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21/05/2018

Iraq - al-Sadr perno di un governo di larghe intese

A nove giorni dalle elezioni parlamentari irachene il vincitore, il leader religioso sciita Moqtada al-Sadr, delinea la possibilità di un governo ampio e stabile. Sabato  ha incontrato l’attuale primo ministro al-Abadi, arrivato a sorpresa solo terzo con la coalizione al-Nasr, e ieri Hadi al-Amiri, leader della coalizione Fatah che mette insieme le unità di mobilitazione popolare sciite, al secondo posto.
 
“È necessario accelerare la formazione di un governo di padri il più presto possibile”, ha detto al-Sadr ieri sera dopo l’incontro con al-Amiri, aggiungendo di voler formare un esecutivo di coalizione a cui prendano parte le coalizioni vincenti come “tutti i settori della società”.

Prosegue dunque il percorso di al-Sadr verso una leadership nazionale e pacificatrice, vesti indossate negli ultimi anni, smesse quelle di capo di una forza militare – l’Esercito del Mahdi – che con le armi si impegnò contro l’invasione statunitense del 2003. Di certo una coalizione è scelta obbligata: Sairun, la coalizione di sadristi e Partito Comunista, ha conquistato 54 dei 329 seggi parlamentari: ne mancano 111 per un governo. Quarantadue quelli conquistati da al-Abadi, 47 quelli di Fatah.

Le larghe intese è l’opzione più chiacchierata sui giornali locali e arabi. Secondo il quotidiano al-Hayat, citato da Agenzia Nova, al-Sadr sarebbe propenso a formare un’alleanza con al-Abadi, il partito curdo Kdp del clan Barzani (25 seggi) e Wataniya, la lista laica guidata dal vicepresidente uscente Allawy (22 seggi). Il dubbio è però proprio Barzani, più vicino all’ex premier al-Maliki (26 seggi), controversa figura al potere nel post-Saddam e considerato l’origine di molti dei mali che attanagliano oggi l’Iraq, dalla corruzione diffusa al settarismo divisivo.

Poche le certezze. Tra queste l’impossibilità per lo stesso al-Sadr di diventare primo ministro, non essendosi candidato. Da qui l’idea che circola di mantenere al suo posto proprio al-Abadi, popolare in tutto il paese per la vittoria sull’Isis e l’atteggiamento anti-settario ben visto anche dalle potenze regionali e internazionali perché non interessato a schierarsi né con il blocco iraniano né con quello statunitense. Durante l’incontro di sabato il premier ha dato voce alla possibilità di un accordo di governo, parlando di “visioni identiche” su alcuni temi con al-Sadr.

Entrambi hanno bisogno di mostrare al paese, ancora flagellato dagli attacchi dello Stato Islamico, in una difficile situazione economica segnata da bassi salari e alto tasso di disoccupazione, un fronte unito e stabile che possa condurre la popolazione verso un miglioramento delle proprie condizioni di vita. Fuori da Baghdad la ricostruzione post-Isis non è mai realmente partita, quasi tre milioni di persone restano sfollate interne, la corruzione imperversa come i tentativi affatto celati delle potenze vicine di influenzare il percorso iracheno. Senza dimenticare la scarsa adesione al voto, solo il 44.5% di affluenza, il sintomo di una disaffezione generale e di una scarsa fiducia verso le diverse leadership.

L’Iraq resta in attesa, la formazione della coalizione di governo richiederà del tempo visti i risultati frammentati usciti dalle urne. Al-Sadr dovrà giocare da pivot, mettere insieme le diverse anime del paese per un governo che sia stabile e rivolto alle esigenze espresse dall’elettorato: una certezza il voto l’ha data, il rifiuto delle leadership tradizionali e la fiducia accordata a forze nuove, alternative, o sul piano politico-sociale come al-Sadr o sul piano militare, le milizie sciite.

Sullo sfondo resta l’Iran, convitato di pietra alle consultazioni, legato a doppio filo ad al-Amiri ma molto distante dal movimento sadrista che, seppur sciita, ha sempre rifiutato l’influenza di Teheran negli affari interni. Ma non è un mistero di come l’Iran consideri il paese vicino: tassello strategico del più ampio corridoio di territori che da Teheran arriva al Libano.

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