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04/10/2016

Usa allo sbando, sulla Siria escalation con la Russia

La tregua sulla Siria siglata a Ginevra lo scorso 10 settembre sembrava potesse condurre a un aumento della collaborazione tra Stati Uniti e Russia su vari fronti oltre che a una diminuzione dei combattimenti nel paese mediorientale martoriato da anni di guerra. Ma è stato esattamente il contrario. Il fallimento dell’accordo tra Mosca e Washington, boicottato dalle petromonarchie e da Israele e da alcuni apparati statunitensi – come spiegare altrimenti il bombardamento da parte dei caccia Usa di una base militare siriana in pieno ‘cessate il fuoco’? – sta portando ad un rapido incrudimento dei rapporti tra le due grandi potenze.

Usa e Russia miravano a congelare la situazione in Siria, dove di fatto nessuna delle potenze coinvolte può prevalere del tutto su quelle concorrenti; ma le contraddizioni della politica estera e della strategia globale statunitense hanno di fatto impedito che gli interessi comuni dei due paesi si saldassero in maniera duratura a partire dallo scenario siriano. Se da una parte il Pentagono continua a sostenere le milizie curde contro Daesh, dall’altra parte la Cia si è incaricata di armare quelle fondamentaliste che in realtà operano sotto lo stretto controllo della Turchia, il cui obiettivo principale, attraverso l’invasione militare della Siria del nord, è impedire che a liberare Aleppo siano le Ypg e l’esercito siriano. Gli Stati Uniti, nella maniera contraddittoria e altalenante che contraddistingue ormai stabilmente il comportamento di una potenza che sembra aver perso la bussola oltre all’egemonia, hanno tentato di imporre a Russia, Siria, Iran ed Hezbollah un inaccettabile cedimento su Aleppo, la città sulla quale di fatto si gioca il futuro del conflitto. Washington, subalterna alle pressioni e agli interessi dei sauditi e di Ankara – che pensa di poter ‘governare’, anche se parzialmente in contraddizione con i propri – ha tentato di utilizzare il cessate il fuoco per sdoganare e proteggere i jihadisti di al Nusra e altre milizie salafite, che hanno approfittato della tregua per riorganizzarsi e riarmarsi, anche grazie all’arrivo di rifornimenti da parte di Riad e di altri sponsor. Un gioco che il fronte capitanato da Mosca non ha potuto accettare; la strage di soldati siriani da parte dei bombardieri Usa ha permesso alle forze lealiste di riprendere una feroce offensiva, a suon di bombardamenti dal cielo e da terra, contro i quartieri di Aleppo occupati dai jihadisti, alcuni dei quali – a costo di un alto numero di vite umane – sono stati via via riconquistati dalle truppe di Damasco e dai suoi alleati.

Di fronte all’ennesimo passo falso che ha finito per favorire gli avversari dimostrando la debolezza di Washington, la Casa Bianca ha reagito puntando direttamente a Mosca. Obama ha ordinato l’aumento del flusso dei rifornimenti diretti e indiretti ai cosiddetti ‘ribelli’, compresi quelli che pure fanno parte della lista nera occidentale in quanto considerati ‘terroristi’. La ‘nuova’ dottrina, che ripercorre di fatto quella già adottata da Washington negli anni scorsi, prima di dar vita alla Coalizione Internazionale contro l’Isis, è ora ‘più armi alle opposizioni’, compresi micidiali missili terra-aria, senza più distinzioni tra ‘buoni’ e ‘cattivi’, tra ‘moderati’ ed ‘estremisti’.

Anche se gli analisti e gli strateghi americani vogliono evitare lo scontro diretto, pensano di poter convincere (obbligare) Putin a diminuire il proprio sostegno al governo siriano perché troppo oneroso sul fronte delle relazioni politiche, economiche e militari internazionali. E minacciano un innalzamento della tensione in aree in cui la Russia è impegnata in prima persona a difendere le proprie posizioni, come l’Ucraina.

E’ sicuramente vero che Mosca non è affatto disposta a sostenere Damasco quali che siano le conseguenze sul fronte dei rapporti con l’occidente e gli Stati Uniti in particolare, ma è anche vero che non può mollare l’osso proprio ora che la situazione in Siria pende a favore delle forze lealiste.

A poco più di un anno dal suo inatteso e massiccio intervento diretto nel paese spaccato da una guerra civile diventata immediatamente una ‘guerra per procura’ tra un numero assai elevato di protagonisti, Mosca è riuscita a recuperare un certo protagonismo internazionale e ad imporsi come potenza globale anche su un piano finora mai praticato, quello militare. L’intervento dei caccia, dei carri armati e di alcune migliaia di suoi soldati ha permesso alle forze lealiste di passare al contrattacco e di strappare agli avversari una consistente fetta di territorio, facendo fallire i piani di vittoria militare completa di Ankara e delle petromonarchie, obbligando Washington alla trattativa e inducendo la Turchia a cercare la riconciliazione con Mosca dopo la rottura seguita all’abbattimento di un jet russo da parte dell’aviazione di Ankara.

