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05/08/2015

Talebani, fuochi incrociati fra Mansour e Yaqub

Successione spinosa e sanguinaria - Nei giorni immediatamente successivi alla sua fresca nomina a capo dei talebani, più o meno ‘ortodossi’, Ahktan Mansour ha ripetutamente dichiarato di voler seguire le orme tracciate dal mitico mullah Omar. E ha seminato dubbi sul processo di pace ricercato dalla presidenza Ghani, ribadendo il desiderio di concentrarsi sull’incremento della Sha’ria e del sistema islamico piuttosto che su colloqui di pace “a ogni costo”. Negli annunci ripresi dall’agenzia Reuters e dall’emittente Al Jazeera, Mansour ha esposto con enfasi che “non possiamo dimenticare il sangue di generazioni di mujaheddin, perciò dobbiamo lottare fino alla vittoria. Le nostre divisioni fanno solo piacere ai nostri nemici”. Principali destinatari del messaggio due potenziali rivali: Siraj Haqqani, uno dei cinque figli del defunto Jalaluddin che altre fonti considerano non più avverso, e lo sheikh Rehmatullah. Con loro vari comandanti del satellite talebano sostenevano l’idea d’un successore per linea parentale, individuato nel giovane mullah Yaqub, figlio ventidue o ventiseienne (la data di nascita è un mezzo mistero) di Omar. Seppure bollato d’inesperienza, Yaqub poteva essere invocato come nuovo leader proprio dalla dissidenza che alligna fra taluni membri della Shura di Quetta, dove fa pesare la sua influenza l’antico comandante militare mullah Zakir.

Attentati e ipotesi di morte - Invece da tre giorni a questa parte l’ipotesi del figlio celebre è svanita. Yaqub sarebbe stato ucciso in una delle esplosioni verificatesi a Quetta nel fine settimana. Una di esse è stata rivolta anche al convoglio che trasportava Mansour che, secondo quanto riferito da Tolo tv, risulta scampato alla morte. L’attacco è avvenuto nell’area di Chaman, che confina con la grande provincia afghana di Kandahar, lì il neo leader dei Taliban s’è recato per stabilire accordi con tre importanti guide religiose. Eminenza grigia di Chaman è il mullah Razzaq, che s’era  apertamente opposto alla nomina di Mansour come riferimento per la politica futura dei turbanti nella regione. Anche un deputato e capo talebano vicino a Mansour, Haibatullah Noorzai, è finito in un agguato andato a vuoto, lo sparatore originario del Beluchistan, è stato arrestato dalla polizia pakistana. Se le notizie che gli stessi organi locali riportano col condizionale venissero confermate l’evidenza d’uno scontro, accanto a un’ampia spaccatura nei ranghi talebani, risulterebbe palese, introducendo lo spettro d’una nuova guerra fra bande. Ma non c’è da escludere che fra le tante deflagrazioni ci sia anche lo zampino dell’Intelligence di Islamabad. La biografia di Mansour, cinquantenne del distretto di Kandahar formatosi in una madrasa pakistana della provincia di Pakhtnkhawa, vanta un pedigree di combattente antisovietico.

Carriera fra i turbanti - Ma è il 1995, quando l’Afghanistan era lacerato dal conflitto interno fra i Signori della guerra, che Mansour iniziò un’ascesa verso i vertici talebani, entrando nel gruppo fondato dal mullah Omar e ponendosi al centro d’una fitta attività organizzativa. Notato per queste doti venne cooptato per la dirigenza e durante i cinque anni di governo Taliban a Kabul (1996-2001) finì a dirigere il ministero dell’aviazione civile. Dopo la cacciata talebana a opera delle truppe Nato e l’uccisione del mullah Osmani (2006) e del mullah Akhund (2007) il rango dirigente di Mansour è salito ponendosi nella scia del, fino a quel momento,  indiscusso Omar tanto da esserne considerato dal 2010 il collaboratore più stretto. Poi, alla morte del monocolo avvenuta nella primavera 2013 ma non annunciata, ha mostrato capacità di tenuta d’un gruppo che evidenziava crepe e volontà disgregatrice. Il mancato annuncio della dipartita di Omar doveva evitare quelle lotte intestine che ora riemergono con violenza e coinvolgono lo stesso Mansour, sia con tentativi di uccisione sia con sospetti che l’additano quale ispiratore d’un complotto che avrebbe assassinato il fondatore del movimento talebano. Ora che è nell’occhio del ciclone di voci e accuse tendenziose Mansour, pur favorevole ai colloqui di pace va a metterli in dubbio per non prestare il fianco a quel fondamentalismo che punta già a disarcionarlo.

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