Il capo è nervoso, ma è tutta colpa sua. Ha sbagliato una marea di calcoli (ammesso che sia capace di farne e non soltanto di leggerli in conferenza stampa), e quello sulla crescita del Pil più di tutti. E’ noto del resto che questa è stata fin qui a malapena positiva, come del resto era fisiologico che fosse, dopo sei anni di crisi, ma senza quel dinamismo che induce a ben sperare (gonzi a parte...).
Ora arriva anche l’Istat a metterci involontariamente una pietra sopra: “A febbraio l’indicatore composito anticipatore dell’economia italiana ha segnato una battuta d’arresto, suggerendo un rallentamento nel ritmo di crescita dell’attività economica nel breve termine”.
Teniamo conto dell’esiguità dei numeri: il governo prevede per l’anno in corso (nel Def) un +1,2%. La Commissione europea lo ha già limato all’1,1, eliminando così una parte della “flessibilità” nei conti su cui il governo sperava di mettere in campo qualche misura “popolare” prima del referendum anti-costituzionale di ottobre (pensionamento “flessibile” ma a spese tue, qualche promessa su Irpef e bollo auto, ma niente 80 euro ai pensionati poveri, ecc).
Il ritmo immaginato era dunque fiacco, ma almeno positivo. Ora l’indicatore citato dall’Istat segnala un'inversione di tendenza che arriva dopo appena 15 mesi di modestissimo rialzo.
E non si può neanche iscrivere l’Istituto Centrale di Statistica tra i poteri che “gufano” contro il governo. In fondo il presidente, Giorgio Alleva, è stato messo lì proprio da Renzi, incurante della marea di critiche contro il “presidente senza qualità” (vedi: qui).
Purtroppo, come dicono gli inglesi, “i fatti hanno la testa dura”, e non basta mettere un presidente amico a capo di un’istituzione per avere – di punto in bianco – anche statistiche “amichevoli”.
Il quadro disegnato dai ricercatori è semplicemente impeccabile. Un quadro internazionale segnato dal rallentamento della Cina, dall’arretramento degli Stati Uniti, da oscillazioni continue in tutti i fondamentali chiave della macro economia globale (“guerra delle monete”, prezzo del petrolio, rallentamento delle esportazioni europee, deflazione, ecc). Una congiuntura italiana fragilissima, malamente nascosta da interventi legislativi che hanno trasformato ampi settori dell’occupazione precaria in “occupazione normale” (un po’ come dichiarare potabile l’acqua inquinata alzando il livello degli inquinanti ammessi).
L’indice anticipatore non poteva che registrare questi e altri fattori, mettendo a punto quel -0,3% che rischia di diventare evidente a tutti proprio mentre si va al plebiscito pro o contro il contafrottole di Palazzo Chigi...
Tanto più che il lavoro dell’Istat è perfettamente in sintonia con le rilevazioni, pessimistiche, della Bce, che si raccomanda – udite, udite – di non trasferire l’inflazione zero sui salari: “le condizioni di inflazione estremamente bassa non si radichino in effetti di secondo impatto sul processo di formazione dei prezzi e salari”. Tradotto: non vi fate tentare dalla golosità di profitto drogato, abbassando ulteriormente i salari, perché – è sottinteso – vi potreste trovare con una dinamica deflazionistica ancora peggiore, con i potenziali “clienti” impossibilitati a comprare.
Oltretutto, segnala sempre la Bce, l’inflazione dell’Eurozona dovrebbe collocarsi “su valori lievemente negativi nei prossimi mesi” per riprendere a salire solo nella seconda metà del 2016. “La ripresa economica nell’area dell’euro sta proseguendo, trainata dalla domanda interna, mentre la domanda estera rimane debole”. “La domanda interna continua ad essere sorretta dalle misure di politica monetaria” e che “i rischi per le prospettive di crescita dell’area dell’euro restano orientati verso il basso”.
Chiaro dunque che un'ulteriore riduzione dei salari reali vanificherebbe buona parte del lavoro che proprio la Bce va svolgendo, con il quantitative easing, per rianimare l'inflazione e dunque anche un po’ di investimenti.
Il rapporto completo dell’Istat.
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