Un passo indietro troppo netto a questo punto non è possibile, Mosca ha troppo da perdere, e così i suoi alleati. Negli ultimi giorni l’amministrazione russa ha rinforzato il suo contingente militare in Siria, inviando uomini, mezzi e caccia a Latakia ed in altre basi, per segnare una superiorità netta sul campo laddove gli Stati Uniti sono assenti ed operano per ‘interposta persona’, attraverso quelle milizie estremiste che ora arma per impedire che perdano troppo terreno riducendo così l’influenza degli Usa nel paese.

Un gioco sfacciato, quello di Washington, che contribuisce a legittimare il maggiore sforzo militare russo e la voce grossa di Mosca nei rapporti con gli Stati Uniti. Nei giorni scorsi Sergej Lavrov ha denunciato “che lo scopo degli Usa era quello di risparmiare” i jihadisti di “al Nusra, probabilmente per qualche piano B”. “Gli Stati Uniti e la Coalizione – ha aggiunto il ministro degli Esteri russo – non possono e, infatti si rifiutano, di separare l'opposizione da Jabhat al Nusra e dai terroristi che si sono uniti ad essa. Invece noi vediamo che sempre più gruppi si uniscono ad Al Nusra. Ogni volta che noi colpiamo Jabhat Al Nusra ci dicono che questo non va fatto, perché vicino a loro, tra di loro, ci sono persone buone".

Di fatto siamo di nuovo in piena escalation. Ieri sera la Casa Bianca ha annunciato la sospensione di ogni accordo bilaterale con la Russia rispetto ai negoziati miranti a trovare un accordo generale sulla situazione in Siria. Una decisione arrivata dopo che Putin aveva annunciato, presentandola come una reazione obbligata alle ‘azioni ostili’ recentemente intraprese dagli Usa, la sospensione degli accordi siglati nel 2000 a proposito della distruzione di una parte dei rispettivi arsenali nucleari. Il capo del Cremlino ha inviato al parlamento un disegno di legge che subordina la distruzione del plutonio in coordinamento con Washington alla cancellazione di tutte le sanzioni statunitensi contro la Russia. Non solo. Le condizioni previste per un ritorno alla collaborazione sul tema della non proliferazione nucleare e anzi al relativo smantellamento dei reciproci arsenali includono anche “La riduzione delle infrastrutture militari e dei contingenti americani schierati nei territori dei Paesi entrati a far parte della Nato dopo il 1° settembre 2000, ai livelli in cui si trovavano nel giorno dell’entrata in vigore dell’accordo” sul plutonio.

Ma ambienti vicini alla Casa Bianca discutono in queste ore proprio dell'inasprimento delle sanzioni già comminate contro Mosca dopo il rifiuto da parte della Russia di subire il golpe filo atlantista in Ucraina e la conseguente annessione della Crimea alla Federazione Russa.

Questo mentre il New York Times ha di fatto svergognato e sbugiardato il segretario di Stato statunitense John Kerry. In una conversazione, registrata durante un colloquio tra Kerry e un gruppo di sostenitori dei ribelli siriani a New York – il portavoce del Dipartimento di Stato, John Kirby, non ha potuto negarne l’autenticità – il segretario di Stato si è lamentato del fatto che Obama abbia disatteso la sua richiesta di intervento militare diretto contro le forze del governo siriano. "Credo che voi guardiate a tre o quattro persone dell'amministrazione che hanno sostenuto l'uso della forza, e ho perso – ha detto Kerry ai siriani – ho difeso l'uso della forza (...) ma le cose si sono evolute in modo diverso". "Il problema è (...) secondo i nostri legali noi non abbiamo un fondamento per intervenire se manca una risoluzione del Consiglio di sicurezza. I russi sono stati invitati, noi no. (...) L'unico motivo per cui ci consentono di volare (in Siria, ndr) è perché colpiamo l'Isis. Se colpissimo Assad, dovremmo eliminare tutte le loro difese aeree e non abbiamo una giustificazione legale per farlo. Per il momento, la teoria legale americana non comprende il cosiddetto diritto a proteggere. Nessuno è più frustrato di me".

E’ ovvio che a partire da certe ‘frustrazioni’ è davvero difficile che possa nascere un negoziato durevole con la Russia e il governo di Damasco...

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