mercato”. Qualcosa di molto più complesso, ed innovativo, della pianificazione socialista ma è bene dirsele queste cose sia per evitare delusioni, polemiche da improvvisi e concessioni di spazio politico a ciarlatani.

Le trattative e la strategia di Tsipras. Ma cosa è accaduto il fine settimana? Il governo di Tsipras si è presentato alle trattative dell’eurozona per la nuova tranche di richiesta di liquidità finanziaria con una tattica ben precisa. Messo tra parentesi il referendum, con la priorità di ottenere fondi in un paese dove le banche sono sempre più un’ipotesi che realtà, il governo Tsipras ha avanzato una proposta fatta per guadagnare tempo, e finanziamenti, confidando sulle numerose spaccature europee. Proposta peggiorativa anche rispetto all’accordo rifiutato dal referendum di pochi giorni fa ma, sicuramente, in grado di fornire respiro finanziario ad un paese le cui banche sono tenute, astutamente, sotto la tenda di ossigeno dalla BCE. La quale si fa pagare garanzie sempre più elevate per ogni giorno di “aiuti”. In effetti le spaccature c’erano: quella tra Francia e Germania (sulla durata delle politiche di austerità), quella nel governo tedesco (sulla questione Grexit), quella tra la stessa Germania e il Fmi (sulla questione della ristrutturazione o meno del debito greco). Insomma i margini per giocarsela, da parte di Tsipras, non erano campati in aria. Arrivato a Bruxelles con delle carte da giocare, invece, Tsipras ha rischiato l’8 settembre, la dissoluzione dello stato in questo caso greco. Basti dire che nelle ultime ore di trattativa (fonte Guardian) le istituzioni internazionali hanno pure chiesto un governo tecnico in Grecia come condizione per chiudere. Di fronte al pericolo di un 8 settembre, di una dissoluzione repentina della sovranità, Tsipras ha optato per il ripiego verso una Caporetto. Già perché la Grecia, non avendo un vero piano di uscita dall’euro in caso di crisi non risolvibile, è ricattabile in ultima istanza. Le perdite, a borse aperte, causate da una Grexit disordinata, come fatta (intelligentemente) presagire da Schauble avrebbero sicuramente danneggiato le borse dell’eurozona (e non solo) ma riportato la Grecia a prima della rivoluzione industriale. Di lì un accordo molto duro tra chi ha molto da perdere ma mezzi per combattere (l’eurozona) e chi ha tutto da perdere e viene distrutto in caso di scontro simmetrico, faccia a faccia (la Grecia). Ne è uscito un accordo duro, una severa sconfitta, una Caporetto della guerra finanziaria di fronte ad una attacco nemico, in nome del salvataggio di ciò che resta del sistema bancario ellenico. Precondizione, nelle società moderne, e ancor più che nel ’29, di ogni minuto funzionamento della società. Ma perché si è complicata la trattativa di Bruxelles per la Grecia?

Le spaccature interne alla UE. Proprio a causa di tutte le spaccature citate si è creata la classica situazione di difficoltà mediatoria in cui, giocoforza, ogni protagonista deve mettere le carte sul tavolo per vedere chi ha più carico e far così valere le proprie ragioni. Una resa dei conti in piena regola quindi non una mediazione come sperava Tsipras (che pure aveva sacrificato Varoufakis proprio per questo). E qui, per la Grecia, sono cominciati i dolori. Prima di tutto perché la zona euro e a 19 paesi, ha un meccanismo di decisione che è comunque complicato, e la Grecia non ha incontrato certo la solidarietà dei paesi più piccoli. Dai governi baltici, veri e propri consigli di amministrazione di start-up politiche neoliberiste, a Spagna e Irlanda. Poi perché il governo italiano, leonino sulla stampa nazionale e oscillante (giudizio della stampa tedesca) nei comportamenti, non ha certo fatto valere il peso della terza economia dell’eurozona. Anche perché, come ha notato Varoufakis su The New Statesman, tutti questi paesi hanno il problema di dover raccontare al loro elettorato perché, in caso di successo greco, non hanno praticato il rifiuto della austerità. Infine perché la spaccatura tedesca, tra linea Merkel e linea Schauble, ha mostrato il prevalere, nello scontro, del ministro delle finanze. Dalla vittoria della linea dura di Schauble, che aveva dietro di sé tutta la Csu-Cdu (che è il partito della Merkel), tutto il resto è venuto giù a cascata, in mano alle decisioni del vincitore. 15 paesi su 19 si sono velocemente allineati – tra il pomeriggio della domenica e la notte successiva – a favore della linea dura. Lo stesso FMI, che era parso possibilista sulle modalità di taglio del debito alla Grecia, ha finito per chiedere misure assurde al governo greco, in cambio del taglio del debito (un colpo di stato finanziario chiesto come se niente fosse) ed altri piccoli e grandi orrori. E, se questo è il frutto della pressione del governo Obama sul FMI meglio allora, davvero, che gli Usa si occupino solo di festeggiare la nazionale di calcio femminile che ha vinto i mondiali.

