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19/05/2018

Robot: cosa significano per il lavoro ed il reddito?

La recente apertura, da parte di Amazon, di un nuovo punto vendita nel seminterrato del suo quartier generale a Seattle, ha provocato più di una discussione sull’argomento di come il lavoro umano verrà ben presto spazzato via dall’espansione dei robot e dell’Intelligenza Artificiale.

Nel nuovo negozio, il quale è chiaramente un “pilot“, i clienti entrano, controllano i loro smartphone, scelgono ciò che vogliono dagli scaffali ed escono di nuovo. Non ci sono né casse né cassieri. Al loro posto, invece, i clienti per prima cosa scaricano un’app sui loro smartphone e in questo modo le macchine che si trovano nel negozio capiscono di quale cliente si tratta e che cosa il cliente sta prelevando dagli scaffali. Nel giro di un minuto o due, prima che l’acquirente lasci il negozio, sul suo telefono appare un pop up, come ricevuta di tutti gli articoli che ha comprato. Questo genere di sviluppo della vendita “automatica” rispecchia quella che è un’altra automazione: negli uffici, nelle automobili senza conducente, nell’assistenza sociale e nel processo decisionale.

Tutto ciò significa che ben presto gli esseri umani verranno del tutto sostituiti da macchine intelligenti in grado di imparare e da algoritmi? In quanto ho scritto precedentemente, ho delineato una previsione di quelli che potrebbero essere i posti di lavoro che verranno perduti grazie ai robot, nel prossimo decennio o più. Sembra essere enorme: e non solo per quanto attiene al lavoro manuale nelle fabbriche, ma anche per quel che riguardano i cosiddetti lavori da colletti bianchi come il giornalismo, le banche e perfino gli economisti!

I tecno-futuristi pensano che ben presto i robot rimpiazzeranno gli esseri umani. Ma io penso che abbiano cominciato a correre prima di imparare a camminare – o per essere più precisi, finora, i robot riescono a malapena a correre e ad afferrare le cose. Si tratta del “paradosso di Moravec“, vale a dire che
«è relativamente facile far sì che i computer esibiscano prestazioni a livello di adulti per quanto riguarda test di intelligenza o giocare, ed è difficile o impossibile dare loro le abilità di un bambino di un anno quando invece si tratta di percezione o di mobilità» (Moravec).
Quindi gli algoritmi possono servire a decidere se investire o meno per i fondi speculativi o per le banche, ma un robot non riesce nemmeno a colpire una pallina da tennis, per non parlare di battere un giocatore medio di club. In realtà, lo sviluppo dei robot si sta rivolgendo più ai “cobots“, i quali agiscono come se fossero un’estensione del lavoratore, nelle fabbriche dove si svolge lavoro pesante, e negli ospedali e per l’assistenza sociale riguardo alle diagnosi. Insomma, in tutto quello che sostituisce direttamente il lavoratore.

Il dibattito economico principale riguarda il fatto se la “tecnologia” creerà più posti di lavoro di quanti ne distrugge. Dopotutto, sembrerebbe che la nuova tecnologia possa eliminare alcuni lavori (i tessitori addetti al telaio a mano dell’inizio del XIX secolo), ma ne possa anche fornire di nuovi (le fabbriche tessili). Un esperimento mentale utile in tal senso è quello che vi viene fornito da Paul Krugman. Allo stesso modo in cui avviene nel famoso esempio di Krugman, immaginate che ci siano due merci, salsicce e panini, che vengono poi combinate una per una in modo da fare degli hot dog. 120 milioni di operai vengono divisi equamente fra le due industrie: 60 milioni producono salsicce, e gli altri 60 milioni producono panini, ed entrambi i lavori richiedono due giorni di tempo per poter produrre un’unità di produzione.

Ora supponiamo che la nuova tecnologia raddoppi la produttività nelle panetterie. Per fare panini, c’è bisogno di meno operai, ma questo aumento della produttività significherà che il consumatore riceverà il 33% di hot dog in più. Alla fine, l’economia avrà 40 milioni di operai che fanno panini e 80 milioni di operai che fabbricano salsicce. Nel frattempo, la transizione potrebbe portare alla disoccupazione, in particolare se le competenze per l’industria della panificazione sono molto specifiche. Ma nel lungo periodo, un cambiamento nella produttività relativa, finirebbe per riallocare l’occupazione, anziché distruggerla.

La storia degli sportelli bancari contro i bancomat è un altro esempio di innovazione tecnologica che sostituisce interamente il lavoro umano per quel che attiene ad un compito specifico. Questo ha portato ad una massiccia caduta del numero dei cassieri di banca? Fra il 1970 (quando venne installato il primo bancomat americano) ed il 2010, il numero di cassieri bancari si è raddoppiato. La riduzione del numero di cassieri per filiale, ha reso più economica la gestione di una filiale, così le banche hanno ampliato la loro rete bancaria. E la mansione si è gradualmente evoluta, passando sempre più dalla gestione del contante alle relazioni bancarie.

Questa è la visione ottimistica. Ma anche allora, come ha sottolineato Marx a proposito dell’avvento delle macchine nel XIX secolo, la perdita dei posti di lavoro in un settore e la loro ricreazione in un altro non è un processo di cambiamento senza soluzione di continuità. Come ha scritto Marx:
«I fatti reali, che vengono travisati a causa dell’ottimismo degli economisti, sono questi: gli operai, quando vengono cacciati dalla fabbrica a causa dei macchinari, vengono gettati sul mercato del lavoro. La loro presenza sul mercato del lavoro fa sì che sia incrementata la forza lavoro a disposizione dello sfruttamento capitalista... l’effetto avuto dai macchinari rappresentato come una ricompensa per la classe operaia, è stato, al contrario, un flagello spaventoso. Al presente, dirò solo questo: i lavoratori che sono stati buttati fuori dal lavoro in un determinato settore dell’industria possono indubbiamente cercare un’occupazione in un altro settore... anche se trovano un lavoro, quale miserabile prospettiva avranno di fronte! Menomati, così come lo sono dalla divisione del lavoro, questi poveri diavoli valgono talmente poco al di fuori del loro vecchio posto di lavoro da non poter trovare un posto in nessuna industria, se non in alcuni settori inferiori, e quindi sovraffollati e sottopagati. Per di più, ogni branca dell’industria attrae ogni anno un nuovo flusso di uomini, i quali forniscono un contingente con cui riempire i posti vacanti, e costituiscono un’offerta ai fini dell’espansione. Nel momento in cui i macchinari hanno liberato una parte dei lavoratori occupati in un dato settore dell’industria, la riserva costituita da uomini viene anch’essa dirottata verso nuovi canali di occupazione, e viene ad essere assorbita da altri settori; nel frattempo, le vittime esistenti, durante il periodo di transizione, per la maggior parte soffrono la fame e muoiono.» (Grundrisse).
E poi c’è la redditività della tecnologia. I robot non verranno applicati in maniera ampia fino a quando non porteranno un maggior profitto ai proprietari e agli investitori in applicazioni robotiche. Ma avere più robot e, relativamente, meno lavoro umano significherà avere relativamente meno valore creato per unità di capitale investito, poiché a causa della legge del valore di Marx noi sappiamo che il valore (così come viene incorporato nella vendita della produzione, a scopo di lucro) viene creato solamente dalla forza lavoro umana. E se questa diminuisce in relazione ai mezzi di produzione impiegati, allora abbiamo una tendenza della redditività a cadere. Perciò l’espansione dei robot e dell’Intelligenza Artificiale incrementa sia la possibilità che l’ampiezza della crisi di redditività. Quindi è assai probabile che nella produzione capitalista i crolli si intensificheranno insieme all’aumentare della sostituzione del lavoro da parte delle macchine. È questa la grande contraddizione del capitalismo: incrementare la produttività del lavoro attraverso un maggior numero di macchine riduce la produttività del capitale.