Si è quindi passati ad un accordo che prevede una sorta di Treuhand in Grecia, l’intervento coatto delle istituzioni europee su sistema fiscale, del diritto e persino il commissariamento (in nome della “libertà”, naturalmente) dell’istituto di statistica greco. Per non parlare del resto. Der Spiegel ha ammesso che Tsipras ha accettato accordi sempre rifiutati anche dal governo di centrodestra-Pasok (a suo tempo intimidito dall’opposizione di Syriza). Una disfatta in piena regola.

L'accordo non reggerà. La situazione è però comunque in movimento, c’è da capire cosa accadrà alla Grecia e non è poco. Se il paese ellenico sarà in grado di sostenere tutti i passaggi formali dell’accordo, se i parlamenti europei lo voteranno (il Bundestag lo analizzerà e voterà due volte). Il Telegraph ancora nel primo pomeriggio di lunedì riportava che il “bridge-financing”, il dispositivo che deve rianimare le banche greche, non è ancora chiaro nelle sue reali dimensioni. Troppe cose da fare, in poco tempo (le borse hanno i loro tempi per scontare gli accordi) con una economia al collasso. Difficile pensare che l’accordo tenga o comunque in modo da non generare altri problemi grossi. Ancora più difficile capire cosa potrà accadere se, o quando, l’accordo salta. Per tutti però il fattore tempo è importante. Vedremo.

Sistema liberista vs democrazia. Il messaggio è però chiaro: ciò che impropriamente è chiamato Europa, e altro non non è che un rissoso comitato d’affari, vuol uccidere una Grecia, questa, per educare i cento che, nel prossimo futuro, osino mettere in discussione il deserto che il combinato di governance e liberismo stanno facendo di questo continente. L’avvertimento è chiaro: il voto elettorale, quello referendario, le chiare manifestazioni di dissenso contro l’austerità non debbono valere a nessun latitudine. Del resto la contraddizione tra democrazia e moneta era già chiara nella prima globalizzazione, quella che è arrivata dagli anni ’70 dell’800 alla prima guerra mondiale, e si fa valere ancora oggi. A maggior ragione visto che la moneta è sempre più complessa, pervasiva, globale, tecnologicamente innervata. E’ una situazione nella quale, come si vede, non basta rispondere con più democrazia (elettorale, referendaria o di base).

La moneta liberista è un nemico serissimo. Ampiamente sottovalutato da chi credeva che bastasse sfilare un po', mandare le foto via twitter delle sfilate, muovere un po’ di opinione pubblica per riequilibrare una società oscillante ed impaurita. Certo, le dimensioni del nemico sono superiori ad ogni attuale immaginazione politica. Ma tra essere grandi ed essere onnipotenti c’è differenza. Tenendoci sulla metafora usata dall’articolo, passare da Caporetto a Vittorio Veneto per Tsipras non sarà facile. Tenendo conto anche che la storia se si ripete lo fa in farsa. Allo stesso tempo è chiaro per tutti, e per i greci lo è sulla loro pelle, che la ricreazione è finita. Chi pensa di liberarsi del Leviatano liberista, parte finanziario parte tecnologico, in modo low cost con qualche primaria, un appello alla costituzione e qualche referendum, magari con qualche auspicio dedicato alla politica della Bce, è bene che dalla politica passi ad attività di sostegno volontario al disastrato verde pubblico. C’è una voragine, a sinistra, in materia di politiche economiche alternative, in un mondo ad altra complessità relazionale e tecnologica, che oggi fa sentire tutto il suo peso. Ed è questa che va riempita.

Redazione - 13 luglio 2015

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