L’economia mainstream, o nega la legge del valore, oppure la ignora. Già nel 1898, l’economista neoricardiano Vladimir Dmitriev, per confutare la teoria del valore di Marx, aveva presentato un’ipotetica economia nella quale le macchine (i robot) facevano tutto, e non c’era lavoro umano. Egli sosteneva che sarebbe comunque esistito un enorme surplus che sarebbe stato prodotto anche senza lavoro, per cui la teoria del valore di Marx sarebbe stata erronea.

Ma l’esperimento immaginario di Dmtriev è irrilevante poiché sia lui che gli altri economisti mainstream non comprendono il valore nel modo capitalistico di produzione. Il valore in una merce che viene venduta è duplice: nella merce o nel servizio venduto c’è un valore d’uso fisico, ma nel denaro e nel profitto che dev’essere realizzato c’è anche “valore di scambio”. Senza quest’ultimo, la produzione capitalistica non avviene. E solo la forza lavoro crea un simile valore. Le macchine non creano valore (profitto) se non ci sono gli esseri umani a farle funzionare. In realtà, la sovrabbondante super economia di soli robot di Dmitriev non sarebbe più capitalistica, in quanto non ci sarebbe alcun profitto per i capitalisti individuali.

Ecco dov’è la grande contraddizione del capitalismo. Nel momento in cui le macchine soppiantano la forza lavoro umana, sotto il capitalismo, la redditività cade anche se la produttività del lavoro aumenta (vengono prodotti più cose e più servizi). E la redditività sempre più in calo distruggerà periodicamente la produzione dei capitalisti individuali poiché solo loro impiegano lavoro e macchine per realizzare profitti. Così le crisi si intensificano ben prima di poter arrivare all’ipotetico mondo robot di Dmitriev.

Ma cosa fare, nel momento in cui si perdono posti di lavoro a causa dei robot? Alcuni economisti liberali parlano di una “tassa sui robot“. Ma questo provvedimento rallenterebbe soltanto l’automazione – e difficilmente porterebbe a ridurre progressivamente il lavoro. L’idea del reddito di base universale (UBI) continua a guadagnare terreno fra gli economisti, sia mainstream che di sinistra. Io ho già discusso i meriti ed i demeriti dell’UBI. L’UBI viene sostenuto da molti strateghi economisti neoliberisti, che lo vedono come un modo per sostituire lo “stato sociale” della sanità gratuita, dell’istruzione e delle pensioni decenti attraverso un reddito di base. Ed esso viene proposto con lo scopo di mantenere bassi i salari per coloro che lavorano. Qualsiasi livello di reddito di base dignitoso sarebbe troppo costoso perché il capitalismo possa permetterselo. E anche se l’UBI venisse conquistata dai lavoratori in lotta, continuerebbe a non risolvere il problema di chi possiede sia i robot che i mezzi di produzione in generale.

Un’alternativa più interessante, a mio avviso, è ad esempio quella dell’idea dei Servizi di Base Universali, ovvero i cosiddetti beni pubblici e servizi, gratis in dei punti di utilizzo. Una società super-abbondante è per definizione una società in cui i nostri bisogni vengono soddisfatti senza l’utilizzo del lavoro e dello sfruttamento, vale a dire una società socialista. Ma la transizione ad una simile società può avere inizio a partire dal dedicare il lavoro socialmente necessario alla produzione dei bisogni sociali di base come l’istruzione, la salute, l’alloggio, i trasporti e l’alimentazione e l’equipaggiamento di base.

Perché usare risorse per dare a ciascuno un reddito di base per comprare quel che serve a soddisfare i bisogni sociali? Perché non renderli gratuiti presso dei punti di utilizzo? Invece di tagliare via le persone che non stanno lavorando, rispetto a quelli che lavorano percependo un reddito minimo, dobbiamo costruire unità nel lavoro riducendo le ore di lavoro ed allargando (gratuitamente) i servizi pubblici ed i beni per tutti.

Certo, questo richiederebbe che molti posseggano e controllino i mezzi di produzione e pianifichino l’applicazione di quelle risorse per i bisogni sociali, e non per il profitto di pochi. Robot ed Intelligenza Artificiale diverrebbero perciò parte del progresso tecnologico che renderebbe possibile una società super-abbondante.

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